Si è vero in effetti, quel che si dice sullo scarso gradimento da parte della critica francese a proposito del film di Garrone. Il quotidiano più ricercato in questi giorni di frenesia festivaliera, riporta ogni giorno le pagelle aggiornandosi e completandosi ogni volta. Le stellette riservate al film di Garrone, nonostante la validità ormai quasi acclamata da molta parte della stampa nostrana, appaiono avare e reticenti ad esprimersi positivamente.
Poco male tuttavia, perché se la giuria lavora con la serietà e l'indipendenza con cui dovrebbe caratterizzarsi, estranea da influenze esterne non pertinenti, non dovrebbe farsi influenzare da alcun giudizio di qualsiasi livello e direzione. Sarà come sarà dunque, l'importante è che vinca il migliore, ed il problema sta nel riuscire ad individuarlo.
A proposito di rassegne, confrontate i quattro loghi (fotografati direttamentedallo schermo o dal Palais du Cinema) delle altrettante categorie (Concorso, Un Certain Regard, Semaine de la critique, Quinzaine des Réalisateurs) che contraddistinguono il festival e ditemi se anche solo visivamente la Quinzaine (oltre che spesso nei contemut) non appare come la più accattivante e fresca (oltre che la democraticamente più accessibile) tra le manifestazioni che compongono il Festival cinematografico più famoso al mondo.
Oggi a Cannes ho potuto vedere “solo” tre film: una media scarsa se rapportata agli altri festival frequentati negli ultimi anni; un risultato discreto se si tiene conto della difficoltà di accesso e delle code impossibili a cui siamo costretti e sottoposti, che raggiungono anche le tre ore al sole, senza mai sapere sino alla fine se si entra o meno.
Il primo film, che partecipa alla Semaine de la Critique, è un lungometraggio d'esordio del canadese Andrew Cividino, che lo ha tratto da un suo cortometraggio girato anzitempo per mancanza di fondi per permettersi un “vero” film.
LE GEANT ENDORMI, ovvero “il gigante addormentato”, si riferisce ad una alta parete rocciosa che si staglia a picco sulle rive di un lago in una zona di villeggiatura nell'Ontario.
In quella cittadina alle pendici del monte, durante un'estate un ragazzo sedicenne timido e di famiglia benestante, conosce due cugini in vacanza per l'estate dalla nonna.
I due sono caratterialmente più agitati e maneschi del ragazzo, che pare soccombere, salvo comunque diventarne amico ed invitarli nella sua bella casa.
Durante un giro in barca i tre scorgono la roccia e l'idea di sfidare l'ebbrezza del vuoto e aggiungersi ai pochi che hanno avuto il coraggio di tuffarsi da lassù in cima, risulta irresistibilmente attraente, specie per i due cugini scapestrati e imprudenti.
Intanto l'estate passa con i suoi momenti di quiete, con gli amori che nascono e le gelosie o frustrazioni che si portano dietro tra chi se li vede passare innanzi senza divenirne protagonista.
Per non parlare delle bravate, dei piccoli furti al supermercato d una cassa di birra che gettano nel panico l'equilibrio di una famiglia perbene almeno nell'apparenza, ma con crepe nascoste sottopelle che affiorano di sorpresa e senza avvisaglie.
Poi il giorno della sfida arriva, e dietro di lui la tragedia, inesorabile, imprevedibile, implacabile e definitiva.
Le géant endormi è un interessante racconto di formazione ed un'esperienza di regia che si fa notare per la limpidezza nella ripresa di volti freschi ed espressivi scelti con cura da un regista che non cerca a tutti i costi carinerie o stratagemmi scaltri per farsi apprezzare dalla massa.
Un film fresco che merita la vetrina, e pure la competizione “cannese” prima di affrontare l'avventura in sala.
