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LOCARNO 2015 – PARDO NEWS E MANTI GIALLONERI: ENTERTAINMENT E' UN OTTIMO FILM INDIPENDENTE AMERICANO CHE PUNTA TUTTO SUL SUO COMICO PROTAGONISTA; DELUDE (SOLO ME) LA GRECA TSANGARI CON CHEVALIER E LASCIA FREDDI O FUTEBOL, PRODUZIONE SPAGNOLA/BRASILERA.
di alan smithee ultimo aggiornamento
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Un film indipendente americano dal titolo ENTERTAINMENT ci sorprende positivamente alla proiezione delle 9 di mattina, grazie all'estro comico, alla cattiveria, al degrado umorale e alla graduale discesa nell'inferno della cattiveria e dell'isteria di un comico sulla quarantina, solo e solitario, che vaga per il deserto per onorare gli impegno di serate in locali o presso feste private, proponendo il suo lugubre repertorio che sfodera un umorismo caustico e velenoso, rancoroso e così sottile e penetrante, da non essere spesso capito e lasciare interdetti, se non disgustati, i già non numerosi suoi spettatori occasionali.

GREGG TURKINGTON, presente qui al festival assieme al regista Rick Alverson, è la vera forza di un film che non si può dimenticare: duro, spietato studio di una personalità ai margini e sul punto di esplodere, quando la comicità sconfina nella violenza dapprima verbale e poi ad un passo da quella fisica; quando la rassegnazione per un successo che tarda ad arrivare, e le frustrazioni di una vita familiare allo sbando (il comico telefona ogni sera ad una figlia piccola che, dopo poco, cominciamo a pensare che nemmeno esista) si trasformano in rabbia e livore incontenibili.

Una maschera inquietante quella del comico Turkington, che ci ricorda il Piguino nemico di Batman reso con maestria malefica e maligna da Danny De Vito nella seconda trasposizione burtoniana. In un cameo veloce appare, e non si dimentica, un Michael Cera allucinato, mentre in un ruolo di contorno più sviluppato troviamo anche una star eclettica e molto volitiva come John C. Reilly.

VOTO ****

CHEVALIER è il secondo atteso lungometraggio della regista greca Athina Rachel Tsangari, dopo quel perfetto e duro Attemberg che ci aveva rivelato la splendida Ariane Labed, e Yorgos Lanthimos in veste di attore.

In Chevalier si cambia – purtroppo – completamente registro e l'occasione di seguire un gruppo di amici maschi su un lussuoso yacht noleggiato per pescare lungo tutto un week end, si trasforma in un gioco sempre più concitato, una sfida senza tregua in cui i singoli amici cercano di stabilire chi tra di loro è il migliore, padroneggiando meglio degli altri i vari campi e tipi di competizione che via via vengono inseriti nella gara. Una idea non male, che tuttavia la regista si fa sfuggire e svilire in una banale ed orgogliosa gara grottesca e virile tra maschi che finiscono per arrivare a confronti triviali tra “celodurismo” e altre sciocchezze, sfiorando la prova del “chi ce l'ha più lungo".

Un cameratismo di bassa lega che unito a scenette comico grottesche (che tuttavia la sala stampa sembra gradire assai), ci allontanano dalla freddezza spietata della precedente spigolosa, ma pregevole, opera della tenace regista, dal mio punto di vista rimandata con molte riserve alla prossima avventura.

VOTO **

Sempre in Concorso, il piccolo film spagnolo ambientato in Brasile, O FUTEBOL. La coppa del mondo di calcio 2014 costituisce l'occasione propizia per un vecchio padre malandato ma molto preparato calcisticamente e un figlio che non vede da tempo, di rincontrarsi, sfruttando l'atmosfera cameratesca e frizzante dei mondiali per cercare di riallacciare un rapporto fino a quel momento destinato alla deriva di due linee destinate a non incrociarsi mai più. Girato al risparmio, ma non privo di qualche inquadratura interessante, O Futebol rimane un po' irrisolto e forse è giusto che sia così.

Non si tratta di nulla di sensazionale, ma di un piccolo film di un autore di documentari nato in Brasile, ma residente in Spagna (Sergio Oksman) che riserva una sua dignità e sprazzi di poetica non troppo banali.

VOTO **1/2

Seguono, in pieno pomeriggio ed uno di seguito all'altro nella sala Kursaal del Casino, dedicata alle proiezioni stampa, due film molto eterogenei accomunati da un tragico filo rosso: il suicidio.

Nel canadese LES ENTRE CHERS, primo lungometraggio di Anne Emond, una morte improvvisa di un maturo padre di famiglia getta scompiglio tra la vedova ed i cinque figli: due solo di essi sanno che il padre si è dato la morte impiccandosi, ma con la complicità di un medico loro amico, spacciano il decesso come causato da infarto.

Quando dopo ben dieci anni il figlio maschio maggiore, ormai quarantenne, con un'attività artigiana avviata e due figli già ultra adolescenti, viene a sapere la verità, ne rimane sconvolto a tal punto da non riuscire a riprendersi e finendo per torgliersi lui stesso la vita con le medesime tragiche modalità.

