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OLTRECONFINE (18): TORNA IL QUARTETTO MARVEL PIU' FAMOSO; MA ERA PROPRIO NECESSARIO? PER FORTUNA AL CINEMA SI VEDONO ALTRI MONDI DECISAMENTE PIU' STIMOLANTI: L'INDIA CHE GUARDA ALL'AMERICA, L'ESTATE LITUANA E CALDA DI SANGAILE; UNA BAND DI BELGI SCATENATA
di alan smithee ultimo aggiornamento
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"Appunti veloci e primo impatto sul cinema che ci precede, su quello che ci sfiora, o addirittura ci evita; film che attendiamo da tempo, quelli che speriamo di riuscire a vedere presto, ma pure quelli che, temiamo, non riusciremo mai a goderci, almeno in sala." 

 

Prosegue senza accennare a momenti di stanca l'estate cinefila francese, che richiede un certo impegno per evitare di perdere alcune delle più succulente proposte che ogni mercoledi ritroviamo nelle sale: film da tutto il mondo, da molti festival - questa settimana ben due film dal Sundance - circostanza che ci permette ipotetici ed ideali viaggi attorno al globo, molti dei quali destinati a restare nella memoria.

Ma iniziamo dal blockbuster, nuova trasposizione milionaria (di costo e, probabilmente, di incasso) Marvel, per spostarci su orizzonti cinefili che mi interessano di più e mi lasciano emozioni o ricordi decisamente più esclusivi.

 

FANTASTIC 4 - I FANTASTICI 4

C'era bisogno di un reboot del quartetto più famoso di casa Marvel? Ce n'era bisogno come nel caso dell'Uomo Ragno: per aggiornare cinematograficamente una saga tra le più note ed apprezzate della celebre casa editrice di fumetti (ora più che mai a tempo pieno convertitasi in società produttrice); per lucrarne altri guadagni stellari, ed in questo caso solo, per cercare di rinverdire e migliorare la riuscita cinematografica che nella prima accoppiata di film, non aveva trovato proprio un'amalgama perfetta ed indimenticbile, un po' come successo anche ad un altro ottimo ed interessante supereroe, quel DareDevil sacrificatissimo e banalizzato nella versione cinematografica in modo inaudito.

Come avvenuto per Peter Parker, le nuove avventure di Reed Richards, Johnny e Susan Storm e Ben Grimm partono dall'inizio, anzi prima: da bambini, per ritrovarli dieci anni dopo ancora giovanissimi, troppo acerbi ed imberbi (ci scuserà la Donna Invisibile) rispetto ai corrispettivi su carta disegnata. Si perché a parte Johnny Storm-Torcia Umana, diciottenne pure nel fumetto, se ben ricordate Mr. Fantastic porta basette già ingrigite e il suo amico Ben gli è coetaneo .

Detto, anzi lamentato questo aspetto, e comunque dettaglio posto in essere per richiamare a sé una fascia di pubblico sempre più vasta oltre agli irriducibili fan senza età del fumetto, questo il film ripercorre la genesi dell'eterogeneo quartetto, spostando la genesi al compimento dell'esperimento che il giovane Richards già da piccolo si sforzava di mettere a punto: il trasporto della materia per via molecolare e sfruttando le regole della fisica quantistica. La circostanza fa sì che il gruppo finisca in un universo parallelo dove i quattro ordinari personaggi vengono trasformati in mutanti dai poteri terrificanti o straordinari, a seconda di come li si voglia intendere, dovendo combattere un quinto elemento, loro ex amico, trasformatosi nel diabolico (ma qui in questo contesto poco efficacemente caratterizzato e molto fine a se stesso), Dr Destino, un cattivo alla Magneto, ma con molto meno carisma da ostentare.

La prima parte può anche andare, ma poi il film diventa una baracconata puerile e anche un po' noiosa che ci conferma ancora una volta la difficoltà di rendere cinematograficamente un fumetto che sulla carta creava quasi dipendenza tanta era la presa su me e molti altri individui, teenagers negli anni Settanta.

Miles Teller (Whiplash) e Jamie Bell (Billy Elliott, Nymphomaniac e molti altri), davvero troppo imberbi per il ruolo, si rivedono volentieri, anche se quest'ultimo, ricoperto troppo presto di pietre diviene una maschera castrante e limitativa per l'espressività abituale del giovane volitivo interprete. Alla fine Kate Mara, sorella di Rooney, sembra la figlia dei primi due ed in effetti, trentaduenne, appare come la migliore e la più aderente al personaggio.

