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OLTRECONFINE SPECIALE CANNES: GIORNO 6 – L'ORRORE AD AUSCHWITZ PER UN ESORDIO NOTEVOLE, UN NOIR CON COPPIA SEXY CHE STENTA A DECOLLARE, IL RE DELLE DONNE SECONDO MAIWENN, IL RITORNO DALLA MORTE PER KUROSAWA.
di alan smithee ultimo aggiornamento
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Dopo un giorno di pausa (lavorativa), rieccomi a Cannes, seppure part time nei prossimi pomeriggi e nottate, periodi in cui cercherò di tenermi più lontano possibile dal caos del centro Croisette per confinarmi a Cannes La Bocca presso il teatro La Licorne, dove l'associazione Cannes Cinéphiles organizza le proiezioni di buona parte dei film di ogni tipo di rassegna, dedicate ai possessori del pass omonimo.

Le proiezioni, al pari di quelle ufficiali a circa tre chilometri di distanza, sono precedute da un breve video celebrativo che rappresenta la stilizzazione delle scale dai tappeti rossi della celeberrima “Montée des marches”, la scalinata corvina ove ogni sera le star più celebri accorse per accompagnare i propri film, o semplicemente accorse per essere state invitate a celebrare degnamente il glamour della cerimonia, si apprestano a salire, assalite dai flash di fotografi, paparazzi ed ammiratori che per ore ed ore assediano l'area circostante su scale, appesi a lampioni, addirittura arrampicati sugli alberi. Il video ci fa salire l'accennata scalinata che dagli abissi marini ci conduce oltre il pelo dell'acqua, poi più su nell'alto dei cieli al tramonto e ancora più su nell'olimpo stellato della celebrità universale, al culmine della quale si staglia una Palma d'Oro, il massimo riconoscimento che domenica prossima verrà destinato all'opera più meritevole, ai sensi e per il gusto della giuria incaricata.

Il primo film di oggi è una notevole opera prima: una circostanza non frequente quella di esordire ed essere già ammessi nella sezione principale, concorrendo dunque, oltre al premio principale, anche all'ambita “Camera d'Or”, premio destinato alle opere d'esordio e che vede battersi tutti i film di qualsiasi categoria, pure quelli della Quinzaine, per sua natura poco avvezza alle premiazioni.

 

Il film ungherese di Laslo Nemes, SON OF SAUL (Saul Fia in originale) racconta una straziante vicenda che vede protagonista un ebreo addetto all'incenerimento dei cadaveri che sono stati gassificati nelle tragiche camere della morte ove in massa gli ebrei venivano condotti con la subdola promessa di una doccia.

Un lavoro che consentiva a questi disgraziati di sopravvivere qualche mese od anno, prima di essere pure loro mandati a morte. Durante la pulizia di una doccia l'uomo scorge il corpo di un bambino miracolosamente sopravvissuto al soffocamento. Purtroppo la circostanza non consente al piccolo di sopravvivere, ma da quel momento per l'uomo, che considera quel bimbo suo figlio, scatta il dovere impellente di sottrarlo dalla camera delle sezioni mediche, impedendo che il suo corpo venga smembrato per turpi esperimenti, destinandolo invece ad una più degna sepoltura, circostanza negata agli altri, bruciati e le ceneri dei quali disperse in ogni luogo possibile, con una cerimonia di un rabbino. Inizierà per l'uomo una epopea senza fine, contraddistinta da sotterfugi e commerci sottobanco di ogni tipo per portare a termine quel proposito morale e materiale in un territorio devastato dall'orrore e dalla brutalità senza ritegno.

Il film ha il potere di devastare e di tuffarci di getto in un orrore indicibile che lascia a bocca aperta anche quando ormai si crede di sapere o di aver visto tutto riguardo ad uno degli orrori più efferati della storia umana di ogni tempo.

Un film ricco di una idea di regia notevole che vede, per molteplici esigenze o necessità, la macchina da presa puntata quasi esclusivamente sul volto o sul corpo del protagonista, lasciando sfocato ogni altro particolare: circostanza pratica e formale interessante che da un lato consente al regista di rendere credibile la rappresentazione di stermini di massa e di montagne di carne inanimata che possa risultare credibile ricordando le immagini sconvolgenti dei cadaveri smunti e smagriti delle persone condotte allo stremo ad una morte in massa; dall'altro all'esigenza formale di rappresentare come i contorni siano stati negati ad un popolo intero che diventa carne da macello per un altro popolo trasformato in mostro sanguinario dalla follia di pochi da parte di una massa che non ha saputo né voluto (o potuto) opporglisi.

Saul Fia è uno dei film più terrificanti e toccanti fino ad ora visti al Concorso.

