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LOCARNO 2015: ULTIMI RUGGITI E PRIMI PRONOSTICI. IL ROHMER COREANO CHE SI RIPETE MA CON GARBO, ATMOSFERE DI PERDIZIONE NEL DESERTO MAROCCHINO AFFASCINANTE E CRUDELE DI BOWLES. L'ULTIMO PECKIMPAH, BOSCHI DI VITA E AMNESIE CRUCIALI.
di alan smithee ultimo aggiornamento
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Le previsioni, lo specificai pure lo scorso anno, sono fatte apposta per essere disattese dai verdetti ufficiali.

Tuttavia provo, a poco meno di due giorni dal verdetto (sto scrivendo che è giovedi notte, ma i due ultimi film del Concorso li ho visionati oggi e ve ne parlerò domani) a dare un mio giudizio - valutazione totalmente personale, e non previsone di ciò che potrebbe accadere - sui alcuni dei premi ufficiali previsti dal Festival del Film di Locarno 2015 per le varie categorie.

 

CONCORSO INTERNAZIONALE:

-Pardo d'oro: BELLA E PERDUTA, di Pietro Marcello - Italia 2015

-Premio speciale della giuria: Dark in the White Light, di Vimukthi Jayasundara - Sri Lanka 2015

-Pardo della miglior regia: Avishai Sivan per Tikkun – Israele 2015

-Pardo per la miglior interpretazione femminile: Valerie Dréville per Suite Armoricaine - Francia 2015

-Pardo per la miglior interpretazione maschile: Gregg Turkington per Entertainment - Usa 2015.

 

Sui Cineasti del Presente e Piazza Grande non mi pronuncio per non averli visti (ancora) completamente tutti. 

In attesa di aspettare i verdetti ufficiali, proseguiamo a raccontare le nostre intense giornate cinefile.

“Il cielo trema e la terra ha paura, e i due occhi non sono fratelli” (letterale...): titolo più o meno comprensibile, certo molto affascinante, non c'è dubbio, almeno come i paesaggi delle alture aspre e rocciose dell'Atalante ove è ambientata l'avventura lavorativa e drammatica di un regista, impegnato a girare il suo film, e poi rapito da un gruppo di estremisti locali, picchiato, amputato, destinato a divenire saltimbanco e strumento di divertimento come pena del contrappasso per aver osato profanare luoghi e costumi di un mondo non suo. Il regista sperimentale inglese Ben Rivers si ispira, nel suo THE SKY TREMBLES AND THE EARTH IS AFRAID AND THE TWO EYES ARE NOT BROTHERS alle atmosfere di Paul Bowles e ad un suo racconto, per palesarci un viaggio da incubo dove la vittima diviene parte e complice di una rivendicazione crudele e orgogliosa di una civiltà contro un occidente che tenta, volontariamente o meno, di corromperne la purezza.

Un fantoccio rivestito di una tunica di lustrini ottenuti dai fondi di lattine, forse a dimostrare il luccichio invadente e corruttore della società delle false promesse e del profitto che uccide ogni ispirazione e autenticità. Narrativamente complesso come una sfida non facile, a tratti estenuante, il film tuttavia trasuda fascino e il corretto approccio contemplativo opportuno quando si cita anche solo a lontano il nome di Paul Bowles...con o senza té, di certo con il deserto come protagonista fondamentale. Un attore di carisma e notorietà avrebbe, una volta tanto, fatto la differenza nella parte del regista rapito e umilato. Personalmente ci avrei visto bene Stephen Dorff, che dopo il film della Coppola e quello di Eran Riklis, sembra perfetto per produzioni d'autore anche estreme e personali.

VOTO ***1/2

TOPOPHILIA l'oleodotto Trans-Alaska è una delle condutture di greggio più lunghe e strutturate al mondo. Attraversarlo e contemplarne le bellezze, anzi le purezze paesaggistiche, consente al regista PETER BO RAPPMUND di condurci in un viaggio lungo milletrecento chilometri tra lande desolate e fino a poco prima pressoché vergini, ora in parte violate, in parte rese accessibili ad una umanità che ha bisogno sempre più urgente di scambiarsi mezzi di sussistenza per poter sopravvivere tra gli gi e le comodità che ci rendono così lontani, affascinanti ed impossibili e luoghi fantastici che ci vengono proposti.

