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C’era una volta in Almería. Veloce ricognizione delle locations dei gloriosi Spaghetti-Western.
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Gli America nel 1971 cantavano che «In the desert you can remember your name/'Cause there ain't no one for to give you no pain». Io invece, nel 2004, a Cabo Verde, su quell’isola di terra secca dove non cresce l’erba, scrissi queste parole:

Incredibile.

Dove non c’è niente ti senti come a casa, ti riconosci nel sole e nella terra.

 

Sei uomo, ragazzo, amante e amico.

 

Dove non c’è niente vedi gli alberi, e non la foresta.

Vedi lo onde, e non il mare.

Vedi la sabbia, e non il deserto.

 

Dove non c’è niente,

 

ti accorgi proprio di tutto.                             Espargos (Ilha do Sal), Cabo Verde, venerdi 2 aprile 2004

Il deserto, maschile singolare per definizione, è il luogo degli uomini veri, dei duri, degli avventurieri, allo stesso modo di mare e montagna che hanno però una simbologia quasi esclusivamente femminile. È quindi luogo virile, adulto, maschio, forte e inospitale, un guerriero silenzioso che mette a dura prova chi ha il coraggio di sfidarlo. È il luogo deputato alla narrazione di viaggi pericolosi fatti di privazioni, allucinazioni, solitudine e morte.

Anche nell’immaginario cristiano la montagna è dio, mentre il deserto è il diavolo. Come non essere affascinati quindi da queste aride distese di pietra percorse da burroni, gole, incanalature e calanchi dall’aspetto ostile? O da quei mari di sabbia dorata modellati da un grandi e piccole dune tutte uguali? Per non dire di quei laghi di sale con quel bianco accecante che spuntano in mezzo alle terre selvagge?

Il deserto è infine, il luogo sovrano della narrazione western. Attraversare il deserto significa attraversare se stessi, incontrare il proprio doppio o la propria nemesi; significa sfidare la morte, esorcizzarla, metterla in scacco per raggiungere una fonte o un riparo, una casa o un villaggio. È l’uomo che da selvatico torna civile purificandosi nel passaggio nella wilderness, così come facevano nella realtà i mountain men, i trappers, i frontier man e i desierteros. Dopotutto, la natura selvaggia – sia essa un deserto, una giungla equatoriale, una montagna, una fitta foresta, una landa ghiacciata o il mare aperto – insieme al mondo animale è il primo referente immaginale delle proiezioni psicologiche dell’uomo quando vuole rappresentare se stesso, la vita e il mondo.

Il western, padre di tutti i wilderness-drama, ha fatto della natura la coprotagonista assoluta delle sue storie. Tragedie, vendette, scoperte, viaggi iniziatici e fughe per la libertà, hanno avuto come scenario il teatro indifferente e magico della natura selvaggia. Il deserto ne è stato l’ambiente principale e indiscusso. Anche i nostri spaghetti-western non si sono sottratti al fascino dell’ambiente arido e inospitale. Girati tra Tor Vergara e la Spagna, hanno fatto della necessità ben più di una virtù, ne hanno fatto un contenuto: la forma del contenuto delle proprie storie.

In Europa esiste solo un luogo classificato dalla comunità scientifica come deserto: il Desierto de Tabernas, nella provincia di Almería, Andalucía, España.

Quando nel 2005 mi decisi ad andare a cercare i luoghi storici del western di casa nostra non sapevo che avrei finito per innamorarmi di quel posto selvaggio dove tutto è secco e arso dal sole, ma al tempo stesso pieno di una vita silenziosa che si trascina fino all’arrivo del tiepido e piovoso inverno. Così, dopo un giorno e mezzo di guida ininterrotta piantai la tenda a San José, al Camping Tau, un bellissimo campeggio piccolo e compatto, famigliare, a misura d’uomo, adornato di piante di eucalipto e costruito sul modello dei tipici cortijos andalusi. Da questo mio buen retiro partivo ogni giorno alla scoperta di quell’incredibile promontorio della terra rossa che si chiama Cabo de Gata.

