Difesa ed illustrazione di uno stile
A volte capita di rivedere un vecchio film americano in bianco e nero degli anni ’40. Le reti rai e mediaset si guardano bene dal trasmetterli. Roba vecchia che i giovani disdegnano. La 7, invece, ha il merito di trasmetterne alcuni nella prima fascia pomeridiana, anche se poi sono sempre quelli in magazzino. Quel che mi preme qui notare è quanto di quel vecchio e glorioso cinema continui a persistere, a influenzare (e non dico condizionare) il cinema contemporaneo. Non è raro rilevare come grandi registi attuali siano tentati dal girare un loro film in bianco e nero. Mi riferisco a Wenders (LO STATO DELLE COSE) , ai fratelli Coen (L’UOMO CHE NON C’ERA), a Woody Allen, che addirittura ne gira diversi e a tanti altri. Sarebbe banale credere che si tratti di una semplice voglia, di un innocuo capriccio. Credo che sia invece un serio e mai scontato esperimento che richiede, oltre che competenza tecnica, una notevole dose di “empatia” per un cinema che non è mai veramente morto e che tanto ha dato, in termini di contenuti, ricerche stilistiche e visioni anticonformiste del mondo.
Quando parliamo di cinema in bianco e nero anni ’40, pensiamo subito al “noir”. Ora, se c’è un termine abusato e mal interpretato, è proprio il noir. Per una gran parte di pubblico, con questo termine si indica il cinema anni 40 nel suo insieme. Per molti altri, ci si riferisce soprattutto al cinema poliziesco di quel decennio. Per pochi ( e io sono fra questi) il noir è essenzialmente uno stile visivo che, combinato con determinate tematiche, crea un vero e proprio genere che influenza l’intero cinema americano del decennio ed oltre.
Non è mia intenzione discettare ora su ciò che è noir e ciò che non lo è. Sarebbe una discussione che ci porterebbe molto lontano, anche se tremendamente interessante. Suggerisco a chi intende farlo, di leggersi i fondamentali lavori di Paul Schrader, di Jack Shadoian, di Borde e Chaumeton, tanto per citarne alcuni. Vorrei invece capire il motivo per cui questi registi attuali sentano il bisogno, nella loro cinematografia, di inserire opere che sembrano trarre spunto dalla particolare atmosfera di quel decennio.
Prima di passare a tentare una possibile risposta, è necessario soffermarsi, sia pure brevemente, su alcuni elementi essenziali del noir ed inquadrarli nell’epoca in cui esso trionfava. Non è anzitutto completamente esatto dire che si tratta di uno stile del tutto americano. In effetti, gran parte del peso e della qualità di questo stile va attribuita a quella notevolissima schiera di registi, attori, operatori, musicisti e sceneggiatori che avevano lasciato l’Europa prima dell’inizio della seconda guerra mondiale e, specialmente, la cosiddetta Mitteleuropa. Quello che stava accadendo, in effetti, era un graduale, anche se abbastanza veloce quanto chiaro, avvicinamento a uno dei periodi più bui della nostra civiltà. Negli Anni 20, in Austria, ma soprattutto in Germania, stava fiorendo una generazione straordinaria di menti, di stili originali, ricerche visive tali da far invidia al panorama culturale di quel tempo. In quegli anni si stava ormai imponendo una corrente artistico-culturale che denunciava, al proprio interno, germi inquietanti di una presenza ossessiva, non dichiarata eppure tale da condizionare pesantemente lo sbocciare di una maniera inaudita di interpretare la realtà.