 

 

Riprese lunghe che creano movimenti a scatti togliendo fluidità ma accorciando i tempi e le distanze per un viaggio altrimenti difficilmente riassumibile e sintetizzabili in poco più di un'ora di immagini dense, a volte poetiche, a volte semplicemente e genuinamente seducenti.

VOTO ***

Preceduto da un corto dei primi anni '80 in cui il regista cinefilo Olivier Assayas intervista il regista meraviglioso Sam Peckimpah, onorandoci di farci assistere a gran parte della efferata sparatoria finale de Il mucchio selvaggio, e facendo spiegare al suo regista quali sono i motivi fondamentali del suo costante attrito con il mondo hollywoodiano, con le scelte devastanti della produzione che ne hanno, a suo dire, devastato oltre ¾ della sua celeberrima produzione cinematografica, seguiamo poco dopo la proiezione dell'ultimo film di Peckinpah: OSTERMAN WEEKEND, farraginoso ma affascinante e godibile spy story tratta dal romanzo di Robert Ludlum Striscia di cuoio, e popolato da un cast eccezionale che vede in prima linea Rudger Hauer, John Hurt, Craig T. Nelson (l'Osterman del titolo), Dennis Hopper e Burt Lancaster in un cameo di lusso, ci riporta alle sferzanti atmosfere da guerra fredda di metà anni '80 con una storia di sospetti ed indagini che si fatica a capire e collegare fino in fondo, ma che sa divertire e farsi apprezzare anche grazie alla grande capacità del regista di saper coniugare scene d'azione – spesso in un ralenti che solo con Sam diviene fondamentale e non ridondante o fastidioso – ad uno studio approfondito sui personaggi e i rispettivi caratteri.

 

 

Il raduno in casa di un celebre anchorman televisivo da parte di tre coppie di amici, richiama l'attenzione dell'FBI che da tempo sospetta che i tre uomini collaborino efficacemente per il KGB tramite un'operazione segreta denominata Omega. Pertanto un funzionario impone al giornalista di mantenere la festa nella sua csa di montagna, ma sottopone il luogo e la struttura ad un monitoraggio sofisticato al fine di carpire i dettagli del complotto, e spingendo il padrone di casa a dividersi in un doppio gioco pericoloso e altamente rischioso, quando è la su stessa famiglia a poter rischiare di rimanerne vittima. Il tutto giostrato da un abile ed umano tecnico informtico, in lutto per aver perso la moglie proprio in occasione di una precedente operazione volta a stanare un complotto della medesima tenace organizzazione spionistica.

Belle atmosfere per un film certo datato ma forse bello ed apprezzabile proprio per quello.

VOTO ****

Torniamo al Concorso con il Rohmer coreano Hong Sang-soo, prolifico, forse anche manierato ma apprezzabile direttore delle piccole grandi Storie d'amore e di innamoramento che colgono i suoi protagonisti, spesso come qui uomini di cinema al pari del presente, coinvolgendoli in una danza di corteggiamento quasi istintiva, animalesca, ingenua e tuttavia naturale che rende l'uomo innamorato da una parte un bambino innocente e malizioso nello tesso tempo, e dove la donna, giovane e disinformata, ama farsi circuire e corteggiare cedendo molto gradatamente al distacco generale che pone di fronte al suo animoso corteggiatore.

In RIGHT NOW, WRONG THEN, il regista famoso arriva troppo presto per presentare il suo film e si imbatte in una artista giovane e in crisi esistenziale che non sa nulla di lui, o solo quel poco che trapela dalle cronache della stampa: ammette di non aver mai visto un film del regista, cede all'invito di farsi offrire un tè caldo, poi lo porta a visitare l'atelier di pittura presso la sua modesta abitazione, poi si fa convincere a cenare a base di sushi e a rivederlo anche il giorno dopo prima della presentazione del film.

