E' ancora inverno ma l'aria primaverile proveniente da Cannes si fa già sentire con le sue prime anticipazioni. Quest'anno toccherà al celebre affascinante attore di cinema e teatro anglo-francese Lambert Wilson, alzare il sipario del più prestigioso e seguito festival cinematografico del mondo, i cui battenti apriranno il 13 maggio, per concludersi il 24 dello stesso mese.
Presto cominceranno a circolare i nomi dei partecipanti al Concorso, anche se da tempo fioccano pronostici e previsioni, anche da parte nostra con alcuni importanti titoli di autori italiani molto considerati dalla manifestazione, che guarda caso hanno pronta da sfornare la loro ultima fatica.
Staremo a vedere.
Parlando di cinema di confine, vorrei raccontarvi innanzi tutto di una sala cinematografica davvero singolare: un gioiello di cinema che resiste al tempo, alle mode dei multiplex che ormai spopolano verso la città, giù a valle, verso la costa. Si perché la sala di cui vi parlo, e che in parte vi mostro nelle foto che seguiranno, si trova in Francia, guarda caso pure lui, ma non in Costa Azzurra come gli altri cinema che frequento ormai abitualmente; bensì in Valle Roja, a pochi chilometri dal Colle di Tenda, zona di confine, passo montano nevralgico già nel passato, territorio d'appostamento in tempi di guerra ove furono eretti forti già dai tempi di Napoleone, e nota ed imprescindibile, preziosa via di comunicazione per i commerci tra i popoli del mare e quelli legati alla montagna. Territorio noto anche ed appunto per le sue tortuose e suggestive vie del sale, teatro di fondamentali contrattazioni e baratti di prodotti della terra, scambiati con quelli del mare e viceversa.
Nel suggestivo borgo medioevale di Tenda sorge infatti, dopo la piazza principale e proprio in faccia alla statale che porta al già citato colle, il cinema Begò, un pezzo di storia che resiste al tempo e alle mode mantenendo un decoro d'antan che risulta suggestivo ed accattivante. Un ingresso accogliente con un vecchio proiettore che maestosamente ci si para davanti, una rampa di scale che fa accedere ai due livelli, la platea e la galleria che in Francia si distinguono come “orchestre” e “balcone”.
Drappi di velluto e poltrone piccole ma confortevoli ed in ottimo stato per un gioiellino di cinema che suscita entusiasmo e voglia di tornare indietro nel tempo. In questa graziosa saletta vedo un film non certo memorabile, ma almeno a tratti gradevole: TOUTE PREMIERE FOIS, della coppia registica Maxime Govare e Noemie Saglio, è un film che celebra un “outing” al contrario rispetto a quelli gossippari a cui ci ha abituato certo giornalismo spicciolo ed impiccione: un trentaquattrenne gay fedele ed in procinto di sposarsi col suo compagno medico, si ritrova una mattina, apparentemente a sua insaputa, in casa di una bellissima bionda svedese: anzi nel suo letto, nudo , senza ricordare nulla di una notte senz'altro poco contemplativa. La cosa inquietante, almeno per lui, è che ripensandoci prova ancora attrazione per quella bella donna, ma è anche tutto proteso ai preparativi per il matrimonio con il compagno.
Spiegare e cercare di far accettare la cosa ad amici e familiari, che ormai hanno accettato ed assimilato con serenità da decenni la qualità ed attitudine del nostro Jeremie, sarà un'impresa ardua, costellata di mille contrattempi tra il buffo ed il tragicomico.
Con i tempi ed i ritmi della commedia sofisticata, ma anche un po' troppo zuccherosa, Toute première fois diverte soprattutto quando si concentra sulla famiglia del nostro combattuto Jeremie: sui due genitori che trovano molto più stimolante la vita di coppia gay del figlio che quella eterosessuale della sorella, che quasi ignorano anche quando questa rimane incinta, per concentrarsi sulla coppia di maschietti in procinto di organizzare il matrimonio, e rimanendo esterrefatti alla notizia, catastrofica, del ritorno del loro figlio a gusti sessuali banalmente tradizionali.
