É morto Manoel De Oliveira, nato ad Oporto l'11 dicembre del 1908, se n'è andato alla veneranda età di 106 anni. Solo pochi mesi fa era presente alla mostra del cinema di Venezia con il cortometraggio "O Velho do Restelo" (2014) e, quando già era ultracentenario, ha prodotto film come "Singolarità di una ragazza bionda" (2009), "Lo strano caso di Angelica" (2010), "Gebo e l'ombra" (2012), e i film corali "Mundo Invìsivel" e Centro Històrico" (entrambi del 2012), opere che spruzzano modernità, voglia di confrontarsi con le "crisi" contemporanee. Ho seriamente cominciato a credere che il maestro portoghese fosse immortale, che appartenesse ad una tipologia dell'umano a noi aliena, che fosse totalmente partecipe di quel mistero chiamato uomo tanto elegantemente rappresentato nei suoi film. Immortale rimarrà certamente la sua opera, di impronta spiccatamente letteraria, materica ed eterea insieme, raffinata come solo quelle che sanno confrontarsi di continuo col divenire storico senza soggezione di sorta sanno esserlo. Col suo cinema si ha subito netta la sensazione di entrare in contatto con la cultura alta, così come mi sembra chiara l'intenzione di De Oliveira di fare della memoria storica una materia viva a cui l'uomo deve poter sempre attingere : sia quando parla di temi universali problematizzando sui sentimenti umani e sul senso della vita ("Francisca", "Viaggio all'inizio del mondo", "La lettera", "Il principio dell'incertezza", Belle toujours", "Lo strano caso di Angelica") che quando si concentra su aspetti particolari della storia del Portogallo ("Lisbona capitale d'Europa", "No, o la folle gloria del comando", "Parole e utopia", "Il quinto impero") ; sia quando gioca di sponda con la materia letteraria facendo del narrato un affascinante scandaglio dell'animo umano ("Mon cas", "I cannibali", "La Divina Commedia", "I misteri del convento", "Inquietitudine", "Un film parlato") che quando fa del cinema teatro della vita rendendolo specchio fedele delle sue multiformi evoluzioni esistenziali ("Aniki-Bobò", "La valle del peccato", "A caixa", "Ritorno a casa", "Specchio magico"). Nel cinema di Manoel De Oliveira, in ogni caso, centrale è sempre la parola, usata come un architrave capace di reggere da sola la forza del ragionamento critico contro le "tendenze omologatrici del pensiero unico dominante". Un gigante del cinema, insomma, votato all'immortalità.
"Viaggio all'inizio del mondo"
Qualche tempo fa, scrissi una playlist sul cinema di Manoel de Oliveira. Il mio pensiero sulla sua poetica non è cambiato, quindi, date le circostanze, non mi sembra inopportuno riportarne qui di seguito il contenuto.
"Il cinema di Manoel de Oliveira è come un saggio di filosofia che va letto poco alla volta, senza fretta e senza la pretesa di voler capire tutto e subito. Ha l’intimità di un circolo aperto ai soli che abbiano la pazienza di arrivare fino in fondo e possiede la tipica impronta storica di chi fa della memoria una materia viva, l’elemento che lega il passato e il presente in un intimo rapporto di interdipendenza. Convivono questi due aspetti nella poetica dell’autore portoghese, che sembrano conferirgli il carattere di un opera inattuale pur parlando espressamente del suo tempo, di porsi in una dimensione altra anche se è in questa che vengono ascoltate le voci che giungono da lontano, analizzata la contingenza di cause remote. E’ un cinema che va oltre l’immagine e dentro la continua trasmissione di un idea pura di conoscenza, lontano dalle mode a dall’ortodossia canonizzata. Ha un impronta spiccatamente letteraria insomma, e la parola acquista un ruolo assolutamente centrale, quella eternamente custodita nei libri e quella che si muove sinuosa a formare raffinate disquisizioni dialettiche, quella capace di generare bellezza e quella che sa insinuare il ragionevole dubbio. Come se in essa risiedesse l’ultima speranza data all’uomo di emanciparsi dall'imperante pressapochismo culturale, il potere di generare riflessioni autonome sottraendosi dalle tendenze omologatrici del pensiero unico. Manoel de Oliveira rende la parola l'elemento che armonizza virtuosamente il linguaggio parlato e l’uso corretto e consapevole che se ne può fare varrebbe a conferirgli l’utopica universalità di un pensiero critico eternamente uguale a se stesso, tanto capace di dar vita a una costruttiva comunicazione interculturale, quanto di porre il mondo sopra le incertezze che incombono sull'esistenza di ognuno. Ecco, per chi scrive, è la cifra stilistica principale di un raffinato percorso cinematografico, che può difettare in lentezza e peccare di eccessivo didascalismo talvolta, ma conserva l'indubbio pregio di rappresentare un invito continuo a rileggere la storia seguendo strade non convenzionali. E' come il buon vino che occorre conservare con estrema cura perchè sicuramente saprà tornare utile. Un cinema di raffinata eleganza formale e di inestinguibile fascinazione contenutistica. L’opera di un poeta ultracentenario".
Addio maestro della modernità, e grazie di tutto.
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