PREVISIONI DA UN FESTIVAL:
Si parlava di previsioni, che vi ripropongo qui di seguito, considerato che siamo ancora in tempo.
CONCORSO INTERNAZIONALE:
-Pardo d'oro: BELLA E PERDUTA, di Pietro Marcello - Italia 2015
-Premio speciale della giuria: Dark in the White Light, di Vimukthi Jayasundara - Sri Lanka 2015
-Pardo della miglior regia: Avishai Sivan per Tikkun – Israele 2015
-Pardo per la miglior interpretazione femminile: Valerie Dréville per Suite Armoricaine - Francia 2015
-Pardo per la miglior interpretazione maschile: Gregg Turkington per Entertainment - Usa 2015.
Aggiungo il Premio del pubblico di Piazza Grande: HELIOPOLIS (THE VIOLIN TEACHER)di Sergio Machado.
Un violinista di talento di San Paolo si fa vincere dall'emozione e non supra una importante audizione. Sarà destinato, per campare, ad andare ad insegnare in un ghetto della megalopoli, ad una scuola di ragazzi disastrati o in libertà vigilata, con una qualche passione per la musica e gli strumenti a corda. Il maestro si trova davanti una situazione tragica, quanto a grado di apprendimento e capacità di assimilazione da parte dei suoi ruspanti e apparentemente poco dotati allievi.
Saprà tuttavia modificare atteggiamenti, attitudini, educando alla musica, alla lettura della stessa, sostituita alla improvvisazione, riuscendo ad infondere speranza e progetti concreti ad una gioventù apparentemente segnata. Ma nella favelas si muore ancora, e solo l'orgoglio, la costanza, la fiducia in ciò per cui si crede e vive, riuscirà a far superare ostacoli apparentemente insuperabili, sia all'insegnante, sia a suoi sfortunati e disagiati allievi.
Heliopolis è il film che, molto probabilmente, trionferà presso il pubblico serale di Piazza Grande, dove verrà proiettato questa sera.
Le atmosfere, le situazioni, gli ammiccamenti che pure qui non vengono a mancare, ricordano, oltre che per la tematica, il caso di Whiplash, ed il film molto probabilmente sarà destinato a dividere in due il pubblico, tra cinefili ed amanti delle belle storie, e melomani o tecnici del settore che troveranno certamente circostanze e situazioni a loro giudizio improbabili se non assurde. Ben venga la discussione: che si parli pure di film dignitosi e sensibili come questo, in grado di suscitare un confronto e ravvivare emozioni, alimentando lo scambio di punti di vista.
VOTO ****
Sempre in sala Kursaal presso il Casinò, ho giusto il tempo di rimettermi in coda, curioso di affrontare per la prima volta un titolo quasi leggendario che proprio mi manca. Il presupposto di omaggiare l'attrice Bulle Ogier, premiata in Piazza i giorni scorsi, mi permette di affrontare la visione di LA VALLEE', film del 1972 del regista franco svizzero Barbet Schroeder, pure lui presente ieri con il suo nuovo e già recensito Amnesia.
Forte di una colonna sonora dei Pink Floyd, La Valleé è, nel bene e nel male una pellicola epocale, il “film dei fiori”, dell'amore libero, dell'avventura come raggiungimento di una dimensione di vita finalmente lbera da vincoli e convenzioni. Una commerciante di artigianato, mentre sta contrattando presso un venditore locale alcune piume rare di uccello preso nelle foreste vergini della Nuova Guinea, si imbatte in una gruppo di hippie che la convince ad intraprendere in viaggio avventuroso alla ricerca di se stessi e di una valle fantasmagorica che si dice non sia mai stata esplorata dall'uomo bianco. Lasciata la jeep, poi pure i cavalli, rifocillati presso una accogliente tribù di selvaggi locali che sacrificano il loro bestiame migliore per i loro ospiti, il gruppo intraprende un difficile e faticoso ultimo sforzo per raggiungere l'Eden promesso, affrontando a mente aperta e libera situazioni e stati d'animo che li coinvolgeranno nel difficile tragitto, senza tuttavia riuscire a rinunciare completamente ad irremovibili sentimenti tipici della società moderna che essi vogliono lasciare: amore libero va bene, ma poi la gelosia li prende e ne limita a teoria le enunciazioni alla base del loro nuovo indirizzo di vita.
