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OLTRECONFINE SPECIALE CANNES – GIORNO 4; 4 FILM BELLI O BELLISSIMI: LA QUINTESSENZA DELLA CINEFILIA DA OGNI SEZIONE DEL FESTIVAL E DAGLI ANGOLI PIU' REMOTI DEL GLOBO.
di alan smithee ultimo aggiornamento
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Giornata intensa ma piena di soddisfazioni oggi sulla Croisette, dove, non senza fatica e code fisicamente devastanti (ma il prossimo anno mi compro il seggiolino da campeggio della Quechua che sta nello zaino, evitando di tornare a notte fonda con le caviglie gonfie dalla stanchezza), sono riuscito a far miei quattro gioiellini ognuno da una sezione diversa del Festival.

Intanto vi mostro un aggiornamento delle pagelle tratte dal quotidiano Le Film Francais, in uscita tutte le mattine nei punti nevralgici della fruizione cinematografica.

 

Si inizia già dalle 8,30, dopo almeno un'ora abbondante per guadagnarsi l'ingresso, con il buon film argentino PAULINA (La Patota), remake di un film omonimo del 1950 del connazionale Daniel Tinayre, presentato qui al Festival alla Settimana della Critica, e di cui il regista Santiago Mitra ha cercato di riadattarne, attualizzando il contesto umano e civile odierno, la drammatica vicenda.

Paulina è la figlia venticinquenne di un celebre avvocato che la vorrebbe in studio assieme a lui per continuarne la carriera, ma che invece sceglie di fare l'insegnante di materie civiche e legali presso le scuole dei quartieri più degradati della zona.

Una notte mentre rincasa sul motorino di una collega, viene aggredita da un branco di giovani, capitanati da un giovane frustrato per essere stato lasciato ed umiliato dalla fidanzata.

Lasciata svenuta nel bosco, la giovane trova la forza di raggiugere la città e denunciare il fatto.

Tuttavia scoprendosi incinta dopo quel brutale episodio, Paulina cambia idea sulla comprensibile decisione di abortire, sentendo dentro di lei un sussulto vitale che le impedisce di procedere come tutti le consigliano, specie in famiglia.

Paulina è stato definito un “thriller sociale” e spicca per la determinazione fiera ed indomita di un personaggio che ha in sé i tratti dell'eroina epica e d'altri tempi, della santa laica che non si ferma davanti a belle frasi ma dà il buon esempio sulla propria pelle-

Alla riuscita della pellicola collabora con un contributo fondamentale la bella e tenace protagonista, Dolores Fonzi, sguardo mite e forte nel contempo, dai lineamenti piacevolmente spigolosi sui quali una regia amorevole incede nel finale toccante in cui la macchina non riesce a staccarsi dal suo volto tenace, solo leggermente impaurito ma sostanzialmente fiero della ardua decisione assunta.

VOTO ***1/2

 

Per il secondo film mi trasferisco poche centinaia di metri dalla precedente sala Miramar e, oltrepassato il roboante hotel Carlton sul quale campeggia un Terminator più mutante che mai (Evolve! Avverte o minaccia un maxi schermo facendocene vedere l'evoluzione tra uno Swarzy immarcescibile ed il vero cattivo della situazione), mi trasferisco al Palais Croisette dove, nella rassegna della Quinzaine, proiettano il primo film di una insolita e stuzzicante trilogia che l'ottimo regista Miguel Gomes (è il regista dello splendido TABU', visto al Festival di Torino e poi purtroppo mai più arrivato in sala) ha adattato dai racconti delle Mille ed una notte, aggiornate ai nostri giorni e alla crisi economico-sociale del Portogallo.

Il film è ARABIAN NIGHTS vol 1: O INQUIETO, ed è il primo di tre episodi da due ore ciascuno in cui, tra arguzia ed ironia, l'ottimo autore cerca di darsi e darci una spiegazione del perché e di come il suo paese, alla stregua di molti altri vicino e meno vicini dell'Europa, è finito in un baratro così profondo ed invalicabile.

Il manifesto del film di Miguel Gomes che tappezza i palazzi sulla Croisette

 

Nel tono scanzonato e libertino dei racconti di Scheherazade, Gomez ci racconta di riunioni di potenti che, in concistoro per salvare il paese, si fanno turlupinare da un venditore africano che offre loro una pomata che provoca erezioni istantanee e di lunghissima tenuta; di politici locali che trovano come simbolo un bellissimo gallo posto come emblema in un cortile della cittadina, ma da quel momento fautore di notti insonni per il suo vizio di cantare anzitempo a notte ancora fonda; per passare poi ad interviste di uomini che si confessano davanti alla cinepresa nelle loro difficoltà a sopravvivere, a invece hanno preceduto momenti di gloria e soddisfazione economico-professionale che li fece sentire degli eroi ed imprenditori inaffondabili.

