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Su un cinema come sinfonia di immagini
di EugenioRadin
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La ricerca di un principium individuationis che si ponga come caratteristica fondativa e portante della Settima Arte si delinea come un’impresa erculea e fallimentare. Se in molti ci hanno provato, con idee più o meno originali, a nessuno può essere consegnata la coppa della vittoria; nessuno insomma è riuscito a capire cosa sia il cinema in modo definitivo ed accettabile (se non da tutti, almeno da una vasta moltitudine).
Perciò non si accusino in me i sintomi di una hybris ulissea, giacché il mio tentativo è ben più modesto di qualsiasi folle volo che voglia delucidare una volta per tutte l’origine di quest’arte. Rimango nella sfera doxastica dell’opinione, esponendo una riflessione che mi pare interessante, ma senza il sofistico tentativo di spacciare le mie rimuginazioni per verità filosofiche.

 

L’errore che mi sembra essersi più diffuso in questa fenomenologia cinematografica è quello di chi considera il cinema come una prosecuzione genealogica del teatro, di chi vede dunque in Welles e in Bergman gli eredi di Sofocle ed Euripide. 
Bisogna innanzitutto notare che quando il cinematografo ricevette i suoi natali si presentò come un fenomeno estraneo a qualsivoglia drammaturgia (l’arrivo di un treno in una stazione sarebbe una storia che non entusiasmerebbe nessun pubblico) e sebbene in seguito le vite di queste due forme artistiche si siano sovente incrociate, chi negherebbe che l’anima di un ente debba essere ben evidente alla nascita e che in seguito potrà solo degenerare e offuscarsi?
Dobbiamo accettare l’ossimorica condizione per la quale, in quanto narratore di storie (ovvero nell’aspetto in cui meglio lo conosciamo) il cinema non potrà mai essere cinematografico (ciò non significa che non possa essere bello, profondo, culturale, eccetera). 
Ben prima dei famigerati fratelli Lumiere le storie venivano già narrate; inoltre non voglio togliere alla letteratura il primato di questa funzione, giacché essa lascia innumerevoli possibilità all’immaginazione del lettore, in grado di crearsi il proprio film mentale, anziché obbligare in una forma, anziché fissare su pellicola, anziché sminuire le capacità creative del pubblico.
Già Carmelo Bene disse che –Ogni ora tolta ad un libro, a certe altre meditazioni, a un bicchiere di vino e data al cinema è sprecata.- e se consideriamo il cinema come un moderno aedo cantastorie, mi trovo d’accordo con questa (forte) affermazione.
Se il cinema non può essere altro che una letteratura replicata, più facile e più breve allora esso è inutile e può valere solo come passatempo: un equivalente di una camminata in montagna, ma meno salutare.

 

Meno male però il cinema non è solo il menestrello della modernità. Ciò che ci impressiona nel cinema non è la storia, ma l’immagine e penso che tutti concorderanno nell’affermare che un film senza video(dal latino videre, vedere) non ha ragione di esistere. Rientra qui la famosa tesi deleuziana che identifica il cinema nell’immagine-movimento (e poi nell’immagine-tempo) e che ci sarà assai utile in questa breve trattazione.
L’immagine, abbiamo detto, è ciò che attira la nostra attenzione in una sala cinematografica. Non l’immagine immobile della pittura, ma appunto l’immagine-movimento.

 

Nel suo fluire mobile di immagini il cinema sembra allora (questo è il punto) avvicinarsi all’arte musicale, la sua entità sembra essere una metamorfosi in cui nel movimento armonico pezzi di immagine (i fotogrammi) vanno sostituendosi ai suoni. 
Il cinema, nato nel grembo della Modernità, ovvero di un’epoca che alla passività dell’ascolto preferisce la frenesia della vista, ci appareallora come una grande sinfonia per immagini. 
Così come la musica anche il cinema sembra seguire delle regole precise nella sua costruzione, utilizzando tempi, colori, tonalità e montaggi armonici diversi a seconda del sentimento che si vuole evocare. Esso è un concerto visto anziché sentito.
Al di là delle idee che si imprimono nella pellicola, delle storie che vengono raccontate, svuotato da ogni aspetto accessorio il cinematografico del cinema viene a galla: ed è l’inquietante musica della modernità.
Cito ancora Carmelo Bene, come uno dei rappresentati di spicco del cinema musicale: -Io penso alla musica in termini cinematografici. Non parlo della colonna sonora, ma della musica delle immagini.- e ancora:-Nostra Signora dei Turchi è un melodramma, ma non per la melodia che arriva alle orecchie, per la melodia che arriva agli occhi. La musica ci libera dalle idee, da ogni cosa.-

 

Quello cinematografico non è un confine netto, molti film sono in parte cinematografici e in parte letterari, ma in alcuni questo aspetto emerge con maggior chiarezza. Il cinema di Carmelo Bene ne è un esempio, ma non il solo. 2001 Odissea nello spazio si avvicina a questo ideale e così anche Arca Russa di Sokurov. Non posso non citare Fantasia di Walt Disney o Koyaanisquatsi; ma il principio musicale del cinema di trova anche in Vertov e in Méliès (per rimanere più vicini alle origini della Settima Arte) o in Lynch e in Sorrentino (per rimanere più vicini ai nostri giorni).
La filmografia fino ad oggi accumulata si rivela piena di questi esempi per chi sa cercare.

 

Questo mi sembra (almeno per dove son arrivato fin’ora nelle mie meditazioni) l’unico principium individuationis di questa strana mistione di arte e tecnica. 
E per chi non si spiegasse la confluenza di elementi letterari, poetici o architettonici che spesso troviamo in questo grande calderone, vorrei infine ricordare che il termine musica ebbe le sue origini nel grecoMousiké, traducibile con “riguardante le muse”: anche il teatro greco allora aveva al suo interno musiche e danze, ma nessuno degli spettatori dubitava di star assistendo ad uno spettacolo teatrale. 

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