Null'altro da segnalare, se non una certa banalità di trasposizione, che la regia un po' qualunque e senza inventiva di tal John Trank (il cui precedente Chronicle - sempre con Michael B. Jordan, Torcia umana di colore per un aggiornamento politically correct che strizza l'occhio alle famigie allargate e multietniche - tuttavia non era proprio niente male) non aiuta a rinfrescare, rendendo questa rivisitazione un clone che fa quasi rimpiangere il duetto precedente a cura del molto meno interressante Tim Story. Perché aspettare un mese ed oltre a distribuirlo in Italia non si capisce bene: poi parlano si pirateria diffusa. Film cone questo e Ant Man, animazioni anche intelligenti e riuscite tipo Minions e ViceVersa, riempirebbero le multisale senza sacrificare incassi e a settembre potremmo usufruire di una distribuzione ragionata che non penalizzi, soffocandoli, i soliti piccoli ed indifesi film d'autore, quelli si meritevoli di un certo accurato protezionismo. Siamo sempre alle solite......

VOTO **

UMRIKA

Il miraggio dell’America che da sempre costituiva l’isola dell’opulenza e dell’avverarsi dei sogni di serenità, illudendo spesso e portando a fine tragiche poveri migranti provenienti da molti paesi allo sbando tra miserie e povertà.

L’Umrika è dunque il progetto che un giovane indiano di nome Udai decide di far suo, per cercare ricchezze e prosperità impossibili in terra natia. Peccato che negli anni i genitori ed il fratello non facciano che ricevere lettere periodiche senza mai avere la possibilità di rivederlo (un viaggio di ritorno da parte dei migranti era a dir poco impossibile, eccetto per chi – assai pochi – faceva davvero fortuna).

Ma quando il fratello più piccolo, ormai cresciuto, scopre, in occasione della morte del padre, che in realtà le lettere del fratello erano scritte dal defunto in complicità con lo zio gendarme, al fine di non far morire di crepacuore una madre timorosa e bisognosa di buone notizie, ecco che il ragazzo decide di intraprendere lui stesso un viaggio innanzi tutto nei meandri oscuri di Mumbai, il porto dal quale risulta partito il fratello, e luogo oltre il quale si sono perse le tracce del ragazzo. Un’epopea drammatica che lascia spazio alla commedia, al sentimento, secondo la tipica tradizione del cinema indiano, indirizzata alla scoperta di una sparizione misteriosa, che spinge un amorevole fratello a rischiare la vita, senza darsi mai per vinto, per nulla arrendevole alla circostanza che il fratello possa essere deceduto in una qualsiasi anche fortuita circostanza.

Presentato con successo all’ultimo Sundance, dove ha ottenuto il premio come miglior film drammatico, Umrika è un’opera prima intensa e ben girata e scritta dal giovane regista esordiente Prashant Nair, ed interpretata da due divi noti ormai anche in Occidente: Suraj Sharma (Vita di Pi) nel ruolo del protagonista, volto intenso e suggestivo che si cala a perfezione nei timori e nelle paure di un giovane disposto a rischiare tutto se stesso pur di risalire alla verità e venirne a capo, e Tony Revolori (Gran Budapest Hotel), nel ruolo minore ma fondamentale di un suo collaborativo e cameratesco compagno.

VOTO ***1/2

 

JE SUIS MORT…MAIS J’AI DES AMIS

Bouli Lanners, monolitico attore (ma anche regista, suo l’ottimo Eldorado road) responsabile di delizie come Louis Michel o  Mammuth, o di opere terribili, sferzanti di morte e geniali come Kill me please, è il Gerard  Depardieu belga che, al servizio dell’esordio registico di un certo Malandrin (cognome quanto mai opportuno e profetico), dà vita ad una spassosissima commedia dove voglia di vivere e morte si danno la mano rincorrendosi ironicamente e ammiccando sulla strada di una allegria contagiosa e a tratti irresistibile.

Una band di corpulenti musicisti rock ha in progetto di partire per un concerto a Los Angeles.

Per un caso fortuito misto a disgrazia tragicomica, il cantante del gruppo una sera, senza voce e mezzo ubriaco, cade inavvertitamente in una fossa e muore d’infarto.

Gli amici lo piangono affranti, ostacolati dai parenti ostili e altezzosi, che ne sviano il funerale, ma facendosi sottrarre le ceneri dai primi, che intendono portarlo con loro al concerto negli Usa.

Peccato che in quel frangente scopriranno un capitolo nascosto legato all’intimità del compagno defunto, tra ironia e sentimento, schiettezza greve ma sincera, e bontà d’animo che va oltre ogni calcolo o malizia.