Proprio all’inizio di San José c’è il Cortijo El Sotillo dove riconobbi subito lo scenario della prima immagine del primo vero spaghetti-western della storia: Per un pugno di dollari (1964). Ricordate? Sergio Leone faceva arrivare dalla steppa desertica Clint Eastwood in groppa a un mulo. Lo faceva scendere a bere ad un pozzo, mentre davanti ai suoi occhi Mario Brega se la prendeva con il piccolo figliolo di Marianne Koch, tenuta prigioniera da Ramón Rojo. Ogni anno ci entro, ci giro, faccio foto e cerco di rivedermi la scena. Devo dire che nonostante i logici cambiamenti epocali, il luogo ricorda molto da vicino quello originale.

Da San José parte uno sterrato che porta alle più belle spiagge del Cabo de Gata, che per me sono anche le più belle del mondo. Spiagge magiche, calas mágicas, come dicono i locali, di formazione vulcanica, con sabbia dorata dalle screziature scure, residui della roccia lavica sgretolatasi in mare e dal mare ritornata alla spiaggia. A custodia di queste incantevoli spiagge ci sono coste alte a strapiombo sul mare, bianche come il ventre di una orca, oppure scogli di nera roccia lavica solidificatasi al contatto con il mare chissà quanti millenni fa. Uno spettacolo unico e indescrivibile.

Nonostante le Calas del Barronal – Cala Grande, Playa del Barranco e Cala Chica – siano oggettivamente le più affascinanti e selvagge, la spiaggia simbolo del Cabo de Gata è la Playa de Mónsul dove non solo Ferdinando Baldi girò Blindman (1971), ma addirittura Carlo Vanzina vi ambientò Una vacanza bestiale (1980) con Guido Nicheli versione primitivo. Poco fuori la spiaggia, nell’interno brullo della prateria, impiantarono il forte di Shalako (1968) di cui oggi fortunatamente non resta nulla. Mentre nei cortijos interni al Valle de Mónsul, Cortijo de los Genoveses, Cortijo de Mónsul e Cortijo El Romeral, girarono un’infinità di film, da Per qualche dollaro in più (1965) a Faccia a faccia (1967), da Spara, gringo, spara (1968) a Chiedi perdono a dio… non a me (1968). Non c’è angolo in tutto il Cabo de Gata e nel vicino Desierto de Tabernas che non sia stato teatro di un duello, un inseguimento o una sparatoria (1).

Ovviamente il pezzo forte di questi studi cinematografici a cielo aperto è il Desierto de Tabernas. Nelle sue ramblas secche e pietrose correvano banditi, sceriffi, cowboys, vagabondi stranieri, cacciatori di taglie e bari in fuga, bande di bandidos messicani, carovane di mormoni e di ciarlatani, becchini e puttane, militari sudisti e anche nordisti, l’esercito messicano e gli immancabili rurales.

Molte locations oggi sono irriconoscibili, come le grandi dune di sabbia del Cabo de Gata a Las Amoladeras, suggestivo teatro di scene epiche come l’attraversamento del deserto in Il buono, il brutto, il cattivo (1966) e il gran finale di Faccia a faccia. Prima che la zona fosse dichiarata parco naturale nel 1987, la sabbia fu raccolta e portata via per la costituzione degli invernaderos, croce e delizia dell’Almería, quelle enormi serre di plastica bianca visibili a occhio nudo anche dal satellite dentro le quali si coltivano i pomodori e le fragole che tutti vogliono avere in tavola anche a gennaio. Altre locations invece sono diventate proprietà private e quindi invalicabili, altre si sono trasformate cambiando aspetto e perdendo il loro fascino, ma non la suggestione del ricordo. È noto infatti come i luoghi abbandonati, quelli inabitati, le rovine, le reliquie, la robaccia, insomma gli “oggetti desueti” di Francesco Orlando per intenderci (2), siano sempre inspiegabilmente affascinanti, seducenti, suggestivi e misteriosi, tristi e nostalgici, inquietanti e vitali allo stesso tempo. Forse perché sono il simulacro dell’uomo morente?

