Si è concluso oggi il festival palermitano. Ultime proiezioni, ultimi saluti.
Alle 16,30 la Sala De Seta ha presentato l'interessantissimo documentario su Fassbinder, che il 31 maggio di quest'anno avrebbe fatto 70 anni. Fassbinder - Lieben Ohne Zu Fordern di Christian Braad Thomsen è un intenso racconto della vita di uno dei più importanti esponenti della Settima Arte. Dai primi fischi a Berlino per L'amore è più freddo della morte, fino al successo nei festival, la vita di Fassbinder viene letta sotto svariati punti di vista che sono tanti quanti i capitoli in cui è diviso il film, ovvero sette. La lettura iniziale edipica della sua carriera (la madre partecipò a numerosi suoi film), la riflessione sulla prolificità e la grande attenzione per gli attori feticcio del maestro tedesco sono solo alcune delle chiavi di lettura che questo illuminante documentario offre: infatti, evitando l'eventuale pettegolezzo, l'intimità dell'uomo Fassbinder trova nelle ottime scelte antologiche una risposta ben precisa in un discorso fatto su e con le immagini dei suoi stessi film. E il film di Thomsen risulta interessante anche per chi non ha mai visto un film di Fassbinder, ma piuttosto invita a un imminente recupero.
Voto: ***1/2
Subito dopo il pubblico si è sorbito i cortometraggi di Melvil Poupaud, e "sorbire" è certo il verbo più corretto, considerando l'estrema insignificanza di cui sono provvisti. Non parliamo tanto del primo film che fece alla tenera età di undici anni, Qui es-tu Johnny Mac?, che forse appare paradossalmente come il più riuscito, considerandolo per quello che è, cioè un home movie intimo e riservato; parliamo invece del remake di questo, Qui a tué Johnny Mac?, che Poupaud ha realizzato riproducendo le stesse inquadrature e ambientazioni del primo corto, di Remy, che ancora ancora appartiene a una produzione amatoriale semi-improvvisata che sa anche sporadicamente suscitare il riso per le situazioni grottesche che racconta, e di Melvil, un'orrida e autoreferenziale masturbazione voyeur che mostra in maniera evidente l'esibizionismo dell'uomo e dell'attore Melvil Poupaud. Interessato a mostrare aspetti diversi della sua vita, l'attore francese divide il suo personalissimo film in tre capitoli, e propone tre differenti punti di vista. Tutti e tre appaiono sconcertatamente pretestuosi, viatici per permettere a Poupaud di giocherellare con la telecamera e dare spazio a tutta la sua vanità. Il terzo episodio, diretto (si fa per dire) durante la realizzazione di Le temps qui reste di Ozon, è il più fastidioso, a fronte di altri due episodi seriamente noiosi. Per più di metà di questo terzo episodio Poupaud è in scena completamente nudo, e inquadra costantemente il suo corpo giocando con le zoomate e le immagini riflesse senza registrare nessun tipo di sguardo, o di riflessione, o tantomeno di ricerca estetica, come se si sentisse giustificato a mostrare qualsiasi cosa. E' vero che si tratta di film personali non previsti per il circuito pubblico, ma a maggior ragione risulta superfluo per loro il grande schermo.
Alle 20,30 si sono dichiarati i vincitori del concorso Queer Short all'arena. La giuria ufficiale del Queer, composta fra gli altri da Benjamin Crotty regista del bellissimo Fort Buchanan, e Roberto Castòn autore di Los tontos y los estupidos, ha decretato vincitore Mondial 2010 di Roy Dib, libanese, uno dei migliori corti proiettati durante il festival. Menzione speciale a Tremulo, di Roberto Fiesco, la quale appare invece assolutamente ingiustificata. Mondial 2010 ha inoltre ricevuto la menzione speciale della giuria del Palermo Pride.
La giuria 100 autori ha dato il premio a Bad at Dancing di Joanna Arnow. Un premio meritato, in fin dei conti, per un breve film brillante e originale.
I grandi esclusi però sono di certo Queer - Copiare Beckett di Canecapovolto, che era stato in grado di dare vita a un vero e proprio corpo filmico che si riaggiornava e si bruciava continuamente in nome di un'assoluta anarchia (e di una stessa libertà normalmente rivendicata in altri casi, ma che intimidisce vista in un film), e forse anche Ameisenpakt.
Alle 22,00 ci si è spostati nella De Seta per le ultime proiezioni. La prima è stata quella di Officium di Giuseppe Carleo, un imbarazzante corto con insegnamento annesso sui sogni di tre anziane donne palermitane. Il punto di vista maschile, totalmente offuscato, lascia spazio alle visioni oniriche delle tre protagoniste, visioni molto diverse fra di loro, che vanno dal sogno erotico, dal desiderio d'amore fino al ricordo del passato. Peccato che il film sia, come già detto, estremamente didascalico (e la presenza del sindaco Leoluca Orlando nel film, che giustifica anche la sua presenza in sala, risulta ancora più fastidiosa). Un film bello? Dipende, bisogna amare la facile indignazione, ma il pubblico ha, come prevedibile, applaudito.
Voto: **
Subito dopo, Stonewall, di Francesco Scarponi, racconta con toni documentaristici ma adottando un'estetica d'animazione molto semplice e colorata uno dei primi pride della comunità omosessuale newyorkese, in risposta alla violenza che le forze dell'ordine generarono ai danni di un bar frequentato da gay. Il film è anche in questo caso una piccola lezioncina, ma evita prediche, si attiene alle informazioni necessarie, e diciamo "fa il suo lavoro".
Voto: ***
E così il Sicilia Queer FilmFest è finito. Aspettiamo con ansia cosa avranno in serbo per noi nella già annunciata 6a edizione dell'anno prossimo.
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