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SAVANA VIOLENTA. Adam Wild, Clint Eastwood, prede e predatori.
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Da ottobre 2014 è in edicola Adam Wild, una delle migliori serie avventurose di casa Bonelli. Suo ideatore è Gianfranco Manfredi, lo sceneggiatore più libero e interessante di tutta la scuderia; il meno compromesso con le soluzioni più facili e moralistiche oggi tanto di moda; padre del fumetto cult Magico Vento, di Volto Nascosto, Shanghai Devil, Coney Island, sceneggiatore di alcune avventure di Tex Willer e Dylan Dog e autore di non pochi romanzi – Magia Rossa (1983) è dedicato alla Scapigliatura Milanese, Ultimi Vampiri (1987) è composto da alcuni racconti vecchio stile sul mito del vampiro, Il piccolo diavolo nero (2001) ci racconta la sfida tra il campione ciclistico milanese Romolo Buni e Buffalo Bill, mentre con La freccia verde (2010) ci porta nel ‘500 inglese, con atmosfere alla Robin Hood per correre nuovamente verso la pura avventura (1).

All’uscita in edicola del primo albo di Adam Wild, intitolato Gli schiavi di Zanzibar, l’autore esordisce, nella rubrica “Safari”, con queste parole: «Gli animali non sono pet. Sono belve feroci. Difendono il loro territorio, se li disturbi ti attaccano. La natura è meravigliosa, ma ti è anche nemica. Che tu la rispetti oppure no, può eliminarti lo stesso. Gli uomini sembrano più liberi e i loro costumi più semplici, invece sono in catene e i loro costumi molto complicati. I nemici non conoscono mezze misure. Attaccano per sterminare. Senza pietà». È questa l’Africa nera di metà ottocento che ci viene raccontata da Manfredi nel suo nuovo capolavoro a fumetti. Adam Wild, “Adamo selvaggio”, scozzese di nascita, ha scelto di vivere tra leoni e indigeni, di esplorare la natura selvaggia e di combattere la tratta dei negrieri schiavisti. Nulla di più affascinante, romantico, titanico e avventuroso. E noi? In ufficio a litigare con un personal computer.

Siamo sicuramente in una fase storica in cui fortunatamente la natura selvaggia e il richiamo di tale natura sull’uomo moderno sta tornando a farsi sentire. Da Into the Wild (2007), fino a Wild (2014), passando per 127 Hours (2010), Tracks (2013), All is Lost (2013), A Walk in the Woods (2015) e tanti altri survival movie dall’impianto narrativo diverso, il cinema ha di nuovo “esplorato”, è il caso di dirlo, il fascino di tale richiamo.

E non pochi sono i film che nella storia del cinema hanno guardato all’Africa come territorio deputato alla pura avventura, una dimensione altra in cui narrare storie universali che da millenni l’uomo continua a raccontarsi. La fuga, la caccia, la scoperta e l’esplorazione di nuovi territori, l’incontro e lo scontro con le belve feroci e con uomini selvaggi e primitivi, specchio sovrastorico in cui l’uovo rivede la parte addormentata o forse persa per sempre di se stesso.

Adam Wild non ha freni. Leoni, ghepardi e iene fameliche, rinoceronti furiosi, alligatori, elefanti assassini e giraffe fantasma; uomini-scimmia e indigeni poco amichevoli; europei e arabi meschini e vigliacchi, e su tutti lui, l’uomo bianco predatore, il cacciatore senza scrupoli che uccide gli uomini come le mosche: Frankie Frost è il nemico giurato del nostro eroe romantico. Ma Adam Wild è molto altro: ci sono tribù ospitali e pacifiche, uomini buoni e leali, soprattutto tra i “selvaggi”; donne nere dal fascino erotico senza freni, come l’amata Amina, la principessa guerriera che si concede nuda in molte tavole; ma anche paesaggi mozzafiato, fiumi poderosi e cascate grandiose, giungle impenetrabili e paludi malsane, deserti di terra arida, lande bruciate dal sole e immensi pascoli popolati da zebre, gnu, bufali, gazzelle e altri animali pacifici e indifferenti allo scorrere del tempo.

Come si nota anche in Adam Wild, il referente animale è fondamentale per un racconto africano, come per ogni narrazione avventurosa o di sopravvivenza. È infatti nel continuo dialogo con l’animalità, la selvaticità, l’ambiente e le popolazioni indigene, che l’uomo rappresenta se stesso e si rivede fuori da sé. E così è successo in tutti i film ambientati nella savana, a volte idillica, a volte violenta, a volte teatro di grandi amori, a volte scenario di duelli all’ultimo sangue.

Grandi cacciatori.

