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Figli di una serie minore (5) – Sons of Anarchy
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Perché non esistono solo le grandi, quelle che “sono meglio del cinema” e avvinghiano gli spettatori a personaggi e situazioni indimenticabili. Perché ci sono anche quelle che, giornalmente, fanno il lavoro sporco di riempire i palinsesti delle tv generaliste (a pagamento e non), mediani di vecchia scuola (ne cantava Ligabue) che non segneranno mai, gregari che non vinceranno mai una gara (mal gliene incoglierebbe !) e sparring partners contiani a vita. Che sgomitano a metà classifica per un posto in una graduatoria Emmy e offrono rifugio ad attori snobbati o bolliti dallo “show business” cinematografico (a torto o a ragione). Che sono mediocri e felici di esserlo, creano dipendenza nel seriofilo accanito, siano esse autoconclusive o lostiane nell’intreccio, procedurali o gialli classici, comedy o fantascientifiche. Che si possono guardare con un occhio solo e pochi neuroni collegati, mentre si prepara o si consuma la cena.

Ma delle quali, spesso, non si può fare a meno.

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Sons of Anarchy è una serie trasmessa dal canale FX dal 2008 al 2014 e giunta ormai alla stagione finale (la 7^), in corso di programmazione in Italia a partire dal mese di agosto 2015 sul canale satellitare dell’emittente.

I protagonisti della storia sono una banda (club) di motociclisti, i Sons of Anarchy appunto, attivi nell’immaginaria cittadina di Charming, ridente ed anonima come qualunque altro agglomerato urbano della California, dove gli stessi gestiscono una officina meccanica. Che, in realtà, è solamente una copertura per altri traffici.

I nostri eroi, infatti, operano principalmente nel traffico illegale di armi fornite dai loro alleati irlandesi dell’I.R.A., nel tempo libero tra una scazzottata ed una sparatoria con i loro rivali storici, i messicani Mayans. Pochi sono i problemi con la polizia locale, avendo i SAMCRO (acronimo di Sons of Anarchy Motorcycle Club Redwood Original) nel proprio libro paga lo sceriffo e la polizia locale.

Il protagonista principale è Jackson “Jax” Teller (interpretato dall’attore britannico Charlie Hunnam), vicepresidente e figlio del fondatore del club John Teller (un reduce del Vietnam poi morto in un incidente stradale nel 1993) e dell’altra protagonista Gemma Teller-Morrow (l’attrice statunitense Katey Seagal); doppio cognome dovuto al fatto che quest’ultima, alla morte del marito, si risposa col suo vice, Clarence “Clay” Morrow (poi divenuto presidente), ultimo del terzetto iniziale di protagonisti interpretato dall’inossidabile Ron Perlman.

 

 

A far da corollario al terzetto di cui sopra ci sono gli altri motociclisti del club, interpretati da caratteristi vari, tra i quali occorre citare Harry “Opie” Winston (interpretato dall’attore Ryan Hurst, figlio di Rick [il Cletus di “Hazzard” !!], migliore amico di Jax, Bobby “Elvis” Munson (Mark Boone Jr.), Alex “Tig” Trager (Kim Coates) e Filip “Chibs” Telford (Tommy Flanagan), più altri personaggi che compaiono stabilmente in tutti gli episodi.

Una “famiglia” numerosa, i cui rapporti particolarmente intricati si inseriscono nel tema cardine dei problemi interpersonali e di potere del trio Teller – Morrow, oltre che con il ritorno di fiamma di Jax per una sua vecchia amata, ritornata in città, la dr.ssa Tara Knowles (l’attrice Maggie Siff, già vista in “Mad Men”).

Plot indirizzato inizialmente, almeno nelle intenzioni degli autori, su tematiche edipiche (il “triangolo” già citato) e cercando la drammaticità di una simil-orestea made in U.S.A., diluita negli accadimenti “crime” di puntata, per essere poi “risolta” al termine della sesta stagione.