La Valleé è, come già detto, un film che segna un'epoca, dunque importante manifesto di anni inesorabilmente lontani e utopici ora più che mai, ora che il profitto e le sue regole irrinunciabili hanno definitivamente reso obsolete e quasi ridicole certe scelte di vita, ormai solo frutto di singole ed isolate iniziative a cura di persone quasi sempre considerate come emarginati o pesi morti della società che produce...non si sa più cosa di utile e concreto.
VOTO ***
In Concorso oggi due film, anzi gli ultimi due; lunghi, se non lunghissimi: il giapponese sfiora le due ore e mezzo, e vi dico già che intrattenere il pubblico per tutto questo tempo per parlarci di matrimoni naufragati ed amori in bilico è davvero troppo e non la circostanza non giova a nessuno, né al pubblico né alle capacità di sintesi e allo stile del filmaker.
Ma iniziamo in ordine con SUITE ARMORICAINE, film francese di Pascale Breton, cognome coerente al titolo e all'ambientazione della vicenda, in quanto “Armericaine” è l'aggettivo che qualifica la generalità bretone, della Bretagna appunto, dell'argomento che si sta trattando.
Ed infatti troviamo la quarantenne Francoise che torna a Rennes, cittadina bretone, da Parigi, per tenere un corso di storia dell'arte, disciplina che da tempo la vede come insegnante nella capitale. La sua intenzione è quella di riavvicinarsi alle terre d'origine e questa circostanza le permette un sopralluogo esplorativo nei luoghi agresti di una infanzia felice ma ora rimossa o comunque allontanata da troppo tempo. La sua storia si interseca con quella dello studente Jon, che si è iscritto alla medesima facoltà e si innamora di una compagna cieca, dicendo a tutti che è orfano di entrambi i genitori, quando invece la madre è viva e trascorre le giornate come una clochard vivendo di espedienti. Si scoprirà che quest'ultima è stata l'amica del cuore di Francoise, e questo, unito ad una circostanza drammatica, costituirà il trait-d'union per far nascere un legame affettivo intimo ma non sessuale tra i due, che avrà lo scopo mutualistico di aiutare entrambi a scavalcare inibizioni e limiti che ostacolano il cammino di entrambi.
Suite Armoricaine è il secondo lungometraggio della Breton, ed appare riuscito e profondo, seppur lievemente discontinuo o non proprio bene assemblato. I vincoli e le caratteristiche del luogo d'origine da un lato, la difficoltà di accettare una situazione familare al limite dell'iverosimile per il ragazzo, sono trattati con sensibilità e spessore- A convincere su tutto però è l'interpretazione diValérie Dréville nel ruolo di Francoise, per noi Pardo per l'interpretazione femminile senza alcun dubbio.Pure Elina Lowensohn nel ruolo della madre accattona è davvero brava e convincente.
VOTO ***1/2
HAPPY HOUR è il film-monstre giapponese di Hamaguchi Ryusuko, che ci costringe tutto un pomeriggio a seguire le vicende amorose travagliate di quattro coppie, analizzate sopratutto dal punto di vista del lato femminile e dell'amicizia che unisce le quattro donne trentacinquenni che compongono la metà delle coppie prese in esame.
Una durata inconcepibile che non ha nulla a che vedere con quella ancor più lunga, ma giustificata e quasi magnetica, dunque molto più indolore, del Lav Diaz dello scorso anno con le sue sei ore ed oltre dello splendido Pardo d'Oro From what is before.
Il film si dipana tra incontri periodici tra e donne, seguiti a cene con i partners, occasione per le varie coppie per aprirsi e raccontare poco per volta le problematiche che li assillano e ne turbano l'esistenza.
Un film che non si decide mai se tenere uno stile televisivo o cinematografico, prestandosi dunque male sia allo sfruttamento televisivo, sia ad una visione a puntate via piccolo schermo.
