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LOCARNO 2015 – PARDO NEWS E VISIONI MACULATE. GIORNO 1. SEPPURE CON TRE GIORNI DI RITARDO, LA FESTA ELVETICA DEL CINEMA INIZIA PURE PER NOI: 7 FILM, DI CUI BEN 5 DEL CONCORSO INTERNAZIONALE
di alan smithee ultimo aggiornamento
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Eccoci a Locarno, finalmente, per il terzo anno consecutivo, ed un po' in ritardo, se si pensa che il festival è già al suo quarto giorno di programma e che per cercare di recuperare siamo disposti ad affrontare un tour de force che prevede già 7 film oggi, di cui ben 5 appartenenti alla sezione principale, ovvero il Concorso Internazionale.

Gaiart, Alan Smithee e l'amico giornalista Roberto Schinardi

SCHNEIDER VS, BAX ci fa incontrare nuovamente il regista olandese di Borgman, visto a Cannes nel 2013, e ci consente di imbatterci nuovamente nel mondo bizzarro ed un po' schizzato Alez van Warmerdam, originale e arguto cineasta alla sua ottava o nona fatica cinematografica.

Storie di killer capricciosi e problematici, ma pure di vittime designate a tal punto caratteriali e devastate interiormente, da dar vita ad una lunga, incessante e frenetica caccia all'uomo che si dipana scatenata e folle tra i flutti di una zona lacustre circondata da canneti e abitazioni a palafitta.

Un andamento sostenuto che Warmerdam seziona e suddivide in piccole storie di ossessioni e di manie, dove l'ostinazione del killer e le problematiche comportamentali dell'anziana vittima, scrittore afflitto da dipendenza da stupefacenti per ritrovare fonti ispiratrici in grado di sostenerne la produzione letteraria, li rendono come burattini picareschi e a tratti irresistibili di una corsa per la sopravvivenza dai toni decisamente sarcastici e surreali. Respiri di un cinema alla Kaurismaki, decisamente meno poetico e disincantato, ma vivo, vitale, un po' fine a se stesso e raggelato quel tanto che basta per renderlo uno dei capisaldi caratteriali e sarcastici di un umorismo freddo, ma anche irresistibile, a cui ci ha abituato tanto cinema nord europero. In Concorso.

VOTO ***

Restando IN CONCORSO, con JAMES WHITE ci tuffiamo all'interno del cinema indipendente americano tutto cliché e tic isterici metropolitani da nevrosi ed irrealizzazione, per affrontare una storia di sopravvivenza e soprattutto di morte che affligge un ventenne un po' sciroccato ed inquieto, alle prese con una vita da tempo allo sbando, e i gravi problemi di salute che affliggono entrambi i genitori.

Alla morte del padre, la madre organizza un lungo e ridondante funerale in cui la cerimonia, sontuosa e impegnativa, finisce per logorare il già fragile equilibrio che tra i due, lei gallerista tutta contatti e buona società, lui disoccupato in cerca di una diritta via in cui indirizzarsi dopo troppo tempo speso a vivere in modo inconcludente. Quando anche la madre torna ad essere colpita dagli effetti di un brutto male diagnosticato tempo addietro e ora nuovamente risvegliatosi, gli incubi di una disgregazione totale diventano la cruda realtà in cui districarsi, tra ospedali rigidi oberati di pazienti e una distanza caratteriale tra madre e figlio che sembra stia per dividerli ancora più che la morte ormai inesorabilmente imminente.

Regia nervosa che si fissa imperterrita sul volto e gli occhi neri di un Christopher Abbott che sembra un nuovo Marlon Brando più accessibile e meno esclusivo, aggiornato allo sfinimento quotidiano senza uscita, e sul volto devastato dalla sofferenza di Cynthia Nixon, per raccontarci un ritratto realistico, ma anche un po' troppo abbozzato di un'America che si lascia vivere, trascinare tra i fumi di uno sballo e feste sempre più distaccate e fredde, dove l'isolamento e la solitudine riescono ad essere tenute lontane solo da quel che resta di un attaccamento familiare e da vecchie solide amicizie dure a scalfirsi col tempo. Un po' il tramonto del sogno di gloria americano, guardando con occhi realistici e inebriati dall'euforia resa nervosa da una solitudine di fondo che ormai ci crea un vuoto tutto attorno, celebrato dalla fine irreversibile di un corpo che diviene succube e vittima di una disgregazione non solo fisica, ma anche interiore.

