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Sicilia Queer FilmFest. 3° e 4° Giorno: Panorama Queer, Retrovie Italiane, Carte Postale à Serge Daney
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Mercoledì

 

scena

Michel (2013): scena

 

Si parte con Michel, alle 16,30, nella Sala De Seta. E' presente il regista, Blaise Othnin-Girard, che interviene alla fine della proiezione. Il film è uno splendido documentario privo di qualsiasi abbellimento sulla vera e propria prigione in cui si ritrova Michel, colui che dà il nome al film e che viene rinchiuso in un reparto speciale di un ospedale psichiatrico con quanti vi sono stati rinchiusi per motivi penali, per aver picchiato un infermiere. Othnin-Girard, con un rigore e una coerenza assoluti, si limita a osservare Michel, e la sua vita sempre uguale. Dai discorsi che Michel fa, e che vengono rappresentati da una cinepresa molto partecipe capace di pazientare nei silenzi e nei tempi morti, si comprende che il "protagonista" gode di una freschezza mentale degna di un uomo intelligente, visto com'è conscio di essere malato e capace di comprendere le emozioni e le conseguenze dei rapporti umani che instaura con chi lo circonda (commovente la dichiarazione d'amore che pronuncia verso la fine del film). Durante il dibattito giunto a fine pellicola, una domanda notevole da parte di uno spettatore di un pubblico fin troppo esiguo per un film tanto importante mette a rapporto Michel con Feng Ai di Wang Bing, invero un accostamento che giunge quasi immediato all'occhio cinefilo. Othnin-Girard immediatamente dichiara che "se in Feng Ai si avverte l'odore del piscio e del sudore, in Michel si sente l'odore della candegina". Ed è effettivamente così: Michel fa vivere sulla pelle dello spettatore la claustrofobia di quattro mura sempre uguali, carnefici della libertà di un uomo. La denuncia c'è, per quanto giunga dalle immagini e non da pareri espliciti (vedasi in questo senso anche Feng Ai e tutto il cinema di Wang Bing). Comunque, un film importante, coraggioso, che richiede pazienza allo spettatore e lo ripaga notevolmente.

 

Voto: ****

 

Joaquim Pinto

What Now? Remind Me (2013): Joaquim Pinto

 

Dopo le due lunghe ore di Michel toccano alle quasi tre ore di E agora? Lembra-me di Joaquim Pinto, un toccante viaggio nella malattia e nel tedio di un uomo che si guarda intorno e cerca un senso come bandolo cui aggrapparsi, per riconoscere di nuovo la possibilità della felicità. Con immagini splendide, fulminanti, sul filo del patinato ma talmente sincere da lasciare trabboccare l'empatia, E agora? Lembra-me pecca purtroppo in ciò in cui peccano molti "film-fiume", specie se video-diari (genere che ha il suo grande maestro in Jonas Mekas): oltre a un innecessario accumulo di finali, il film di Joaquim Pinto risulta giustamente frammentario, ma non molto cosciente della selezione che adopera per raccontare il suo protagonista (che, da regista, racconta se stesso). A lungaggini un poco estenuanti si alternano momenti altissimi e molto forti, pregni di una bellezza assolutamente "cinematografica". A frasi un po' ridondanti (ma volutamente tali, atte a far penetrare in un'ansia di esistere fisiologica e palpabile) si succedono sequenze silenziose, attente al dettaglio, trastullanti con la propria alta definizione. E tra alti e bassi, la variabilità della vita e delle possibilità la si coglie in pieno, ma senza portare avanti un discorso estetico, e urlando un contenuto che poteva essere ben più pregnante. Non si cerca certo lo spettacolarismo (vista la vivacità estetica del film, anzi, lo spettacolarismo c'è eccome), ma quasi una maggiore maturità (che si direbbe propria di un uomo dalle esperienze infinite come Pinto). Ma si sa, nella paura e nel senso incombente di una morte che non arriva, si torna ad essere teneramente ingenui: e benché cerchi di non tradurla in immagini traballanti, ma la evidenzi proprio nell'immobilità di certe sequenze, Pinto lascia più che intravedere l'urgenza dell'operazione. Coraggiosa, senz'alcun dubbio.