ESPRESSIONISMO E CINEMA
L’Espressionismo nasce nell’Europa centrale negli anni che vanno dal 1907 al 1927 per alcune arti, mentre per quelle dello spettacolo, si estende fino al 1933. E’ una corrente artistica che ha radici nel Romanticismo. Nella felice intuizione di Mario Verdone, padre di Carlo (cfr. ELEMENTI PER UNA ANALISI DEL CINEMA ESPRESSIONISTA, Atti del Convegno internazionale di studi su Carl Mayer, Edizioni bianco e nero del centro Sperimentale di Cinematografia, 1969) si caratterizza per una forte esaltazione dell’io e si rivolge contro tutto ciò che è tradizione, autorità, la rispettabilità borghese e, in senso lato, la quiete. Per capire meglio, forse è opportuno pensare al quadro di Munch (L’urlo) e a pittori come Kokoshka e Kandinsky. In esso la tensione, il pathos sono stati naturali dell’individuo. Si esprime figurativamente attraverso la distorsione e i suoi sogni sono incubi. Ciò che in natura è forma, nell’Espressionismo è deformazione. Si inserisce di prepotenza nelle correnti culturali e artistiche che traggono le proprie pulsioni e visioni nell’inconscio. in effetti,questa corrente sembra dilatare, accrescere in modo quasi grottesco, il senso di oscura minaccia che sembra aleggiare sull’uomo e sul mondo che lo circonda. Collegare questa atmosfera cupa all’imporsi del nazionalsocialismo è scorretto (IL GABINETTO DEL DR.CALIGARI di Robert Wiene (uno dei primi film espressionisti) è infatti del 1919, mentre Hitler ascende al potere nel 1933. Secondo Roberto Paolella, LO SPIRITO TEDESCO E L’ESPRESSIONISMO (Ibidem), l’Espressionismo andrebbe studiato come costante dello spirito germanico, di ieri, di oggi e di sempre e nelle sue espressioni più congeniali ed autentiche, come la concezione tragica dell’essere e del divenire nell’individuo, nel contesto sociale cui appartiene. Tuttavia, guardando questi primi film espressionisti, viene spontaneo scorgere le avvisaglie di una temperie buia e gravida di pesanti incognite sul futuro della democrazia in Germania. Già era possibile scorgerle dopo la disfatta della prima guerra mondiale, l’avvento della Repubblica di Weimar (1919), i moti spartachisti, il formarsi dei primi Freikorps e il putsch di Kapp (1920). Col passar del tempo, i disordini sempre più gravi, la terribile crisi economica e lo sgretolarsi della fragile democrazia tedesca diventava sempre più chiaro che la tentazione autoritaria stava prendendo sempre più piede. La fuga di centinaia di artisti verso l’Inghilterra, la Francia e poi l’America (di cui buona parte erano ebrei) era un segno evidente della sfiducia che ormai si nutriva per il futuro del Paese. L’America rappresentava, per la gran parte degli artisti che avevano lasciato la Germania, una specie di terra promessa, dove era molto più facile (almeno così pensavano)ottenere delle opportunità rispetto alla vecchia Europa, ancora troppo legata a vincoli di varia natura.
E’ chiaro che non poteva trattarsi di rose e fiori ed è altrettanto evidente che l’America non avrebbe disteso tappeti rossi per accogliere quel nutrito gruppo di intellettuali provenienti dal vecchio continente. Basta rileggersi le autobiografie e le biografie di tanti mitteleuropei per rendersi conto delle difficoltà, delle umiliazioni, dei fallimenti cui essi andarono incontro. Basti pensare al fallimento di un pilastro dell’aristocrazia teatrale mitteleuropea come Max Reinhardt, alle vicissitudini di Bertolt Brecht, alle umiliazioni inflitte a Otto Preminger dal potentissimo produttore della 20th Century Fox Darryl Zanuck, a quelle inflitte a Fritz Lang da Louis B.Mayer della MGM e alle tante carriere stroncate da un sistema spietato e spesso, troppo spesso, ignorante. Quelli che riuscirono, malgrado tutto, ad avere successo, ebbero l’enorme merito di condizionare in buona parte la cinematografia americana che va dalla fine degli anni 30 all’inizio degli anni 50.
Prima che arrivasse la corrente mitteleuropea, il cinema americano era dominato dall’ottimismo che si cominciava a respirare dopo che era finita l’epoca della Grande Depressione(1929-1933) e si stava consolidando il raggiungimento degli obiettivi rooseveltiani del New Deal (1933-1937). Lo Star System prendeva sempre più piede e si consolidava l’impero degli studios delle maggiori case di produzione cinematografiche. L’avvento della Seconda Guerra Mondiale (che negli USA ha luogo alla fine del 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor) pone i grandi moguls di Hollywood davanti ad alcuni interrogativi capitali: cosa produrre in tempo di guerra? Film di evasione? Film di sostegno al Paese in guerra? Film di propaganda? Non ci furono risposte univoche, ma indubbiamente le pressioni esercitate dalle alte cariche governative per richiedere alla Case di Produzione un certo impegno (anche se non esclusivo) per il sostegno morale alle truppe e la politica di “supporto” rivolta al Fronte Interno ebbero successo. Chi più chi meno diede il proprio contributo. E non sono neanche da disprezzare alcuni di quei film, chiamati sbrigativamente di propaganda, ma sicuramente di qualità (basti pensare a film come CASABLANCA (di Michael Curtiz).