Dispersivo e rutilante, sarcastico sino a risultare tagliente, il primo volume della trilogia annuncia un'opera epocale che si rifugia nella satira per parlarci di marciume e corruzione: gli ingredienti essenziali per una caduta senza freni che sembra non avere un fondo da cui poter almeno tentare di risalire.

VOTO ****

 

Nel pomeriggio mi sposto a Cannes La Bocca, ovvero circa 5 chilometri più ad ovest della Croisette, per recarmi finalmente nella sala Le Licorne, epicentro dell'associazione Cannes Cinephiles grazie alla quale ho ottenuto il pass per accedere alle proiezioni.

La distanza dal quartiere nobile delle star non è sufficiente per azzerare le code, che anzi proseguono imperterrite e senza sosta. Tuttavia ho modo di vedere, uno di seguito all'altro, due ottimi film nipponici di due degli autori più apprezzati del cinema contemporaneo giapponese: NAOMI KAWASE e HOROKAZU KORE-EDA.

Della Kawase, reduce dal Concorso lo scorso anno con l'ecologista e soprannaturale favole di Still Water, posso vedere il riuscito AN, che ha avuto l'onore di figurare come film d'apertura de Un Certain Regard. An è una favola dolce-amara che racconta il fortunato incontro tra un ordinario panettiere ed una vecchia acciaccata signora, le cu mani doloranti e quasi incancrenite da una terribile malattia, nascondono il segreto per dar vita ad un impasto magico che rende dei semplici dolcetti da strada, preparati con una marmellata di fagioli rossi, dei veri e propri doni della natura destinati a creare quasi una dipendenza da quanto risultano attraenti al palato e gustosi.

Il successo del locale dell'uomo, preso letteralmente d'assedio dalla clientela grazie ache ad un passa parola provvidenziale, permetterà ai due individui di creare non solo una fruttuosa società commerciale, ma pure un'intesa ideale per aprire ognuno il proprio cuore a quello dell'altro socio, facendo venire a galla caratteri e situazioni che altrimenti ognuno dei due avrebbe serbato in sé senza aprirsi ad alcuno.

Le tradizioni antiche del Giappone, il senso della vita e della morte come un unico percorso formativo che aiuta a perfezionarsi, sono temi costanti del suo cinema quasi fantastico e metafisico, soggetto ed influenzato dalle antiche leggende e dai misteri che stanno alla base del nostro vivere quotidiano.

VOTO ***1/2

La vita e la morte sono temi sempre presenti, assieme a quello della giovinezza e della vecchiaia, loro rispettive estrisecazioni, anche nel cinema intimo e sensazionale del connazionale celebratissimo autore Hirokazu Kore-eda, che torna a Cannes in Concorso dopo ripetute altre partecipazioni e premi, con NOTRE PETITE SOEUR. Una nuova riunione di famiglia in stile “Still walking”, ma questa volta tra tre sorelle giovani ma già adulte che, alla morte del loro padre naturale, da anni separato dalla loro madre, scoprono di avere una sorellina quattordicenne, frutto di un tardivo amore in seconde nozze.

Invitata a stare da loro nella grande e vecchia, ma accogliente e piena di ricordi casa d'infanzia in cui le tre donne vivono, la ragazzina porterà tra di loro una ventata di freschezza e di candore che servirà a migliorare la vita di tutte loro tre, così prese a giostrarsi tra tre diverse occupazioni e situazioni amorose tutte differenti e spesso stravaganti od impegnative in cui versano le tre giovani donne.

Un film che si fa apprezzare anche stavolta, come nel già citato e meraviglioso Still Walking e in molte delle altri appassionanti opere del maestro giapponese, per l'estrema delicatezza dell'autore nel trattare i delicati rapporti all'interno di una famiglia, specie se allargata come capita ormai di continuo nella realtà dei gruppi parentali odierni.

Un film che si apre e chiude con una morte, ma fa crescere ed alimenta dentro le nostre donne protagoniste, quella forza necessaria per rinsaldare rapporti e crearne di nuovo indipendente dalla consanguineità e dalle rivendicazioni caratteriali che ci rendono spesso così intolleranti verso i nostri stessi parenti diretti.

Kore-eda semina armonia e voglia di vivere, serenità che non vuol dire illusione di vita eterna, ma una simbiosi ideale per affrontare perdite dolorose con la forza di un'intesa tra vivi che rende forte la famiglia, il nucleo invulnerabile, se unito nei pressi di un comune focolare domestico, come avviene in questo contesto.

Piante da frutto in fiore, gallerie candide di ciliegi in fiore, composte di frutta e sciroppi prodotti in famiglia con le risorse del proprio giardino fanno da corollario inevitabile per un film nuovamente toccante e struggente da un autore completo che ha trovato da tempo lo stile e la coerenza narrativa di rappresentarci sprazzi di serenità anche lungo il cammino travagliato e colmo di ostacoli di una vita terrena sempre troppo superficiale e frenetica.

VOTO ****

 

 

 

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