VOTO ****

 

L'opera seconda della regista Alice Winocour, quella del valido film in costume Augustine con Vincent Lindon visto in Francia un paio di stagioni orsono, viene presentata in questi giorni nella sezione Un Certain Regard. MARYLANDè una sorta di anomalo thriller che ci presenta un ex militare recentemente tornato dall'Afghanistan con degli shock post traumatici che non gli consentono, almeno per il momento, di tornare in azione (è l'attore belga Matthias Schoenaerts di Un sapore di ruggine ed ossa), che coglie la palla al balzo quando, tramite un amico, gli viene proposto di fare da guardia del corpo ai familiari di un ricco libanese con villa in Costa Azzurra, in procinto a dare un fastoso ricevimento. Dovuto allontanarsi improvvisamente, il potente uomo d'affari affida la bella moglie (Diane Kruger) ed il figlioletto alle cure dell'ex militare, che sembra afflitto da incubi o manie di persecuzione che lo spingono all'azione e all'intervento. Salvo poi scoprire che, anche in seguito all'arresto del potente uomo d'affari, probabilmente implicato in un complesso ed ovviamente losco traffico di armamenti, il nemico esiste davvero e sta cercando di invadere l'intimità della villa per rapire madre e figlio. Si innesca dunque una difensiva allo stremo, ed un tentativo per l'uomo di scortare la giovane donna ed il bambino fino in Canada, per far cancellare le tracce di se stessi ad un nemico ignoto ma implacabile.

 

 

 

 

Pur con alcuni validi momenti di suspence, il film pare rimanere raggelato sulla immobilità e staticità di due protagonisti assai attraenti, la cui amalgama dovrebbe, almeno sulla carta, assicurare scintille, che invece rimangono soffocate da una incompiuta incompatibilità o non compiutezza di sceneggiatura che stenta a farli aderire e decollare scenicamente come sarebbe lecito aspettarsi.

VOTO **1/2

 

 

 

MON ROI segna il ritorno in regia dell'attrice Maiwenn ed il suo ritorno in Concorso a diversi anni dal suo valido Polisse. Un film più intimo e personale questo suo ultimo, anche furbo e strappa consensi se vogliamo, nel raccontare il percorso distruttivo di una donna che, feritasi seriamente ad una gamba in seguito ad una caduta dagli sci, utilizza il periodo faticoso della riabilitazione presso una clinica specializzata, per rivivere i momenti salienti della nascita di un amore travagliato con un uomo brillante e seducente che le ha letteralmente sconvolto la vita, e che ha in seguito sposato e dal quale ha generato pure un figlio. L'uomo è il titolare di un ristorante, ma anche uno spregiudicato evasore e manipolatore di anime e caratteri, che utilizza il suo aspetto piacevole, i suoi modi seducenti, la sua simpatia gaglioffa, per attrarre donne bellissime e coinvolgerle in un percorso in questo caso tortuoso e facilmente autodistruttivo.

 

 

 

 

Non che l'uomo non ami la sua donna: ma lo fa con un atteggiamento e comportamenti che innestano nella donna freni e dubbi di ogni genere, sottoponendola ad uno stress nervoso che si protrae nell'arco di oltre un decennio.

Maiwenn filma anche piuttosto bene un Vincet Cassel istrionico e leonino piuttosto in parte, affidando il ruolo della protagonista alla regista Emmanuelle Bercot, vera protagonista di questo festival avendo avuto l'onore di aprire la manifestazione con il suo La tete haute circa una settimana orsono. Il suo volto e corpo belli ma possibili identificano alla perfezione una idea di donna di successo che tuttavia diventa succube di una personalità in grado di condizionarla e farle perdere la determinazione e la caratterialità che ne facevano una donna indipendente e sicura di sé.

Il titolo Mon roi già segnala sottomissione e comunque una devozione o arrendevolezza che sono il frutto di un lavaggio del cervello che il brillante uomo riesce a provocare nella consorte.

Il film tuttavia gioca troppo furbamente sulle emozioni a pelle del pubblico facendosi bello di battute e situazioni brillanti a cui si alternano, in un continuo flashback cadenzato a ritmi sostenuti, scene madri di crisi di coppia e litigi furenti alternati ad intimità o momenti di cura ospedalieri un po' troppo edulcorati e costruiti per non lasciarci qualche dubbio sulla genuinità delle intenzioni della pur valida regista. Insomma Polisse era decisamente qualcosa di più e di molto diverso.

VOTO **1/2

 

Terzo autore nipponico presente a Cannes dopo Kore-eda e la Kawase, il regista di thriller ed horror Kiyoshi Kurosawa fa capolino al Certain Regard con la sua ultima opera, VERS L'AUTRE RIVE (titolo internazionale Journey to the shore

Una ricorsa tra la vita e la morte che coinvolge una giovane insegnante di musica quando vede tornare tra le pareti domestiche il corpo (o l'anima nelle sembianze corporee) del marito, annegato in mare circa tre anni orsono in circostanze non del tutto chiarite.

Per la donna la circostanza non la lascia nemmeno più di tanto stupita, e non rifiuterà di intraprendere con quel che resta del corpo e dello spirito del marito, un viaggio complesso ala ricerca di se stessi e della propria identità di coppia.

 

 

Un Kurosawa che ci parla sempre di morte e sparizione, di senso di perdita e di voglia di ritornare al passato; tuttavia stavolta il cineasta rinuncia con una certa eleganza ai cliché del thriller di genere per riscriverci una storia d'amore che unisce vita e morte in un unico legame che risulta più forte di due aspetti come questi che tendono ad escludersi a vicenda.

Il film risulta più interessante che riuscito, alcune volte toccante, altre un po' prolisso e non troppo chiaro. L'impronta del bravo regista tuttavia rimane e anche tale opera, forse sin troppo ambiziosa, si inserisce nel quadro di un'opera complessiva di rilievo che non rinuncia alle convenzioni del genere, cercando tuttavia di arricchirla con uno spessore intimista che non trova molti altri concorrenti così scrupolosi e raffinati.

VOTO ***

 

 

 

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