IL NUOVO STILE VA A HOLLYWOOD
Uno dei primi tedeschi ad arrivare a Hollywood fu Friedrich Murnau, nel 1926. Era già molto famoso in patria per aver diretto, nel 1922, NOSFERATU. Egli è rappresentante dell’altra corrente cinematografica che si era andata imponendo in Germania e cioè il Kammerspiel (l’opposto dell’Espressionismo: in questo, l’inquadratura fissa, il montaggio quasi non esiste e non vi sono movimenti di camera. Tutto questo porta ad una sensazione di oppressione e di claustrofobia che si sarebbe presto trasferito nelle scene in interni, buie e opprimenti del noir americano. Il Kammerspiel invece vede la realtà attraverso gli occhi del personaggio: è estremamente mobile e segue, quasi pedinando, i vari personaggi per mostrarceli da vicino. Si tratta di una tecnica rigorosa, quasi fredda, scientifica. Murnau è un po’ il “trait d’union” fra le due tecniche, visto che nei suoi film troviamo elementi tipici espressionisti.
Quello che ci interessa rilevare qui è che nel cinema espressionista e citiamo ancora Verdone, la scena non è naturale, ma psicografica. Essa non vuole rappresentare le cose ma esprimerle attraverso il mezzo stesso, valendosi del chiaroscuro, della geometria, della vibrazione, del deformato.
L’importanza di queste tecniche, di questa visione psichica ed innovativa fu enorme. Non sarebbe esagerato affermare che l’influenza dell’immigrazione artistico-culturale germanica è forse il fatto più importante nella storia del cinema americano. Presto, la competenza, la professionalità, lo spirito innovativo germanici conquistarono Hollywood e ne influenzarono tematiche, generi e tecniche. A partire dal 1944 e per qualche anno ancora, il cinema americano cambiò volto. Anche generi americani per antonomasia, come il western, ne furono contagiati (basti pensare a un film come NOTTE SENZA FINE (1947) di Raoul Walsh. Pure registi, artisticamente lontani dalla sensibilità mitteleuropea come Howard Hawks e Delmer Daves, ne subirono il fascino e contribuirono anch’essi a celebrarne i fasti dirigendo opere vicine o vicinissime alle nuove tecniche, come IL GRANDE SONNO(1946) dI Hawks e LA FUGA (1947) di Daves .
UNO STILE “TRASGRESSIVO” ED INNOVATIVO
Le nuove tecniche, però, non potevano essere separate dall’elemento psicologico e culturale che le aveva ispirate. Accanto ad opere, come si diceva prima, di chiara propaganda e sostegno allo sforzo bellico o di pura evasione, cominciava ad affacciarsi, nei film di genere poliziesco, criminale o, semplicemente, drammatico, una maniera nuova di interpretare la realtà, che spesso, se studiata attentamente, sembrava sconvolgere i tipici punti di riferimento della società americana, mettendosi di traverso rispetto alla visione tradizionale veicolata dai film che contemporaneamente venivano proiettati in quel periodo (appunto i film d’evasione e propagandistici). In effetti, in queste opere, si faceva strada, accanto ad una visione cupa e pessimistica della vita, una serie di elementi che rompevano i canoni classici della società americana. Mi riferisco ad esempio al ruolo della donna, ora diventata, da donna fedele, sottomessa e angelo dl focolare, una donna dominante, capace di sedurre e ridurre alla propria volontà il maschio. Una specie di donna-ragno che attira la preda e la porta poi alla distruzione. (cfr. L’OMBRA DEL PASSATO, LE CATENE DELLA COLPA, LA FIAMMA DEL PECCATO ecc.). un altro elemento era poi l’assenza della famiglia. In molti di questi film, l’eroe, per così dire, è un detective o un avvocato o un uomo qualunque che vive solo e sembra fare a meno, tranquillamente, della donna come compagna di vita e madre di eventuali figli. La famiglia, insomma, viene vista come impedimento alla piena realizzazione dell’uomo. Questi elementi, ed altri ancora, inseriti in contesti per lo più urbani, in interni quasi claustrofobici, con illuminazione di tipo orizzontale e volutamente inquietante concorrono a creare un vero e proprio stile che verrà chiamato “noir” e che segnerà per diversi anni un modo nuovo di fare cinema, sia dal punto di vista tecnico sia da quello della filosofia della vita.