VOTO ***
Il secondo film della giornata, TROIS SOUVENIRS DE MA JEUNESSE, proviene dalla Quinzaine ed è un prequel di un noto film che oltre dieci anni orsono partecipò al Concorso qui a Cannes. Quel famoso (im Francia, perché da noi non è mai uscito) “Comment je me suis disputé...ma vie sexuelle”, di cui il medesimo regista Arnaud Desplechin ne riprende le gesta del suo protagonista principale: quel Paul Dedalus che diviene per il regista quasi quanto Antoine Doinel è stato per Francois Truffaut.
E lo troviamo adulto, interpretato sempre da Mathieu Amalric,mentre si aggrega ad un circolo ucraino per cercare di tornare in Francia dopo dieci ani di esilio, per saltare all'adolescenza, alle prese con la follia di una madre che verrà presto a mancare, il rapporto con il padre triste ed inconsolabile, l'amicizia e la complicità con un medico che gli instilla interessi per l'antropologia, ed altre vicissitudini di un ragazzo ormai sulla ventina, innamorato della sua Esther, che diviene la sua Penelope ponendo il ragazzo in una situazione omeriana di un nuovo Ulisse randagio e senza pace.
Un film curioso e pieno, colmo di aspetti e vicissitudini, che finiscono per accumularsi ed eccedere in un disordine temporale e narrativo che scombussola un po' e dà l'impressione di concedersi in troppe divagazioni ruotando troppo a vuoto attorno ad un soggetto ma senza mai concentrarvisi completamente.
Certo è che il film è interessante e singolare, e potrebbe dare luogo a successivi ulteriori approfondimenti, rendendo finalmente interessante una figura evidentemente importante per il regista, ma non ancora delineata o messa a fuoco come certamente merita.
VOTO ***
Ma il gioiello di questa mia giornata, ed il film più suggestivo e complesso visto sino ad ora arriva dalla Colombia e si intitola EL ABRAZO DE LA SERPIENTE, che porta la regia del giovane Ciro Guerra, presente in sala al Palais Croisette nella rassegna della Quinzaine.
Il regista Ciro Guerra ed il cast del suo film questa sera al Palais Croisette della Quinzaine.
La vicenda, che si divide senza stacchi evidenti tra un passato tragico ed un presente di vecchiaia e speranza, ci presenta uno sciamano intento a far da gioda prima da giovane ad un botanico tedesco, poi, più anziano, ad un altro studioso delle piante, ma americano.
Entrambi sono interessati a trovare il fiore bianco e carnoso ma rarissimo di una pianta che, se ingerito, dà luogo ad effetti allucinogeni che favoriscono lo sviluppo del sogno e il suo ricordo una volta ridestati.
In entrambi i casi i viaggi sono lunghi e duri, funestati dalle condizioni meteorologiche e comunque proibitive di una zona selvaggia tra le foreste infinite di una Amazzonia da vertigine, incantevole e micidiale nello stesso tempo, madre dispensatrice e prigione inestricabile.
Un viaggio alla deriva di se stessi, tra atmosfere che ricordano i deliri di Kurtz di Cuore di Tenebra e relativa versione cinematografica coppoliana, e i disagi psicologici del Reygadas che condivide lo stesso selvaggio ed indomito continente.
Un viaggio alla ricerca di se stessi e delle proprie capacità e risorse, una scoperta di come il fanatismo religioso possa creare situazioni di servilismo cieco senza alcuna messa in discussione; ma soprattutto un ritratto potente che trasuda fascino abbacinante di una natura lussuriosa e potente come un dio, libera e allo stato brado, incontenibile e carnale: circostanze e caratteristiche che il bianco e nero potente e cinerino in questo caso agevola ed aiuta a rendere la maestosità del creato a dir poco inquietante e quasi soprannaturale, come una divinità da cui attendersi pericoli in vista e da tenere a bada con sacrifici e rispetto per troppo tempo messo al bando da un progresso che ne ha cancellato la complicità con il suo interlocutore ideale che è quell'uomo che tende sempre più ad imbrigliarla soffocandone le potenzialità.
Il più potente film di Cannes visto fino ad ora, non a caso alla tanto amata Quinzaine.
VOTO *****
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