In quasi sette anni di spedizioni desertiche ho potuto rintracciare la quasi totalità delle locations note agli appassionati. La grande maggioranza di esse si trova nel deserto e nei Poblados del Oeste, dei decorados diventati oggi dei parchi tematici. Ce ne sono tre: il Western Leone, la Mini Hollywood e la Texas Hollywood. Il primo è un decorado costruito intorno al ranch di Sweatwater dove Frank Wolf trova la morte per mano di Henry Fonda in C’era una volta il West (1968); il secondo è la El Paso disegnata da Carlo Simi per Per qualche dollaro in più e poi set fisso di un’infinità di altri titoli; il terzo decorado è un set costruito nel 1965 utilizzato in film come Da uomo a uomo (1967), Blindman, Il prezzo del potere (1968), Sole rosso (1971) e tra i titoli più recenti 800 balas (2002) di Álex de la Iglesia, Le avventure del giovane Indiana Jones (1991) e Bluberry (2004). È attivo tutt’oggi come Cinema Studios Fort Bravo.

Di poblados ne esistono anche di abbandonati e in rovina. Il più affascinante di tutti era quello di Nueva Frontera, meglio conosciuto come Poblado El Chino, dal nome dal personaggio di Charles Bronson in Valdez il Mezzosangue (1973). Il villaggio veniva eretto in località Tecisa per Charley One-Eye (1972) e utilizzato poi anche per Sella d’argento (1978) e altri titoli tra cui Straight to Hell (1986) con Joe Strummer dei Clash. Strummer era un habitué del posto, era molto legato al Cabo de Gata tanto che l’ultimo compleanno prima di morire lo passò con gli amici del Pez Rojo al Camping Tau, il mio stesso campeggio e i miei stessi amici di San José. Fortunatamente ho fatto in tempo a vedere El Chino più volte nei miei primi anni al Cabo de Gata. Con il tempo è stato inspiegabilmente raso al suolo. Era una vera ghost town.

Semi abbandonato è invece un imprecisato set western, montato per girare qualche scena non identificata, che si trova a metà strada tra la Mini Hollywood e la Texas Hollywood. È in una proprietà privata, ma tutti ci entrano a fare foto. L’ho riconosciuto in Marrakech Express (1989) di Gabriele Salvadores: i protagonisti nel loro viaggio verso l’Africa si fermano anche in questi villaggi western che all’epoca non erano ancora stati rimessi a nuovo. Qualcuno in internet lo chiama Poblado Mimbrero, in realtà questo poblado messicano in cui è ambientato Blindman, e di cui oggi restano solo poche macerie al suolo, era stato eretto in località La Sartenilla, verso la Sierra Alhamilla, in una zona distaccata del Desierto de Tabernas, stessa zona in cui Sergio Leone girò l’entrata in scena di Tuco in Il buono, il brutto, il cattivo.

Perso per sempre è invece il villaggio western che era stato costruito a Las Salinas, un pianoro interno al deserto, proprietà privata La Loma, di cui resta soltanto qualche asse buttata a terra. Il forte El Cóndor invece, costruito da De Laurentis per l’omonimo film del 1970 con Lee Van Cleef e Jim Brown, è un rudere pericolante in proprietà privata e dal limite invalicabile.

Ci sono anche paesini che all’epoca degli Spaghetti-Western erano poco più che una manciata di casette bianche isolate nel nulla e che oggi sono paesi dall’aspetto più moderno e civile. Pensate alla celebre Agua Caliente a cui arrivano Clint Eastwood, Lee Van Cleef e Gian Maria Volonté in Per qualche dollaro in più. Nella realtà quel paesino si chiama Los Albaricoques, gli albicocchi, e non è poi troppo diverso da com’era negli anni sessanta. Regolarmente ci vado in pellegrinaggio a rivedere il set del famoso duello tra l’Indio e Douglas Mortimer con il Monco come pubblico e giudice. La poesia ormai si è persa a furia di rivederlo, ma mi emoziono sempre quando percorro le due vie alte del paese che sono state il teatro non solo di tutta la seconda parte di Per qualche dollaro in più, ma anche di numerosi altri film tra cui Una donna per Ringo (1966), Ringo, il volto della vendetta (1966), I giorni dell’ira (1967) e Tepepa (1969).