Je suis mort… è una commedia spassosa e divertentissima che non racconta nulla di straordinariamente nuovo, ma percorre i binari ben oliati del cameratismo e dell’amicizia più pura e disincantata, argomento e motivazione tra le più solide a giustificare una vita in pace con se stessi, ed orgogliosi delle proprie scelte e delle attitudini legate alle singole personalità e caratteri.

VOTO ***1/2

 

THE SUMMER OF SANGAILE

Sempre dal Sundance 2015, ove ha diviso col precedente Umrika il premio come miglior film drammatico, ma selezionato anche nella sezione panorama all’ultima Berlinale, il lituano The summer of Sangaile è il più bello e potente film tra quelli qui citati in questo oltreconfine.

L’estate della diciassettenne Sangaile si consuma tra solitudine ed incertezza nella bella ma un po’ asettica casa di villeggiatura tra boschi ameni e lago dei suoi genitori (la ragazza tra l’altro vive con un certo disagio l’aurea di perfezione e di celebrità di cui gode ancora la bella e ancor giovane madre, ballerina di fama molto nota nel paese), ed un piccolo aeroporto ove la giovane rimane affascinata durante una festa dai numeri circensi di una squadra acrobatica di piloti. In quel frangente la giovane conosce la poco più che coetanea Auste, carattere opposto al suo, un pò ombroso e schivo, ed al contrario vitale e schietto, solare e aperto.

Tra le due ragazze nasce l’amore che entrambe non riescono a condividere con i ragazzi del proprio gruppo di villeggianti.

La fascinazione per il volo da parte di Sangaile è resa imperfetta dal senso di vertigine che la affligge, facendole provare brividi freddi nei suoi sogni adrenalinici, che la vedono sospesa tra i boschi ed il parco della villa moderna e stilizzata che si staglia tra la radura e le montagne.

L’amore contrastato tra le due donne troverà il giusto flusso per essere coerente con le rispettive opposte personalità.

Il regista lituano esordiente Alanté Kavaité si sofferma sul contrastante modo dio comportarsi delle due ragazze, e arriva a rappresentarne le differenza anche grazie al modo contrastante in cui le due donne concepiscono l’arredamento delle reciproche stanze da letto: scarna ed essenziale quella di Sangaile, barocca, disordinatamente controllata ed eccentrica quella di Auste, che ne disegna e rappresenta la confusa ma geniale personalità da creativa ed artista.

La paura del volo ed il senso di vertigine verranno superati da Sangaile con la forza dell’autocontrollo e con la serenità d’animo che placherà antiche ostilità caratteriali apparentemente irrisolvibili ed impenetrabili come macigni.

Il film convince e si lascia apprezzare soprattutto per il confronto stimolante e suggestivo tra queste due opposte antitetiche personalità, che impareranno a guardare ognuna nell’intimo dell’altra per trovare completamento e soddisfazione, autocontrollo l’una e una benefica valvola di sfogo e coerente controllata follia l’altra.

VOTO ****

 

LOVE IN THE TIME OF CIVIL WAR

Ci spostiamo dall’estate lituana ai freddi inverni canadesi nel Quebec per parlare del secondo film di Rodrigue Jean, presentato al TIIF (Toronto International Film Festival) del 2014.

In una Montreal raggelata climaticamente e nei sentimenti, seguiamo l’odissea drammatica e di stenti di un giovane tossicodipendente omosessuale di nome Alex, sempre alla ricerca, assieme ad una banda di amici e colleghi di sventura e di vizio, di una dose e di un tetto ove ripararsi dai freddi inverni delle sere ghiacciate; prostituendosi per soldi ma non senza soddisfazione, vagabondando strafatto fino a finire nel mezzo di una rivolta studentesca e di lavoratori che servirà da espediente per rappresentare degnamente l’orgoglio di far sentire la loro voce, di mostrare tutto quello che resta della fierezza e della bellezza che la gioventù riesce ancora a mantenere su corpi oltremodo scalfiti se non devastati dal vortice tentacolare della droga.

Lungo, a tratti ripetitivo e un po’ avvitato su se stesso, il film si avvale tuttavia di un valido interprete protagonista, Alexandre Landry, apprezzato e conosciuto un paio di anni fa a Locarno in cui presentò il tenero Gabrielle.

VOTO **

 

Prossimamaente su questa rubrica, visti per voi....ma anche per me:

La Palma d'oro 2015:

da Locarno:

ma ancora

e lei, la "Nina de fuego", ovvero

e molto altro, di ritorno dall'abbuffata svizzera al Festival di Locarno.

 

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