Alcuni episodi invero sono anche interessanti e concitati, frutto di esperienze e drammi in cui lo spettatore medio più o meno riesce anche ad identificarsi, tanto le vicende narrate sono quelle che oggigiorno, nel bene e nel male, condividiamo un po' tutti nei crucci e nelle problematiche che ci affliggono e caratterizzano la nostra bigia quotidianità-
Interpreti un po' ingessati(e) e perfettini(e) rendono talvolta fastidioso lo sviluppo di alcune delle vicende che, come ragnatele sovrapposte, si intrecciano lungo tutto l'estenuante durata della pellicola.
VOTO **
Questa sera in una Piazza Grande più illumonata del solito, pienone e tutto esaurito, nonostante la pioggia perversa e dispettosa, che arriva a notte fonda a disturbarci come è ormai consuetudine (ma l'anno scorso andò decisamente peggio, almeno meteorologicamente); ed un premiazione illustre: il tecnico del suono WALTER MURCH, collaboratore dei più grandi registi americani dagli anni '70 ad oggi, riceve il Pardo alla carriera. Sullo sfondo scorrono le immagini e soprattutto i rumori (degli elicotteri, ma non solo) che fanno da sfondo ormai mitico al capolavoro coppoliano Apocaypse now, uno dei capolavori ai quali prese parte Murch durante la sua carriera.
I film di stasera sono due.
Walter Murch premiato in Piazza Grande
Il primo è il simpatico, piccolo e riuscito LA VANITE', dello svizzero Lionel Baier. Un tutto in una notte frizzante e leggero, ma anche intimo e delicato che si sviluppa nei toni grotteschi e semi-comici di un thriller dai risvolti etico-sentimentali: un anziano architetto vuole togliersi la vita e contatta una associazione che si occupa del caso Una certa Este lo incontra in un motel all'americana in via di chiusura per praticargli l'iniezione letale secondo la prassi consolidata. Ma qualcosa non quadra nel progetto suicida, e per fortuna che nella camera accanto “esrcita” un avvenente prostituto di origine russa, con l'aiuto del quale la notte scorrerà concitata e alla ricerca di un affetto ed una intesa che in fondo, manca ad ognuno dei tre infelici ma estremamente simpatici individui, ognuno in perenne lotta contro l'indifferenza e le difficoltà di una giungla di insoddisfazioni, insuccessi o mediocrità che non sempre è facile accettare e lasciarsi alle spalle.
Interessante ambientazione nel motel all'americana, progettato, al pari di molti altri immobili della zona, dal malinconico vecchio architetto: un non-luogo che è probabilmente l'aspetto più riuscito del film, assieme alle interpretazioni appassionate e apprezzabili dei tre attori protagonisti, tra i quali è impossibile non citare la sempre esilarante ed irresistibile Carmen Maura.
VOTO ***1/2
Il regista di The Laundryman Lee Chung in piazza
THE LAUNDRYMAN è un thriller-horror.commedia taiwanese, opera prima del regista Lee Chung, anch'egli presente in Piazza Grande a presentare la sua opera.
Storia brillante e dal ritmo elevato, nonché dalle ambientazioni suggestive all'interno della lavanderia obsoleta del titolo, narra elle disavventure di un killer che, come altri, lavora e collabora con la titolare dell'attività, che vedremo presto trattarsi di una copertura per nascondere omicidi e regolamenti di conti, e dunque luogo per occultare e sbarazzarsi di cadaveri scomodi od eccellenti.
Peccto che il protagonista, dal nome pittoresco di N.1 Greenfield Lane, sia perseguitato costantemente dai fantasmi delle sue vittime, e pure da quelli del suo passato. Ad aiutarlo la titolare della lavanderia assoltìda una medium in grado, al pari del protagonista, di vedere od intuire la presenza di questi fantasmi, spesso benevoli ma pur sempre presenze scomode ed ossessive che fanno perdere la serenità e la lucidità d'azione del killer.
Grande sforzo di costruzione di ambienti per un film che si avvita molto su se stesso, risultando alla fine stucchevole e fine a se stesso, coreografato da lotte e combattimenti che risultano oltre tutto piuttosto goffi e rozzamente coreografati rispetto ai ritmi e alla perfezione a cui ci ha abituato oramai tanto cinema dell'est.
VOTO **1/2
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