Da Los Albaricoques si può prendere uno sterrato che porta a vari cortijos persi nella steppa arida dell’interno del Cabo, anch’essi teatro di scene western come il Cortijo de Doña Francisca (3) e soprattutto il Cortijo del Fraile un bellissimo complesso rurale in tipico stile almeriense che fu teatro, nel luglio del 1928, di quel fattaccio che ispirò il dramma di Federico García Lorca, Boda de sangre (1932). Il cortijo, che in Per qualche dollaro in più era l’interno del covo dell’Indio ad Agua Caliente e ne Il buono, il brutto, il cattivo era la missione di Padre Ramírez, è stato poi utilizzato in svariate pellicole tra cui Quién sabe? (1966) con Klaus Kinski che sfuria dall’alto del campanile, Sentenza di morte (1968) e Sella d’argento.

Il punto più suggestivo di tutto il deserto è la Rambla Alfaro, o almeno lo è per me. Va detto che anche negli anni sessanta, per cercare i set naturali per i film, le troupe non si allontanavano troppo dalla strada principale e quindi una location finiva per essere utilizzata più volte, magari solo cambiando inquadratura o angolazione. La Rambla Alfaro, insieme alla Rambla Lanújar, è tra le più utilizzate. Scenario iconico del West europeo, Rambla Alfaro è il teatro perfetto per ogni situazione tipo del western europeo. Le lunghe corse dei fuggiaschi, gli assalti alla diligenza, gli agguati dei banditi e le peregrinazioni solitarie dello straniero di turno trovano in poche centinaia di metri, Rambla Alfaro misura poco meno di un chilometro, lo scenario perfetto per la naturale risemantizzazione del western all’italiana. Vi hanno trovato il set film come Il buono, il brutto, il cattivo quando il biondo e Tuco si dividono il malloppo – quello che ho chiamato lo Spuntone di Clint Eastwood e di cui lascio una foto – il bellissimo Chato (1971) con Charles Bronson, Arizona Colt (1966), Shalako e tanti altri.

Il Desierto de Tabernas, come tutti i deserti di terra secca, erosiva e argillosa, pietraia e scanalature varie, è praticamente costituito da ramblas che si intrecciano tra loro isolando cerros dalle basse alture e dai crinali impervi e friabili. Tra le tante ramblas vanno sicuramente ricordate Rambla Benavides con i suoi grossi massi crollati dalla cresta – El Cóndor, La valle delle ombre rosse (1966), Vamos a matar compañeros (1970), Chato, Amore, piombo e furore (1978) e il più recente The Daltons vs. Lucky Luke (2004); Rambla IndalecioSugar Colt (1966), Ognuno per sé (1968), Tepepa, La spina dorsale del diavolo (1970) e anche Indiana Jones e l’ultima crociata (1989); Rambla de María Viciana, conosciuta nel mondo cinematografico come Oasis, teatro sia di Sette donne per una strage (1966) e di Per qualche dollaro in più che de Il giorno dei lunghi fucili (1971), quando Gene Hackman da un’alta roccia spara a Oliver Reed nell’oasi sottostante, e anche set del Lawrence D’Arabia (1962) con Peter O’Toole.

Le ramblas, le valli, i barrancos e tutti gli angoli possibili del Desierto de Tabernas sono troppi per essere tutti citati, e i film che vi sono stati girati pure. Va però ricordato almeno il Cortijo Blanco, in località Campello, una zona distaccata dal deserto in sé, ma ugualmente arida e desertica. È una località ai piedi della Sierra Alhamilla, dove oltre a Dio perdona.. io no! (1967), La resa dei conti (1967) e Spara, gringo, spara (1968) è stato recentemente costruito il set oasi per Exodus (2014) di cui il mio amico David è stato capo giardiniere lavorando gomito a gomito con il figlio di Ridley Scott.

Le locations sono molte, i film sono molti, le scene sono incalcolabili e i ricordi lo sono ancora di più. Ho calpestato la stessa terra calpestata all’epoca da Clint Eastwood, Gene Hackman e tanti altri attori che hanno arricchito il mio immaginario come Charles Bronson, Klaus Kinski, Gian Maria Volonté e Giuliano Gemma. In diversi anni ho trovato la quasi totalità delle locations conosciute e ho documentato tutto con un sacco di fotografie, ma qui è impossibile elencare tutto, anche perché c’è chi l’ha già fatto meglio di me (4). Inoltre ho scoperto un dettaglio sfuggito a tutti finora, ovvero: durante il duello tra Lee Van Cleef e Volonté girato nella era circolare di Los Albaricoques, in Per qualche dollaro in più, ci sono dei tagli che passano l’inquadratura da campo totale a campo lungo e chi conosce il posto nota che non è più Los Albaricoques, bensì la era circolare del Cortijo de los Genoveses.