 

 

L'uomo dovrà confessarle, forse sin troppo tardi ed in preda alle ebbrezze dell'alcol, che è sposato e con figli e che il sentimento tra i due rischia di restare platonico.

Tutto già viti rivisto nei film precedenti che il regista sud coreano dirige con cadenza almeno annuale: ma tutto gradevole, aggraziato, naturale e simpatico, con attori divertenti e coinvolgenti che è impossibile detestare, anche se....anche se...

VOTO ***

Mi sposto, anzi catapulto presso L'altra Sala, dalla parte opposta di Locarno ma grazie all'ottimo provvidenziale servizio pulman, appena in tempo per affrontare l'ultima avventura cinefila del regista brasiliano JULIO BRESSANE, che con il suo filosofico GAROTO (KID), introduce con una certa efficacia una quadrilogia sperimentale che prosegue con O Espelho, O Prefeito e Origem do Mundo, dal titolo “TELA BRILHADORA”.

Tratto da Borges (L'assassino disinteressato), il film segue una coppia dapprima in una foresta inaccessibile ove piante secolari si avviluppano al cielo o, al contrario sviluppano liane e radici che li riportino a contatto con la terra da anni vista solo da lontano; poi li ritroviamo in una spettacolare valle rocciosa cita di enormi massi arrotondati dal vento: in mezzo un cammino di tentazioni, di sesso e desiderio che assume talvolta sospetti di incesto quando la ragazza, l'unica a d esprimersi, definisce il suo partner come fratello. Poi un incontro malizioso e tentatore, un omicidio e la fuga nella seconda location affascinante e rocciosa dove la coppia ritrova una parvenza di pace ed estasi contemplativa.

Cinema di sguardi che va sentito, avvertito più che guardato con gli occhi propensi ad una narrazione standard e inadeguata alle visioni filosofiche del regista.

Tra potenza visiva, incognite senza spiegazione, fascinazione da paesaggio, un film che passa regalando qualche buona sensazione.

VOTO ***

Molto meglio tuttavia, anzi molto molto meglio l'onestà d'approccio della meravigliosa regista CLAIRE SIMON, quella di Gare du Nord che due anni fa mi entusiasmò qui a Locarno, regalando oltretutto a Nicole Garcia una parte di donna tra le più belle e complesse, stilizzate e potenti degli ultimi dieci anni.

LES BOIS DONT LES REVES SONT FAITS, probabilmente il titolo più bello e suggestivo di quest'anno a Locarno, è un documentario di quasi due ore e mezza in cui la regista, macchina in spalla (si fa per dire), si introduce tra la vegetazione dell'immenso Parco di Vincennes all'interno di Parigi, pr raccontarci tutta una serie di storie vere di persone o gruppi che, grazie a quel bosco, hanno trovato l'equilibrio, il modo per soddisfare impulsi o passioni, una casa, una valvola di sfogo, un approdo o un appiglio a cui potersi Aggrappare per superare lo stress e le difficoltà della vita di ogni giorno. La cosa più riuscita e straordinaria è l'approccio come dicevo prima: sincero, diretto, frammezzato da brevi introduzioni o considerazione da parte della regista stessa, legate magari alla ciclicità delle stagioni, o alle domande da lei dirette alle persone intervistate, che trovano nella donna una valvola di sfogo verso cui aprirsi, lasciando da parte timori, falsi pudori, concedendosi alle domande con la sincerità che lo spettatore percepisce nella sua integrale genuinità.

Il bosco per incontri sessuali ed etero lascia il posto alle interviste ad una prostituta, poi si passa al raduno cambogiano dei profughi degli orrori della dittatura di Pol Pot; alla festa africana tutta danze etniche e giochi festosi, al volontario che pulisce il parco e si allena con i tronchi utilizzati come pesi; alla società che si adopera a rinnovare le piante, all'allevatore amorevole di piccioni, al portatore di cani, al barbone che ha interrotto studi contatti con la civiltà ed il denaro per rifugiarsi a stretto contatto con le asperità sincere della natura.