VOTO ***

CHANT D'HIVER

Ritroviamo IN CONCORSO l'instancabile ironico maestro di cinema georgiano ed ottantenne Otar Iosseliani con CHANT D'HIVER, girotondo surreale ed arguto che sorvola vari momenti della storia degli ultimi quattro secoli, per dimostrarci come la bizzarria dei comportamenti di certi eccentrici personaggi e le maniacali attitudini mentali restino le medesime lungo distanze storiche e periodi eterogenei del corso dell'esistenza umana.

La circostanza è alla fine il presupposto per il vecchio regista, di riaffrontare i suoi personaggi di sempre, la furbizia che muove l'uomo e aiuta a preservarlo dai problemi e dalle avversità di un mondo sempre troppo avaro di soluzioni ideali e positive. Ed è anche l'occasione per il regista per dimostrare una volta di più come la tendenza dell'uomo a sfogare e dare una soluzione ai propri problemi con guerre e regolamento di conti, risulti la soluzione più attraente e immediata a cui l'essere umano finisca sempre per ricorrere, affascinato e motivato dal ricorso alla violenza e al sopruso.

Sempre gli stessi volti che delineano epoche storiche differenti, ma caratterizzate dalle medesime problematiche: quelle che rendono l'uomo un essere perennemente fragile e corruttibile, volto a raggiungere il proprio appagamento a discapito di chi gli sta vicino.

Lo stile sarcastico e brillante, disincantato e feroce è sempre lo stesso, ma forse una certa ripetitività di situazioni e circostanze, rende da troppo tempo il cinema del grande autore georgiano, un po' troppo fine a sé stesso, schiavo di teoremi e punti di vista che finiscono per ritornare fino all'ossessione, rischiando la maniera laddove un tempo tutte queste caratteristiche venivano comprese ed interpretate come una forza di carattere e un motivo di denuncia, che ora finisce per trasformarsi in ripetizione ed esercizio di stile, in un caos narrativo che ora comincia davvero a lasciare perplessi. Nel cast eterogeneo, pure Enrico Ghezzi.

VOTO **1/2

TE PROMETO ANARQUIA (I PROMISE YOU ANARCHY), anch'esso IN CONCORSO, è l'opera di un giovane regista messicano che ci introduce nel mondo incerto e tutto traffici illegali in cui vive Miguel, giovane skateboarder, assieme al suo amico ed amante Johnny. Una vita a sfidarsi con la tavoletta a quattro ruote tra le geometrie affusolate e convesse di una Città del Messico tentacolare e spettrale, devastata dal cemento e dal vizio, dal traffico clandestino e dalla vendita di se stessi, del proprio corpo, del proprio sangue, come unico strumento per cercare di sopravvivere.

Traffico di plasma e corpi che si fanno prosciugare pur di racimolare qualcosa per il proprio incerto sostentamento, membra che si intrecciano, corpi che si amano quando l'attrazione tra ragazzi giovani e belli riesce ad avere la meglio sull'istinto di sopravvivenza che spinge a vendersi al migliore offerente. "Te prometo anarquia" è una storia di un nuovo affascinante vampiro che succhia il sangue corrompendo medici conniventi per dar vita ad un commercio clandestino che finisce per andare ben oltre limiti già di per sé inaccettabili, trasformandosi probabilmente in un mercato di organi che diventa la materia di un vero e proprio incubo metropolitano dagli effetti atroci e devastanti.

Regista ed attori principali de Te prometo anarquia alla conferenza stampa

Cordon non cede alla tentazione di fornirci molte spiegazioni, ma indugia sul fascino dei corpi belli ed armoniosi nonostante siano provati dalla tentazione di svendersi e cedersi al miglior offerente. Vedute e sguardi su palcoscenici metropolitani di degrado affascinante e potente in cui si abbandona una regia che segue i nostri ragazzi orgogliosi e determinati solo apparentemente da lontano, visto che in fondo egli li ama e li sostiene fino in fondo al sentiero di perdizione da cui sarà davvero impossibile, generalmente, uscire.

VOTO ****

Ultimo film in Concorso della lunga concitata giornata cinefila, BRAT DEJAN (Fratello Dejan) è un esperimento indefinibile, a metà strada tra documento e fiction, che ci racconta l'ultimo anno di vita, nascosto e celato in panni che lo rendano irriconoscibile come l'uomo qualunque, di un efferato generale responsabile di eccidi ed orrori durante la Guerra dei Balcani.