VOTO ***
CHAPPIE (che in francese si pronuncia ancor più comicamente e puerilmente "ciappì") invece è il nuovo film dell'autore lodatissimo di District 9, che da noi uscirà tra poche settimane col titolo più serioso di Humandroid. Questa volta, ancora in una Johannesburg sempre più da incubo come in District 9, i robot divengono l'elemento nevralgico per contrastare la delinquenza, supportando e quasi sostituendo i poliziotti in carne ed ossa. Quando uno di essi, appena generato, viene rubato e rapito da una coppia di gangster ed allevato come un essere vivente, costui assimila caratteri e coscienze da essere umano perdendo sempre più considerazione del suo essere artificiale, grazie anche all'intervento di un giovane scienziato (Dev Patel), che a sua volta cerca di occultarlo ad un malvagio agente (Hugh Jackman, cattivissimo). Nonostante si sia detto tutto e sin troppo su robot aspiranti all'umanizione, Chappie non sarebbe male se non si perdesse in sentimentalismi o descrizione rozza e puerile di una società ghettizzata di perdenti e barboni al limite della legalità. Questo aspetto, debole e poco efficacemente rappresentato, sfianca una pellicola che parte con ben altre ambizioni per sfociare nell'ovvio del déjà vu. Dopo il già deludente Elysiuam, Humandroid è forse un piccolo passo in avanti, ma sempre due indietro rispetto all'inarrivabile e già citato intelligente, godibile ed allarmante District 9.
VOTO **1/2
Jean Jacques Annaud è un uomo che ama le sfide ed ogni suo ritorno in regia corrisponde ad una missione titanica solo al pensarla. Con LE DERNIER LOUP il regista de Il nome della rosa torna a rappresentarci il regno animale già al centro de L'Ours e de Due fratelli.
In Cina ai tempi della Rivoluzione Culturale un giovane insegnante viene indirizzato, come tanti suoi colleghi, ad alfabetizzare una popolo nomade ai confini con la Mongolia. In cambio impara il mestiere di allevatore e viene a contatto, a suo rischio e pericolo, con una muta di lupi da cui riesce a stento a fuggire e sopravvivere. Attratto fortemente dal fascino di quell'animale, che invece il Governo centrale di Pechino dispone che sia decimato per non compromettere gli allevamenti, vera e propria risorsa per un popolo in crescita culturale ma anche materiale, l'uomo ne cattura un cucciolo in seguito ad una battuta per sterminare i piccoli dalle tane e decide di tenerlo con sé per studiarne il comportamento. Questa azione suscita la vendetta del branco che cerca di riprenderselo a tutti i costi, inasprendo il conflitto e dando modo ancora una volta all'uomo per far valere in modo sleale la sua superiorità e la sua cattiveria.
Riprese straordinarie che catturano espressività animali sorprendenti, che effetti speciali sofisticati esaltano rendendo quasi umanizzato un animale tra i più belli,intelligenti ed affascinanti del creato, sono il piatto forte del cinema del singolare e tenace cineasta francese che dirige un film tutt'altro che disneyano, fortemente calato nella realtà storica e naturalistica che si contendono le sfaccettature di una storia che può facilmente appassionare.
VOTO ***1/2
Dopo il capolavoro di Frederic Wiseman, National Gallery, sguardo intimo e intenso su uno dei più famosi musei d'arte al mondo, e cinematograficamente uno dei gioielli dell'ultima Quinzaine del 2014, anno davvero colmo di film fondamentali per quella che è la più innovativa rassegna del Festival di Cannes, dopo il 3D dei Musei Vaticani, ecco che un altro celebre tempio dell'arte decide di aprire le sue porte e mostrarsi nella sua quotidiana intimità organizzativa e pratica: in LE GRAND MUSEE (da noi “Vienna – Il grande museo”) entriamo dentro il Museo della storia dell'arte di Vienna, conosciuto in loco come Kunsthistorisches Museum.