Due ore e mezza di contemplazione, di riflessione, di interesse che rimane vivo, alimentato dalla sensibilità non comune di una straordinaria donna di cinema.

VOTO ****

La sera in Piazza Grande affollata fino all'inverosimile, Mario Martone presenta il cortometraggio di venti minuti che ha diretto per l'Expo 2015. PASTORALE CILENTANA è un film contemplativo dei paesaggi dolci e pittoreschi della Lucania occidentale, zona montuosa in provincia di Salerno, territorio eletto a Patrimonio dell'umanità dall'Unesco, come a confermarne l'esclusività della bellezza rimasta provvidenzialmente intatta alle speculazioni e all'invadenza della civiltà, che qui asseconda la natura ed il paesaggio, ne gode i frutti ameni nel rispetto dei cicli e delle possibilità produttive, conscia del tesoro inestimabile che viene a rappresentare per una vita saldamente legata ai ritmi, alle stagioni, ai cicli naturali.

Amenità e quadri bucolici in troppo gradevoli, che sfiorano più volte la stucchevolezza, circostanza in qualche modo inevitabile, tenuto conto lo scopo per cui l'opera è stata concepita e commissionata.

VOTO ***

Dopo la premiazione del celebre attore e caratterista ticinese TECO CELIO, visibilmente emozionato per il meritato riconoscimento che premia una carriera molto vasta con nomi spesso al top della cinematografia d'autore a livello europeo, è la volta di presentare pressoché l'intero cast della nuova fatica di Barbet Schroede, AMNESIA, già visto (non da me) a Cannes fuori concorso.

Sfilano il giovane protagonista Max Rienelt, ma soprattutto l'ancor bellissima e fresca Marthe Keller e un timido e riservato Bruno Ganz, oltre che al noto regista de Il mistero Von Bulow e La vergine dei sicari.

Nel '90, l'arrivo ad Ibiza di Jo, musicista e dj berlinese ventenne che compone musica disco e sogna di poterla suonare all'Amnesia, locale top dell'isola più festaiola delle Baleari, e la sessantenne Martha, bella donna di origini celatamente tedesche, da quarant'anni rifugiata in quel paradiso mediterraneo per ragioni che non ci è concesso (almeno subito) di conoscere, crea una nuova coppia eterogenea e poco probabile, che tuttavia impara a stimarsi reciprocamente, facendo nascere un affetto madre-filiare tra i due, che sconfina pure in qualcosa di più complesso, torbido e non facilmente ammissibile.

Martha nasconde una riservatezza sulle proprie origini legata alle drammatiche vicende che sconvolsero la Germania ed il popolo ebraico durante l'ultimo conflitto mondiale. Circostanza e umori che tornano a riaffiorare quando nell'isola sopraggiungono e si materializzano i ricordi che la donna ha per decennio cercato di sopprimere, e mentre nella Berlino ancora divisa, il muro definitivamente per crollare, aprendo nuove brezze di libertà ed uguaglianza fino a poco prima inconcepibili.

Splendide vedute cartolinesche certo piuttosto edulcorate, ma non già falsate o tendenziose dell'isola, che sicuramente fanno una bella pubblicità ad una location turistica già di per sé molto nota, si alternano alla materia scottante che sta alla base di questa “amnesia” (quella della mente, che si aggiunge al nome del famoso locale notturno dell'isola) cercata dalla donna quasi per sopravvivere e come alimentata da un istinto di sopravvivenza. Più interessante che riuscito, Amnesia non aggiunge nulla alla carriera del bravo regista francese di origine svizzera, ma risplende per la bravura, oltre che per la naturale bellezza, di una Marthe Keller luminosa ed affascinante, e per un Bruno Ganz in un ruolo minore ma essenziale allo svolgimento-

VOTO ***

 

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