Tracce teoriche che, purtroppo, rimangono ampiamente frustrate nella pratica. Perché, per chi scrive, S.o.A. è una delle serie più malamente sceneggiata che si sia mai vista.

Una tale ridondanza di buchi di sceneggiatura ed una prolissità di resa da far rimpiangere, al confronto, le sgangherate telenovelas sudamericane con Grazia Colmenares e Edoardo Palomo, se non altro fonti di risate liberatorie (ricordo ancora con piacere l’insano divertimento provato, molti anni fa, durante la visione di un paio di puntate di “Manuela” e “Cuore Selvaggio”, prima di essere allontanato per schiamazzi e commenti molesti dalla mia abituale compagna di visioni).

Qui, invece, tutti si prendono maledettamente sul serio.

Ma andiamo con ordine. Dal punto di vista scenico gli usi e costumi della gang di motociclisti vengono ben rappresentati: l’importanza delle toppe che tappezzano i loro giubbotti, la ventilata fratellanza tra i membri, i riti e le usanze, di solito alcoliche o violente, improntate ad un maschilismo e machismo manifesti (le donne del club, a parte le matriarche, servono solamente da sollazzo [il classico e scontato connubio donne e motori]), mentre appare poco credibile che l’apparato decisionale sia essenzialmente democratico, (non si contano le votazioni da parte dei soci attorno ad un tavolo fregiato con l’immancabile scheletro armato di fucile automatico). Con in più il tentativo, più emozionale che necessario (e un po’ ruffiano), di legare il plot a nostalgie anni 60-70 con l’espediente narrativo di far ritrovare a Jax il diario del padre (fulcro di quasi tutta la serie) contenente la sua concezione “romantica” di come il club doveva essere strutturato e le sue riflessioni sugli altri membri (soprattutto sulla moglie ed il suo vice). 

Ma dicevamo dei buchi di sceneggiatura: fino al termine della terza stagione non si contano le incongruenze palesi della trama, un accumulo talmente evidente da spingere spesso chi scrive a non trattenere accesi moti di ilarità.

Qualche esempio (senza “spoilerare” troppo):

- avversari dei Sons danno fuoco ad un loro magazzino con all’interno un amico ed un altro personaggio ritenuto di troppo; di questi ultimi nessuno sembra preoccuparsi né cercarli (mentre i nostri eroi cercano di capire chi siano i responsabili per un paio di puntate), salvo poi ricomparire entrambi come se nulla fosse dopo qualche giorno (!) svelando l’identità dei colpevoli ma non spiegando dove fossero finiti nel frattempo;

- un alleato dell’I.R.A., abituale fornitore di armi dei nostri, si becca volontariamente una paio di pallottole destinate a Clay durante un attentato in un pub, si salva e, incredibilmente, dopo qualche puntata lo tradisce senza pensarci un secondo (!) passando col nemico;

-  un gruppuscolo di neonazisti continuano ad operare come spacciatori nella cittadina controllata dai Sons, i quali non trovano di meglio che minacciarli “ad libitum”, senza  mai pensare di risolvere la situazione “definitivamente” (si, lo so: probabilmente ho visto troppe volte “I Soprano”), finché questi non esagerano (peccato che nel frattempo siano passate un numero spropositato di puntate);

-  un arcinemico di stagione che ha procurato parecchie magagne al club, oltre che far del male alla moglie di Clay, è finalmente in trappola (dopo una decina di puntate di “avvicinamento”) dentro un drugstore, solo; a causa di una telefonata di emergenza da parte di Jax, Clay rinuncia ad ucciderlo (!), anche se l’incombenza avrebbe richiesto meno di 10 secondi del suo tempo, dicendo che ci avrebbe pensato poi (!!). Ovviamente il tizio prende l’aereo e scappa in Europa…

-  un altro arcinemico, nella trasferta irlandese, prova ad uccidere i Sons ed i loro alleati facendo irruzione nella loro “base” ma viene sopraffatto in qualche modo. Ebbene, nonostante tutti lo cercassero da tempo, viene lasciato libero (!), con annessa solita minaccia di morte; ovviamente, appena risalito in macchina, si mette ad ordire un nuovo piano di vendetta.