Dici Africa, pensi cacciatori. Quando pensiamo a qualche avventura africana non riusciamo a non pensare alla caccia grossa, a un safari nel bel mezzo della savana, circondati da animali di tutti i tipi, dagli erbivori innocui che pensano ai fatti loro ai predatori in agguato nell’erba alta. Come con gli esploratori, un altro binomio indissolubile è quello tra Africa e cacciatori, basta guardare alla voce Ernest Hemingway. Se i primi soffrono il mal d’Africa perché hanno sete di avventurarsi in terre ostili e ancora sconosciute, i secondi bramano per sfidare gli animali più pericolosi, più aggressivi e letali del pianeta.

Il cinema non si è certo fatto attendere e fin da King Kong (1933) ha raccontato, con diverse modulazioni narrative e attraversando generi diversi, il rapporto, l’incontro/scontro, tra uomo e bestia. A volte indagandone l’ossessione, come fa Clint Eastwood sulle tracce di John Huston in Cacciatore bianco, cuore nero (1990), a volte simbolizzandone le turbe, come nel bellissimo segmento iniziale di Grandi cacciatori, dove Klaus Kinski difende dai bracconieri una pantera nera che anni prima gli ha ucciso la moglie. Cacciatore è anche Harry Guardino in Agguato nella savana (1964), e la preda stavolta è un enorme rinoceronte. Anche in Hatari! (1962), di Howard Hawks, oltre a coccodrilli, elefanti e scimmiacce poco simpatiche, c’è un rinoceronte come motore narrativo: un esemplare ha ucciso il padre della protagonista e un altro viene catturato in una scena tecnicamente bellissima, ma che ti fa montare il sangue al cervello – fucking John Wayne!

Buana Devil (1952) e Spiriti nelle tenebre (1996) romanzano invece fatti realmente accaduti a fine ‘800 durante la costruzione della ferrovia sul fiume Tsavo: due leoni terrorizzarono gli operai attaccandoli e sbranandoli ripetutamente, da qui il loro funesto epiteto di “mangiatori di uomini dello Tsavo” (2).

Di caccia si parla anche quando la preda è l’uomo, come avviene in La preda nuda (1964) diretto e interpretato da Cornel Wilde, oppure un brontosauro, come succede in Baby – Il segreto della leggenda perduta (1985), bellissimo film d’avventura visto da bambino al cinema, fondamentale per il mio immaginario, con un grande Patrick McGoohan cattivissimo cacciatore sulle tracce del famoso Mokele-mbembe, “colui che ostacola il corso dei fiumi”. Paura eh? (3).

Animali assassini.

E come non passare per il cinema dei killer animals. Pochi titoli, ma con un certo fascino, più o meno riusciti, più o meno tangenti al genere: dal 1965 di Le sabbie del Kalahari, dove un gruppo di dispersi è braccato dai non pochi socievoli babbuini, al 2007 di Paura primordiale, poco riuscito beast horror con un enorme coccodrillo a seminare il panico. Quasi per ovvie ragioni, non può che essere il re della savana il pericolo più affascinante. Così, oltre ai due film sui maneaters dello Tsavo, vanno citati anche Il grande ruggito (1982) e Prey (2007). Ma anche Gorilla nella nebbia (1988) e Congo (1995), in modi diversi, trattano il referente animale anche come minaccia, ed essendo i gorilla i primati più vicini agli ominidi e quindi all’uomo, il cerchio si chiude.

I mondo movie.

Il padre degli shockumentary conosciuti ovunque come mondo movie, si sa, è il Mondo cane di Cavara, Jacopetti e Prosperi (1962). Nel 1966 lo sguardo crudele dell’exploitation sbarca anche in Africa con Africa addio e ci resterà fino al 1976 di Savana violenta. Nel mezzo, Africa ama (1971), Africa nuda Africa violenta (1974) e Ultime grida dalla savana (1975), con un uomo mangiato pure da un branco di leoni. L’indugiare su crudeltà varie, sesso, animalità e brutalità, con un occhio che ammicca al documentario per stile naturalistico, ma che in realtà gioca con lo spettatore colpendolo nel suo punto debole, ovvero lo sguardo voyeuristico, è l’estetica principale di un momento storico ed espressivo che, ancora reduce dalle grandi guerre mondiali e influenzato dalle contemporanee lotte di liberazione intellettuale e sessuale, fa dell’estremo e del proibito, del morboso e del perturbante, un manifesto di dissenso. Guardando con un occhio anche al portafoglio, visto l’enorme successo che ebbero i mondo movie all’epoca.

La buttiamo in commedia.