Sarà sua figlia a dover maturare la consapevolezza di poter andare avanti mettendo una fine definitiva ad una soluzione tragica e egoistica che ribalta disagi e problematiche su chi sopravvive e deve comunque continuare a vivere. Buona argomentazione, sbagliato lo svolgimento, che scivola nel melodramma più facile e melenso, sui sorrisini di complicità e l'accumulo di situazioni da soap davvero disturbante.

VOTO **

Forse ancora più spinto e radicale, seppur animato dalle migliori intenzioni e per questo senza dubbio lodevole, risulta l'opera del documentaristica italo-bosniaco-canadese Nazareno Manuel Nicoletti, pure lui esordiente ventottenne, che ho avuto modo di incontrare in sala stampa, che con MOJ BRATE – MIO FRATELLO, ci racconta sotto forma di inchiesta, la scomparsa di un uomo di multiforme cultura, interessi e capacità: il comico, clown, archeologo e ricercatore universitario Alberto Musacchio, morto suicida nel Canada (altro filo rosso col film precedente) nel 2001. Un fratello ne ripercorre parte della storia, degli interessi che lo animavano, tra una Mostar divisa e devastata dalla guerra civile, tra Roma ed il Canada dei suoi studi universitari come docente.

Il tutto con l'ardore ed il coraggio (quindi senza la prudenza a primo avviso consigliabile) di evitare di spiegarci serenamente e con chiarezza chi fosse questo personaggio, ma dandoci informazioni solo a sparazzi sulle potenzialità del personaggio, e in modo affettuosamente garbato celandone le ragioni che lo hanno spinto al terribile gesto finale. Errore fatale, scelta ardita ma premiante? Per tutto il tempo lo spettatore cerca indizi, o quanto meno di intuire, di capire, di farsi strada su dubbi a cui non si daranno mai risposte concrete; il rischio più concreto è quello di svilire il sentimento e l'ispirazione di chi ha voluto bene allo sfortunato protagonista tanto da dedicargli questa opera.

Certo a volte il cinema, specie quello documentaristico, dovrebbe avere la perspicacia di saper mettere la materia a nudo, giocando almeno a tratti a carte scoperte, permettendo allo spettatore di capire più rapidamente, onde potersi concentrare su aspetti emotivi che qui ci sfuggono, impegnati come siamo a trovare risposte agli interrogativi che la narrazione discontinua ci impone di crearci. Ma il film è costato solo 5 mila euro, ed è l'investimento di un giovane promettente regista che ha messo anima e corpo per un progetto che speriamo possa aprirgli molte strade e consentirgli di esordire con un progetto narrativo di cui h già pronte le bozze. Basta questo per promuoverlo, anche se le motivazioni sono anche altre. Un augurio sincero il nostro, di ritrovarlo molto presto in qualche festival.

VOTO ***

La serata ci conduce in Piazza Grande, ove una pioggerellina fastidiosa minaccia fino alla fine la programmata visione all'aperto del filmone della serata: si tratta del blockbuster milionario di origine indiana (ma prodotto a Holliwood e non a Bollywood), BOMBAY VELVET.

Il film è preceduto dalla premiazione diretta alla celebre attrice francese BULLE AUGIER, a cui il Festival rende omaggio con la proiezione di alcune sue pellicole più famose, da La valleé a La salamandre, a Belle Toujours di Manoel de Oliveira, continuazione oltre ogni tempo massimo di Bella di giorno di Bunuel.

Il regista di Bombay Velvet Anurag Kashyap  in Piazza Grande intervistato da Carlo Chatrian

L'attrice Bulle Augier, pardo alla carriera per un'attrice molto amata dai grandi registi europei degli anni Settanta.

Un Robert De Niro indiano (la somiglianza è straordinaria, le espressioni sono quelle del mitico Bob, la forza del film sta soprattutto in questa circostanza) ci porta nella Bombay degli anni '70, concentrandosi sulle gesta e sullì'ascesa irresistibile e costellata di sangue di un estroso e furbissimo, dinamico uomo d'affari che si crea dal nulla con la propria astuzia e diviene dapprima proprietario di alcuni jazz club e discobar, fra cui il celebre Bombay Velvet del titolo, e poi un immobiliarista al centro di una spregiudicata speculazione edilizia mirante a far divenire l'antica città indiana, una metropoli avveniristica alla Las Vegas.

Il giovane regista indiano Anurag Kashyap ci trasporta nel mondo dei classici indimenticabili americani, diretti dai più famosi e geniali registi (italo)americani (o anche solo italiani, vedasi Sergio Leone) dai Settanta in avanti. Oltre a C'era una volta in america di Leone, intravediamo molto cinema scorsesiano, scene da Il padrino parte II, il De Palma di Scarface e altro ancora, in una storia lunghissima (troppo lunga in effetti) tutta canzoncine, amori e sparatorie a non finire.

Kashyap cita senza stancarsi, ma lo fa con correttezza, pertinenza, rispetto, opportunamente e con grande tecnica cinefila. Il film fracassone non si può dire brutto, forse sfavillante e stupefacente come una montagna russa che strabilia, ma non finisce mai di riportarti a casa dopo le giravolte spericolate in cui ti ha lanciato. La bella di turno non è nemmeno così bella, non almeno quanto ci hanno abituato certe stupende femmine indiane delle produzione made in Bollywood; ma il protagonista, il nuovo De Niro, è davvero stupefacente e vale da solo il prezzo del biglietto per questo sfavillante luna park della rivisitazione.

VOTO ***

 

 

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