Accanto cioè ad un cinema che sosteneva e difendeva i pilastri della società americana e cioè Dio, patria, famiglia e dollaro, si stava affacciando un tipo di cinema che tali pilastri negava o, almeno, non considerava più come tali. Il grande pubblico non si accorse immediatamente di questa dicotomia. Però, il successo che questi film cominciavano ad ottenere cominciò a far riflettere. Gli Studios fiutarono l’affare e promossero questi film da B-Movie a produzioni di budget da serie A. Un film di successo ritenuto minore come DETOUR – DEVIAZIONE PER L’INFERNO (1945), di Edgar G. Ulmer (messosi in luce nel 1934 con BLACK CAT), prodotto a basso costo e con scenografie riciclate da altri film, fece capire che con attori di grido e budget maggiori si sarebbero potuto fare notevoli guadagni.
Fra il 1944 e i primi anni ’50, questo stile visivo, sorretto da una visione del mondo pessimista e cupa, divenne una caratteristica di alcune grandi Case di produzione come la Warner Brothers, la Columbia, la Universal e la RKO. A qualcuno però queste storie così negative, questi personaggi femminili così lontani dai canoni classici americani cominciavano a dare fastidio. La presenza di grandi scrittori di cinema, di grandi artisti europei e di registi progressisti, unita allo scoppio della Guerra Fredda, cominciò a segnare l’inizio della fine. Per la verità, l’elemento artistico rivoluzionario, il carattere trasgressivo ed anticonformista, si erano andati diluendo poco a poco e, spesso, come sempre accade, venivano utilizzati i segni esterni del noir e si andava perdendo quella che aera l’ispirazione autentica ed originale. Registi come Lang, ma anche sceneggiatori e attori vennero sospesi dai loro Studios dopo le indagini avviate dalla HUAAC, la famigerata Commissione che indagava sulla presenza di comunisti nel mondo dello spettacolo. Alcuni di loro non tornarono più al lavoro e dovettero vivere di espedienti.
RIVENDICAZIONI
Quella straordinaria stagione artistica pareva ormai del tutto finita. Poi, poco a poco, calmatesi le acque, la critica, gli intellettuali, parte del pubblico cominciarono a rimpiangerla e, non potendola ormai più risuscitare, cercarono, ciascuno nel loro campo, di riportarla alla memoria del pubblico. Alcuni registi, ad esempio, che fino a quel momento avevano diretti film di un certo tipo, pensarono bene di dirigerne uno o più utilizzando (spesso ricorrendo ai vecchi operatori)le vecchie tecniche, riesumando vecchi pezzi musicali, scrivendo, con la tecnica di allora, soggetti ambientati negli anni ’40. Non era un semplice esercizio di stile, non era un inutile tentativo di pratica del ricordo. Quei film sembrano piuttosto essere una presa di posizione culturale, ancor più che artistica. Sembra insomma che questi registi vogliano affermare la loro appartenenza culturale e profonda a quella stagione così innovativa e rivoluzionaria. Sembra quasi che vogliano dire:” Ok, io faccio questi film che vedete: ma sappiate che io appartengo in realtà a quella sensibilità artistica, culturale, sociale che per un certo periodo si è imposta qui a Hollywood tanti anni fa. Si devono girare, insomma, i film per potere campare, ma, diamine, voglio che sappiate che il mio cuore e la mia mente sono ancora là e, se vi sembra nei miei film di scorgere qualcosa che richiama quella stagione, beh, sappiate che è tutto voluto e cercato”.
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