Non c’è una pista, un barranco, una rambla, una roccia, una cresta o un palmeral che non sia stato teatro di un duello o di una sparatoria, di un agguato o di una corsa a cavallo verso l’infinito. Sembra che la terra almeriense abbia avuto davvero nella sua storia locale il Far West. Ancora oggi è facile trovare signori che da ragazzi sono stati pistoleri, banditi o peones. Un luogo affascinante ed insostituibile che trasuda cinema, letteratura e folklore. Un luogo del mio cuore che ha preso il posto del sogno e dell’altrove emblematico in cui ritrovare la propria età dell’oro.

Un piccolo aneddoto. Era il 2005, ero andato con i miei amici a visitare i villaggi western. Nel pomeriggio eravamo entrati alla Texas Hollywood e come al solito abbiamo assistito allo spettacolo dei cascatori che inscenavano una rapina alla banca. Il pubblico stava tutto intorno, all’ombra delle varie casette, lasciando lo spiazzo centrale libero e abbacinato dal sole. Io ero seduto sul camminatoio del saloon, lo stesso saloon usato per Chato. Sono lì che bevo una San Miguel – la Alhambra non l’avevano, purtroppo – e vedo arrivare dalla strada principale un pistolero tutto vestito di nero in groppa a un cavallo ugualmente nero. Arriva lento, al passo, si ferma nel centro della piazza, davanti al saloon, senza nessuno intorno. Scende da cavallo, gli dà una pacca sul culo e lo fa correre via. Resta lì in piedi da solo sotto il sole. Lo guardo ed esclamo “Oh my god! This is Henry Fonda!”, le stesse parole che usò Sergio Leone per spiegare al grande attore americano perché non doveva truccarsi per il ruolo di Frank in C’era una volta il West e lasciare il suo viso ben riconoscibile.

No, non era Henry Fonda ovviamente, ma suo figlio. Il figlio che Fonda ebbe con una donna del luogo ai tempi della lavorazione del film. Ora, Pepe si chiama, lavora giustamente al Western Leone ed ogni estate vado a trovarlo e a sentire cosa racconta. L’ultimo aneddoto risale all’estate scorsa. Mi raccontò che era stato coinvolto in un progetto con Claudia Cardinale. Il film si intitola Twice Upon a Time in the West, oggi ancora in fase di post produzione, un non meglio precisato dramma di produzione bulgara che Imdb descrive anche come commedia e thriller. Io avevo capito fosse un documentario. Be, fatto sta che Pepe, al secolo José Novo, ma in questo film interpreta ovviamente il ruolo di Pepe Fonda, mi racconta il suo incontro con la Cardinale. Lei era sul set per girare la loro scena e i due non si erano ancora visti né conosciuti. Pepe era già vestito da pistolero e il regista chiamò l’attrice italiana per farglielo conoscere. La Cardinale si gira e in quel momento Pepe si accende una sigarette e si volta teatrale verso di lei. Restò di sasso, mi ha detto. La Cardinale restò di sasso nel rivedere un Henry Fonda in versione iberica, più basso e più tarchiato, ma dagli occhi di ghiaccio e da una somiglianza innegabile con il padre. Un bel racconto che gioca tra realtà e finzione, un po’ come ha sempre fatto il grande cinema.

Note.

(1) Per una vera e più dettagliata mappatura delle location rimando al link che lascio di seguito, ma consiglio vivamente, sempre se sia ancora disponibile, la “bibbia” del caso, ovvero il grandissimo, generoso e monumentale lavoro di Carlo Gabersceck, Il vicino west, Lithostampa, Pasian di Prato, 2007.

(2) ORLANDO Francesco, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Einaudi, Torino 1993.

(3) http://cortijodonafrancisca.tumblr.com

(4) Questo sito mi ha aiutato moltissimo nei primi anni di spedizione. Il lavoro è certosino e lo consiglio a tutti i cacciatori di locations: http://www.western-locations-spain.com/andalucia/almeria

 

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