
Quando ero piccola noleggiavamo film in vhs e li riversavamo in betamax per conservarli. Un pomeriggio, forse 1986, stavamo “passando” Biancaneve di Disney e durante una scena di un temporale in casa mancò la corrente. I minuti passati a riattaccare la registrazione dove si era interrotta mi sono rimasti in mente come il primo montaggio che ho fatto e la prima occasione in cui il mondo dei film si è un po' allargato rispetto alla semplice visione da spettatore.
Perché il cinema inteso come sala e proiezione non è mai stato il mio mondo: la sala è stata una conquista adulta, e la visione dei film è rimasta relegata alla televisione, alle registrazioni notturne di FuoriOrario sbobinate e indicizzate la mattina dopo (con l'unica guida possibile, in assenza di internet, di FilmTv rivista), agli acquisti compulsivi di videocassette.
Poi sono entrata al Dams a Roma, appena istituito. Ero raggiante quando sono stata ammessa (quarta su 150 posti), ma dopo due anni, nonostante l'esperienza mi avesse dato tantissimo, c'era qualcosa che non mi invogliava a continuare. Incapacità? Pigrizia? Può essere. Oppure un approccio istituzionale che confrontato all'attrazione che aveva sempre esercitato su di me il cinema era troppo riduttivo. Non mi attirava sentir parlare di film nei libri, certo non nelle storie del cinema che pure reputavo utili. Amavo i testi che saltavano di palo in frasca, che intrecciavano gli argomenti, che cercavano le connessioni. Quelli incentrati su aspetti trasversali del mondo del cinema. Musica. Montaggio. Generi. Storia. Derivazione dalla letteratura. Insomma, qualsiasi cosa analizzasse il cinema senza semplicemente recensirlo o raccontarlo.
Quando la rivista mi ha trascinato su questo sito, ho continuato ad apprezzare, seppure con la mia altalenante presenza, chiunque avesse questa propensione per collegamenti, voli pindarici, paralleli, e anche le panoramiche a volo d'uccello che sanno tanto di passione e poco di struttura teorica. Mi attira molto, anche, chi usa un binario specifico (per esempio la musica) per unire i punti del cinema che ama. Salto a pie' pari le recensioni perché mi annoiano, a meno che non voglia farmi un'idea di un film o a meno che non vengano da un utente che apprezzo. Non mi riconosco in nessun critico di cui legga saltuariamente in giro. Una volta forse, ora sicuramente no.
Qualche giorno fa questo post sottolineava come sia condizione necessaria ma non sufficiente studiare il cinema per essere all'altezza di parlarne. Ecco, io non so se rientro nelle statistiche degli appassionati, so solo che non mi sono mai piaciuti gli insegnanti e i professori, che da piccola non avrei mai visto un film senza prima leggerne l'opinione di FilmTv, ma ora il mondo della critica istituzionale non mi attrae quasi più. Soprattutto se si identifica per esempio con il Mereghetti citato in quel post, che contesta l'indistinto popolo di internet per lui colpevole di atteggiarsi a critico cinematografico: mi fa pensare a un ometto arroccato sul suo metro quadro di terreno ben recintato in cui non deve osare entrare nessuno; mi fa un po' ridere, perché tutte le cose più belle di cinema che ho conosciuto recentemente non vengono più da quel mondo, ma solo da internet e grazie alle community che per pura passione parlano di ciò che amano. Lo faceva anche Vieri Razzini trent'anni fa in televisione. Solo che lui non si arroccava, non pontificava, non si sentiva in pericolo. Non mi interessava che fosse uno studioso, mi piaceva il suo modo appassionato di raccontare il cinema.
Sono l'unica? L'unica ad annoiarsi con le recensioni, l'unica a non sentire più punti di contatto con i critici di mestiere, l'unica a trovarsi a proprio agio tra i non letterati? La volpe e l'uva, mi direte. Non sarà il contrario? Lo studio è una cosa a cui possono accedere tutti, la passione e la sensibilità artistica ci sono o non ci sono. Non sarà questa l'uva?
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