Ma gli italiani brava gente, non potevano guardare all’Africa solo come territorio di crudeltà e abomini, così la si è buttata giustamente in commedia. Nel 1968, la coppia Sordi-Blier si avventura alla ricerca dello scomparso Manfredi in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? diretto da Ettore Scola. Poi sono arrivati Africa Express (1975) e Safari Express (1976) con la combriccola Gemma, Andress, Lupo e Tessari, e ovviamente i grandi sganassoni di Bud Spencer con due puntate di Piedone nel 1978 e nel 1980 e con un cult movie in coppia con Terence Hill, Io sto con gli ippopotami (1979).

L’Africa sa essere quindi avventurosa, ma anche divertente, bizzarra, pure squisitamente comica. L’Italia, che come la Spagna ha una tradizione di disillusioni e disinganni, ha sviluppato come sua peculiare forma estetica la farsa, la commedia, i motti buffoneschi per irridere al sistema, ai padroni e alle avversità del quotidiano. Non poteva esistere una filmografia africana senza la pura commedia ad alleggerire il dramma dell’avventura. Anche in Adam Wilde non poteva mancare un personaggio leggero, spalla comica come lo era stato il “Poe” di Magico Vento, irascibile, brontolone, cinico e lapidario nelle battute: qui, il conte Narciso Molfetta rappresenta i buoni salotti romani in trasferta africana, ma sa anche imbracciare il fucile e mostrare i denti, il che, in una terra pericolosa, certo non guasta.

Sicuramente l’Africa, al di là dei generi, è stato un grande continente cinematografico. Oggi lo sguardo si è spostato soprattutto in America Latina, già dai ’70, e verso oriente, ma credo che l’Africa riesca a creare mondi, storie e avventure di un fascino indomabile. Dal muto di Un’avventura pericolosa (1922) a Le miniere di Re Salomone (1950), da Tarzan (1932) a La regina d’Africa (1951), il primo novecento è stato letteralmente ammaliato dal continente africano, culla dell’umanità. Dapprima, il mondo occidentale l’ha colonizzato e schiavizzato, poi l’ha liberato, continuando a spremerlo, masticarlo per bene e poi sputarlo. Il cinema, dal canto suo, occhio immaginifico e crudele, ha raccontato questo rapporto sclerotizzato tra mondo bianco occidentale e mondo nero meridionale. Le colpe del primo diventano il fascino del secondo (4).

FILMOGRAFIA:

1922 UN’AVVENTURA PERICOLOSA

1932 TARZAN

1933 KING KONG

1950 LE MINIERE DI RE SALOMONE

1951 LA REGINA D’AFRICA

1952 BUANA DEVIL

1962 HATARI!

1964 AFRICA SEXY

1964 AGGUATO NELLA SAVANA

1965 LA PREDA NUDA

1965 LE SABBIE DEL KALAHARI

1966 AFRICA ADDIO

1968 RIUSCIRANNO I NOSTRI EROI A RITROVARE L’AMICO MISTERIOSAMENTE SCOMPARSO IN AFRICA?

1971 AFRICA AMA

1974 AFRICA NUDA AFRICA VIOLENTA

1975 ULTIME GRIDA DALLA SAVANA

1975 AFRICA EXPRESS

1976 SAFARI EXPRESS

1976 SAVANA VIOLENTA

1978 PIEDONE L’AFRICANO

1979 IO STO CON GLI IPPOPOTAMI

1980 PIEDONE D’EGITTO

1982 IL GRANDE RUGGITO

1985 BABY – IL SEGRETO DELLA LEGGENDA PERDUTA

1986 LA MIA AFRICA

1988 GRANDI CACCIATORI

1988 GORILLA NELLA NEBBIA

1988 SAFARI ROSSO SANGUE

1990 CACCIATORE BIANCO, CUORE NERO

1995 CONGO

1996 SPIRITI NELLE TENEBRE

2007 PREY – LA CACCIA È APERTA

2007 PAURA PRIMORDIALE

Note:

(1) Gianfranco Manfredi è stato anche un cantante e ha scritto molti altri romanzi e libri di saggistica varia. Lascio due link per conoscerlo meglio:

- Sito ufficiale: http://www.gianfrancomanfredi.com (è sempre stato un sito funzionante, momentaneamente è in fase di rinnovo).

- Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Gianfranco_Manfredi

(2) I leoni mangiatori di uomini sono protagonisti anche del bellissimo romanzo Tre settimane a dicembre di Audrey Shulman, pubblicato da E/O nel 2012 e nell'episodio numero 9 di Adam Wild: I giovani leoni.

(3) O’HANLON Redmond, Viaggio in Congo, Feltrinelli, Milano 1998.

(4) Si consiglia la lettura di:

- LEED Eric J., La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale, Il Mulino, Bologna 2007.

- VECCHI, RUSSO, CALAFATE RIBEIRO, Atlantico periferico. Il postcolonialismo portoghese e il sistema mondiale, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2008.

 

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