Tra impossibilità ad adeguarsi al rango di una persona come tanti, alla necessità di rimanere nascosto per evitare processi da parte di un tribunale internazionale che lo attende da anni al varco per pagare un debito di sangue che è lo stesso di tutte le guerre dall'inizio della storia umana sulla terra, la vita ordinaria e celata del temibile aguzzino ci mostra più che altro un uomo fragile ed insicuro, che non sapremo mai se proteso al pentimento, o solo reso più fragile in conseguenza del lungo isolamento ai margini della società e del mondo.

Il film procede lento e indecifrabile, incapace di raccontare, ma anche di documentare, spiazzando lo spettatore che aspetta qualche cenno per capire, per interpretare, trovando solo incertezze ed indecisioni su come impostare un racconto e come far maturare almeno la bozza di una personalità che non riesce davvero ad emergere e a disegnarsi, a caratterizzarsi per quel minimo che meriterebbe un personaggio controverso e quasi diabolico come quello che si tenta di farci scoprire.

VOTO *1/2

L'opulenta e simpatica AMY SCHUMER è la star della serata in una Piazza Grande parzialmente messa in pericolo da un temporale che da un lato impensierisce gli organizzatori, dall'altro rinfresca il clima meteorologicamente bollente creatosi in giornata. 

TRAINWRECK (da noi molto banalmente Un disastro di ragazza....sic...), diretto dal celebre indagatore scaltro di finezze caratteriali e disagi/bilanci post giovanili Judd Apatow e scritto dalla stessa Schumer assieme alla sorella, parimenti carina ed opulenta, rubizza e simpatica, nonché presente pure lei in piazza, è la storia brillante e divertente di una nuova Bridget Jones, che da tempo è ossessionata dalla convinzione paterna che la monogamia è una situazione irrealistica ed umanamente impraticabile, ma che poi viene sempre in qualche modo a perdere le occasioni sentimentali più opportune della sua vita, per quel concetto un po' libertino e moderno del destino già scritto della storia di coppia che il genitore le ha tramandato ed inculcato nella mente.

Giornalista per una testata nazionale di gossip, tendenza ed approfondimento, Amy viene ingaggiata controvoglia dalla sua capa (Tilda Swinton grandiosa, top manager levigata e quasi irriconoscibile) a scrivere un pezzo sullo sport e la irragionevole maniacalità che gira attorno al suo mondo: troverà modo per conoscere la persona del cuore in un medico sportivo che proverà a farle capire come le teorie paterne non sono sempre la soluzione ideale e inequivocabile per sopravvivere alle ipocrisie del proprio tempo.

Commedia brillante scritta con brio, un po' troppo lunga e dispersiva, ma a tratti davvero divertente (John Cena, attore di action frusti e body builder immenso e definitissimo, qui nei panni ironici e piccanti dell'amante geloso e auto compiacente, bambolo sessuale compiaciutissimo e vanesio, è straordinariamente comico), Trainwreck riesce a divertire lasciando una traccia di serietà e di profondità nel sottotesto che ne sta alla base.

VOTO***

JACK conclude molto bene una giornata concitata di cinema. Un thriller austriaco incentrato sul personaggio stravagante e inaccessibile di Jack, un assassino seriale accusato dell'assassinio di ben 11 donne, e condannato in prigione in seguito al ritrovamento del corpo di una di esse, nudo ed assiderato vicino ad un albero nella campagna desolata.

Fascino del personaggio dai tratti ferini e mefistofelici, o della celebrità più istrionica e acchiappa favori, sta di fatto che Jack, uomo piacente dalla personalità trascinante, che in quindici anni di detenzione studia e si istruisce tanto da divenire quasi un teorico della propria controversa e discutibile personalità e della propria irresoluta dichiarazione di innocenza, diviene anche un idolo, soprattutto delle donne, categoria che invece dovrebbe detestarlo e temerlo per le nefandezze e gli orrori di cui è accusato.

Johannes Krisch in Piazza Grande alla presentazione del film 

In regia la cineasta austriaca Elisabeth Scharang, che tesse abilmente le gesta dell'istrionico personaggio, a cui un fantastico e ferino Johannes Krisch (da me visto di recente nel buon Lena in un ruolo dalle caratteristiche agli esatti antipodi) dà volto con magistrale capacità interpretativa. 

Un film teso e lugubre che avvince e riesce ad affascinare, nonostante la laida figura da cui si erge quasi ironicamente a baluardo, cercando di farci entrare nei meandri di una mente contorta che non sappiamo mai esattamente renderci conto se sia guarita, pentita, o se stia solo diabilicamente giocando con noi e la nostra ingenua credulità di anime poco smaliziate.

VOTO ***1/2

 

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