-  un membro messicano del club viene ricattato da un procuratore perché diventi un informatore facendo leva sulla scoperta che il padre di quest’ultimo era un nero e che tale circostanza sarebbe vietata dal regolamento del club (!). Quindi, il nostro diventa un informatore, commette omicidi, mente e tradisce pur di non far scoprire le sue origini afroamericane. Purtroppo però di tale razzismo, realmente presente nelle bande di riders americani, non vi è traccia evidente nella stesura (politically correct) del telefilm, facendo apparire tale svolta di trama (che copre parecchi episodi) incoerente e fuori luogo;

E poi non mancano situazioni grossolane quali agenti dell’FBI che uccidono più colleghi dei delinquenti cui danno la caccia (ok, siamo in epoca post- Shield/Wire/Braquo ma qui si esagera), qualche saltuaria incursione in ambienti “prison movie” e situazioni sempre uguali a se stesse. Per fortuna, dalla quarta stagione in poi la stesura degli episodi si fa leggermente più “omogenea”, pur con la presenza delle solite (parecchie) sbavature di fondo.

Ad un certo punto, inoltre, il club si ritrova coinvolto quale complice/nemico/socio (le alleanze in SoA sono più volatili che in un partito post-democristiano) rispettivamente con I.R.A., mafia russa, mafia italiana, gang cinesi, potentissime bande di neri, F.B.I., C.I.A., A.T.F. (Federal Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives), polizia locale, la banda dei Mayans, la fratellanza ariana, Procura Generale dello Stato e messicani vari…                        

In pratica, mancavano solamente l’Impero, la Spectre e Macchia Nera (ma chissà).

Ma quando si diventa talmente famosi da essere “Simpsonizzati”, seppur in maniera inversamente proporzionale alla qualità, aumentano anche i cameo/comparsate di personaggi famosi tra i quali il cantante Henry Rollins (ovviamente nei panni di una nazista), David Hasselhoff (un regista di film hard), Courtney Love (una maestra [!!!]), Dave Navarro, Danny Trejo e l’annunciata presenza nel cast della 7^ stagione di Marylin Manson. Ma il più gustoso rimane quello di Stephen King nei panni di una (sotto)specie di Mr. Wolf motorizzato

Link:  http://videa.hu/videok/film-animacio/stephen-king-sons-of-anarchy-Hb0crWVWHme52NTe

Le magagne, insomma sono tante. La mia opinione personale, vista la sciattezza di sceneggiatura e di dialoghi, è che sarebbe stata necessaria più concisione: la maggiorparte delle puntate dura infatti un’oretta (troppo) e la parabola storica si poteva concludere in 3-4 stagioni piuttosto che in (infinite) 7 per ben 92 episodi.

Si consiglia pertanto, per chi volesse cimentarsi nell’agone glamour di questi motociclisti fustacchioni californiani, di predisporsi alla visione con (molta) spensieratezza e distacco, senza aspettarsi null’altro che (sano ?) intrattenimento televisivo, senza desideri altri di coerenza narrativa, godendosi qualche azzeccato colpo di scena ma soprattutto la presenza, fissa o meno, di grandi ed efficaci caratteristi, purtroppo sacrificati dalle pochezze già descritte: l’ottima presenza stabile di Dayton Callie, il Charlie Utter di “Deadwood”

 

ma anche, dalla stessa serie, Ray McKinnon (il reverendo Smith), Paula Malcomson (Trixie), Robin Weigert (Calamity Jane) e persino Keone Young (Mr. Wu !!). E inoltre Drea De Matteo (“I Soprano”), Mitch Pileggi (lo Skinner di “X Files), da “The Shield” C.C.H Pounder, Walter Goggins (memorabile nei panni di un travestito), Kenny Johnson, e brevemente David Rees Snell e Jay Karnes. 

 

Voto:             **

Aura Scult:   **

 

Puntate precedenti:

Haven

The Mentalist

Bones

Under the Dome.

 

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