“...Vai...quando tu sei lontano, nel mio cuore c'è solo spazio per l'attesa.
La gelosia scompare come un cane preso a sassate, ed il dolore si nasconde,
pieno di vergogna.
Ti aspetto! E' solo questo che conta!”
(Francisca - 1981)
Non sono abituato né capace a scrivere epitaffi, memorie, celebrazioni, nemmeno nei riguardi di autori che nell'atto di lasciarci, ci rendono contemporaneamente orfani della loro arte sublime e inimitabile, quella che in più occasioni se non ogni volta ci ha edificato o addirittura reso più significativa l'esistenza routinaria di ogni giorno. Lasciandoci un vuoto che difficilmente riusciremo a colmare. Una sensazione di tristezza e di perdita, di smarrimento incolmabile oserei persino: un sentimento che mi colse pure anni addietro con la scomparsa dell'amato Eric Rohmer e che mi si ripresenta oggi alla notizia tanto temuta, rimandata da sempre e per questo ormai divenuta quasi una leggenda, che ci riporta di schianto alla materiale e fragile realtà di tutti i giorni, così poco cinematografica e poetica, leggendo la notizia apparsa sui comunicati stampa.
A 106 anni abbondanti il più grande regista portoghese, ed uno dei più eccelsi, colti, arguti al mondo, forse il mio preferito in assoluto, Manoel Candido Pinto de Oliveira, nato a Porto nel 1908, ci ha lasciato.
Non che non ce lo potessimo aspettare, vista l'età raggiunta: un traguardo che solo a pensarci ci induce a chiederci come potesse dirigere con l'assiduità e la costanza di oltre un film all'anno, in circostanze anagrafiche che ci renderebbero difficile anche solo respirare o muoverci. Manoel ne era cosciente, e tuttavia quel suo comportamento schivo e quasi scaramantico non gli impediva di mostrare al mondo con fierezza l'esuberante stato di salute che andava di pari passo in modo quasi diabolico o quanto meno così poco umano con la lucidità della propria mente, estranea al logorio del tempo che passa e disintegra, disgrega, e si riappropria della polvere di cui siamo plagiati.
Un patto col diavolo, ipotizzavano gli invidiosi o gli ironici, gli increduli di come un uomo di cent'anni compiuti, per quanto coadiuvato da collaboratori e da una famiglia di sangue ma pure di cuore, potesse possedere le energie per farsi carico della responsabilità di coordinare e dirigere la baraonda caotica che inevitabilmente precede la creazione e la gestazione di un'opera cinematografica. Fosse tutto ciò anche frutto di un simile infernale accordo, a noi inguaribili, puntuali fruitori dell'opera del maestro, non poteva che andare bene, perché de Oliveira in forma e salute, impegnato a dirigere la sua prossima opera, costituiva ormai una costante lunga oltre un trentennio, una certezza, un appuntamento atteso ed agognato tra arguzia, cultura e adattamento di testi e opere della letteratura portoghese degli ultimi due-trecento anni.
Vivere la vita in salute e coscienti, lavorando per quello che si sa e che più piace fare fino all'ultimo, è ciò che di più bello ed esaltante possa regalarti l'esistenza; e per tutti noi cinefili che seguiamo il maestro in ogni appuntamento annuale da oltre trent'ani a questa parte, uno sprono ad augurarci e a confutare che l'arte aiuta a vivere e rende eterno chi riesce ad esprimerla nella perfezione a cui de Oliveira ci ha abituato.
Ricordatelo allora, questo vispo ometto inarrestabile, mentre balla saltellante e disinvolto alla tenera veneranda età di 87 anni al tempo della musica folkloristica dei Madredeus in Lisbon Story di Win Wenders, o quando negli Usa, nel 2007 a quasi cent'anni di traguardo, si filma mentre scende scattante dalla macchina che sta guidando, con accanto la moglie, per andare a rendere omaggio alla statua in onore di Cristoforo Colombo nell'omonimo film in cui il cineasta rivendica con orgoglio, sfrontatezza ed un tocco di avveniristica imprudenza, i supposti natali iberici del celebre navigante genovese.
Per non parlare del più grande scherzo fatto nei confronti del pubblico, del mondo dell'arte, della vita e delle regole a cui tutti prima o poi ci sottomettiamo: quella di dirigere un film strettamente misterioso e privato, intimamente personale, nel 1982: una pellicola che nessuno ha mai potuto visionare, ma da rendere visibile solo dopo la sua morte. Una circostanza che ha richiesto, per fortuna di tutti noi, ben 33 anni, un numero non casuale anche senza essere numerologi o intenditori di cabale. Ed un film la cui visione ci si affaccia ora come unica possibilità di consolazione dopo la perdita.
Ricordo il mio regista preferito con Francisca, prima di tutto, il suo film forse più perfetto e struggente, una sorta di “Via col vento” con macchina immobile in cui un giovane de Oliveira settantenne mette in scena un dramma della gelosia straordinario e rivoluzionario per la capacita' di stravolgere la narrazione, che ricorre all'io narrante per le scene più movimentate, e si sofferma su lunghi dialoghi girati con camera fissa che danno vita a strazianti scene madri incredibilmente coinvolgenti. L'azione cede il passo alla parola e de Oliveira diventa il più moderno e innovativo regista in circolazione. Lui che e' il solo che può definirsi come nato col nascere del cinema, l'unico regista vivente che ha iniziato all'epoca del neorealismo e gira ancora oggi più che centenne con un ritmo impressionante e risultati ogni volta sorprendenti.
Un regista nato col cinema muto (Douro faina fluvial, meraviglioso, risale al 1931), perseguitato dal regime e costretto a stare lontano per decenni dal cinema, ripreso poi ad inizio anni '60 l'età della pensione per molti, quella della dedizione al cinema per Manoel, coltivato con una passione sempre più straripante che lo ha reso uno degli esempi più incredibili ed ammirabili di prolificità e costanza.
Un cinesta seguito costantementre dal suo produttore storico Paulo Branco, amato e riverito, forse anche un po' temuto, dai suoi attori, Leonor Silvera, Luis Miguel Cintra e il nipote Ricardo Trepa su tutti, ma anche star internazionali come Catherine Deneuve, Michel Piccoli, John Malkovich, Irene Papas, Maria De Medeiros, Stefania Sandrelli e lo stesso Marcello Mastroianni che, stanco e provato dalla malattia, seppur più giovane di 16 anni rispetto al vecchio regista, lavorando per lui nel suo ultimo film, “Viaggio all'inizio del mondo”, del '97, rimane letteralmente allibito ed impressionato dalla vitalità, metodicità e dalla costanza ed intraprendenza del regista-ragazzino novantenne, confessandolo alla compagna Anna Maria Tatò nel film della memoria “Mi ricordo, si io mi ricordo”.
Seguono qui di seguito i titoli delle sue ultime sue opere (tra cui una delle ultime, O velho do restelo, visto al Festival di Venezia 2014) che, in quanto tali, ho avuto modo di recensire in questo sito subito dopo la visione in sala o grazie alle imperdibili serate insonni organizzate con la complicità unica e preziosa di un programma come "Fuori Orario" che da sempre venera il maestro ci ha reso possibile scoprirlo ogni qual volta il cinema in sala gli voltava le spalle (in Italia è capitato molto spesso, in Francia decisamente meno), apprezzarlo, amarlo in modo assoluto ed incondizionato, sorprendendoci ogni volta per l'arguzia e l'agilità mentale davvero inimitabili.
Cliccando su di esse potete accedere alle recensioni.
Singolarità di una ragazza bionda
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