 

Voto: ***1/2

 

 

Dopo This is the way di Giacomo Abbruzzese, e Rebel Menopause di Adele Tulli, la De Seta accoglie la proiezione più attesa, inaugurando così alle 23,30 una vera e propria notte degli orrori. Gli orrori sono ovviamente quelli evocati e mostrati da Pier Paolo Pasolini nel suo ultimo, involontario, testamento, Salò o le centoventi giornate di Sodoma, rigorosa e geometrica apologia del male e delle sue polisemiche sembianze. Un film sulla depravazione della sopraffazione, e sul cannibalismo morale e culturale che appare nel film trasfigurato nelle immonde torture cui vengono sottoposti giovani ragazzi e ragazze. Ma Pasolini è distante dalle vicende, benché le impregni di agghiaccianti riferimenti storico-culturali e politici: non c'è nessun tipo di manicheismo, e come fa notare Umberto Cantone, PPP dispensa un biasimo soprattutto di natura estetica nei confronti di una gioventù rappresentate una "sessualità indistinguibile/estinguibile, pronta a concedersi, resistere, tradirsi, collaborare, arrendersi alla rassegnazione, immergersi nel proprio sangue e nelle proprie feci, piangere sui versi delle proprie implorazioni e preghiere". Salò, per Serge Daney una "follia della messa in scena", è un film che fa ancora male, per la sua freddezza e per come riesce a rendere vittime/carnefici anche noi spettatore coscienti e ostinati nel guardare. E' anche, dopotutto, come evoca il finale trionfo della violenza, un film sul vedere e sul feticismo voyeur (da aggiungere a tutte le altre manie). Agghiacciante.

 

Voto: *****

 

Giovedì

 

Giornata ancora più affollata di film, il 28 maggio festivaliero del Sicilia Queer, all'insegna di tantissime anteprime nazionali e di qualche gioiello dimenticato. 

 

Kai Ivo Baulitz, Vladimir Burlakov, Benno Fürmann, Anna Grisebach

Bright Light (2014): Kai Ivo Baulitz, Vladimir Burlakov, Benno Fürmann, Anna Grisebach

 

Alle 16,30 apre la giornata Nachthelle di Florian Gottschick, curioso ibrido di generi abbastanza modesto da essere considerato "da grande pubblico", potenzialmente interessante per come decide di illustrare esempi contraddittori e complessi di rapporti umani, ma in fin dei conti povero sul versante dell'introspezione caratteriale ed emotiva dei personaggi (obbiettivo che certamente si prefigge, vista l'attenzione per le tensioni sotterranee, per i misteri su cui via via viene fatta luce, per un passato dei protagonisti che va via via prendendo forma). Virando al thriller dopo sequenze da commedia drammatica, Nachthelle gestisce un gruppo di personaggi relativamente ordinari, e ordisce ai danni dello spettatore uno script poco libero e vittima di qualche twist cerebrale accettabile solo negli intenti, ma non nel suo insignificante sviluppo. Anche perché sul ruolo dei personaggi si nutrono meno dubbi di quanti forse Gottschick sperasse. Un film che non annoia, ma che non rimane nella memoria.

 

Voto: **1/2

 

Alle 18,30, mentre la Sala De Seta accoglie Roberto Castòn con il suo Los tontos y los estupidos già visto alla Wenders martedì, e proprio alla Wenders che proiettano il piccolo, dimenticato, Il pozzo dei pazzi di Raoul Ruiz, realizzato in Sicilia nel 1989 ispirato all'omonima opera di Franco Scaldati, poeta e drammaturgo siciliano. Il breve film, che narra una piccola storia nonsense di un uomo  e un giovane che scavano un pozzo e percorrendolo si ritrovano in un giardino di mandarini dove vengono accolti da un bizzarro cacciatore, viene proiettato su una copia digitale fatta da una VHS, a sua volta ottenuta dal travaso di un 16 mm. La qualità del filmato, infatti, non eccelle, ma la breve opera riesce ad essere ugualmente esperita in tutto il suo vivace onirismo e nella sua comica irriverenza (esilarante, a tal proposito, lo scambio di battute fra lo stesso Scaldati protagonista e il cacciatore, interpretato da Matteo Bavera presente in sala a discutere con Andrea Inzerillo del grande Ruiz).

Subito dopo vengono proiettati, digitalizzate dalla Filmoteca Siciliana, alcune immagini di un convegno del 1994 cui prese parte Ruiz (ma si distingue anche un giovane Enrico Ghezzi), in cui il grande regista cileno riflette sul "mercato del Cinema", la sua globalizzazione, la burocrazia che ne ha stroncato la portata artistica, e il Cinema come vera e propria forma d'arte, definizione da salvaguardare con fermezza analoga a quella che poteva prevedersi per situazioni anche più antiche, finanche al Seicento, quando Velasquez realizzava Las meninas. Il cinema apolide di Ruiz viene dunque raccontato dallo stesso regista con grande intelligenza e accuratezza, inframmezzato da immagini interessanti e curiose sulla sua idea pessimistica del destino della multimedialità della Settima Arte.

 

Pat Mills

Guidance (2014): Pat Mills

 

Alle 20,30 la Sala De Seta si affolla relativamente per la proiezione di Guidance di Pat Mills, la prima vera  e propria commedia del Queer FilmFest finora. Il film racconta di un omosessuale represso, attore da bambino, che si finge guida educativa per i ragazzi di un liceo per guadagnare un po' di soldi e pagare l'affitto. I ragazzi lo adoreranno, ma per i motivi più impensati e scorretti. Analogo queer di "School of Rock" di Linklater, nonostante si rischi più volte una posa generalmente conformista, Guidance vanta dal canto suo una ammirabile libertà contenutistica. Spesso esilarante, e ricco di personaggi topici molto divertenti, un film canadese capace di evitare il buonismo e di trattare l'omosessualità con insolita, apprezzabile, leggerezza.

 

Voto: ***1/2

 

Subito dopo, il corto Boa Noite, Cinderela di Carlos Conceicao, è un film apparentemente straniante che dà sempre più la sensazione di essere una "barzelletta seriosa", che non si prende neanche troppo sul serio. La storia di Cenerentola, raccontata dal punto di vista del principe a partire dalla perdita della scarpetta, subisce una originale variazione sul tema, in quanto il principe non si ritiene tanto interessato alla principessa che indossava il calzare perduto, quanto più all'altra scarpetta. Anche attraverso l'ambiguo rapporto con il proprio servo e consigliere fidato, viene mostrato il misterioso feticismo del principe, che porta a un finale esilarante e che mette davvero dubbi sulla serietà della pellicola. Sicuramente un dispiego di mezzi (e di patina visiva) esagitato, considerando la futilità dei contenuti.

 

Voto: **

 

scena

Fort Buchanan (2014): scena

 

Infine, alle 22,30, Fort Buchanan di Benjamin Crotty, incentrato sulle vicende di alcune donne e uomini in una base militare lasciate dai propri mariti andati al fronte. In particolare sono al centro le vicende di un uomo gay, sposato da 18 anni con un soldato di colore, e con una figlia molto matura ma un po' disadattata. Il film di Benjamin Crotty è uno splendido spaccato delle relazioni umane, all'insegna della libertà ancor prima che della promiscuità. Valorizzato da dialoghi calzanti, e in grado di fare affezionare a dei personaggi con un minutaggio che sfora appena l'ora di durata, Fort Buchanan è un film tutto da vedere, brillante e unico nel suo genere. Con un finale un po' inutilmente tragico, ma globalmente notevole.

 

Voto: ****

 

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