Pur non riuscendo a raggiungere l'intensità emozionale del capolavoro di Wiseman, questa nuova esplorazione all'interno di una struttura che, per essere gestita al meglio, necessita di organizzazione, regole, e non meno di fondi e stanziamenti, che come è prassi in tempi di crisi, diminuiscono sempre costringendo la illuminata gestione a scelte strategiche e opzioni da veri diplomatici. Il regista Holzhausen cattura giochi di luce, riflessi e sfumature che rendono ancora più suggestive e perfette le opere che nel museo vengono conservate e preservate da un inesorabile logorio. Entriamo nel vivo del restauro, nel concreto della organizzazione del lavoro e del dibattito tra categorie di addetti, dalla tenace direttrice alle maestranze, dal dirigente che si appresta a congedarsi per la pensione agli addetti alla sicurezza che rivendicano un po' di voce in capitolo e di considerazione senza perdere di vista, con umiltà, il loro ruolo di contorno.
“Le grand musée” costituisce per lo spettatore qualcosa di diverso e di più specifico, magico e puntuale di una generica audio-guida impersonale e ultra-nozionale, frullato di informazioni che si dimenticano a breve periodo: la pellicola, che diviene un ibrido tra una forma promozionale e un cinema di stampo documentaristico, ammesso che di vero cinema si possa parlare, riesce a condurci in un percorso che ci rende partecipi di problematiche concrete che non saremmo di certo riusciti ad immaginare in altri modi, con lo sguardo spensierato e un po' generalista del turista che guarda e passa.
VOTO ***1/2
Un film intimista su un supereroe dei nostri giorni: timido, minimalista, dall'aspetto comune facile a passare inosservato e dall'indole tranquilla e rilassata. VINCENT N'A PAS D'ECAILLES (Vincent non ha scaglie) è un'opera d'esordio di Thomas Salvador, che ne interpreta pure il riservato protagonista. In uno stile realista che ricorda il cinema rohmeriano, Salvator ci conduce a scoprire i poteri che l'acqua è in grado di manifestare sul fisico asciutto, muscoloso ma del tutto ordinario del giovane Vincent, un tranquillo operaio che vive nella zona del Var, poco a nord della Costa Azzurra, tra le lussureggianti gole e falesie della pittoresca Vallee du Verdon.
Innamoratosi di una giovane turista di nome Lucie, Vincent finisce per rivelarle il suo superpotere, la forza che, a contatto con l'acqua, rende il suo corpo forte come quello di cinque uomini, agile e veloce nel nuoto come un cetaceo e scattante come un felino selvatico.
Un incidente tuttavia farà si che il potere del ragazzo appaia in pubblico e che lo stesso, accusato ingiustamente di un'aggressione peraltro motivata, venga braccato dalla polizia fino ad essere costretto a lasciare la zona montana per raggiungere l'oceano e valicare i confini.
Come ci è stato insegnato a grandi superpoteri corrispondono ancor più grandi responsabilità e di questo Vincent imparerà suo malgrado e a sue spese, dovendo sacrificare la serenità sentimentale raggiunta a fatica dopo anni di vita in solitudine.
Tenero, semplice, un po' irrisolto ma a suo modo potente, “Vincent n'a pas d'ecailles” ci presenta innanzi tutto un nuovo giovane autore che promette molto bene e che attendiamo alla seconda prova con una certa premura.
VOTO ***1/2
L'AMORE NON PERDONA è un film italiano di Stefano Consiglio prodotto da Angelo Barbagallo, che ha trovato una distribuzione prima in Francia che in Italia.
Parlato ancor più in francese che in italiano, il film intenso e a tratti appassionante racconta una vicenda drammatica di un amore impossibile tra un emigrato tunisino trentenne finito a lavorare a Bari e una italo francese infermiera, vedova ormai sulla sessantina, con una figlia, un genero e un nipote, che non accettano questa stravagante e per loro incomprensibile infatuazione nei confronti di un individuo considerato sospetto e di età coerente ad essere un figlio.
Ariane Ascaride, meravigliosa attrice di Robert Guediguian ma conosciutissima in Francia per molte altre pellicole, dà il volto più appropriato e credibile per rappresentare Adriana, le sue tensioni, i dubbi, le perplessità ed i sensi di colpa per la nascita improvvisa di un'amore forse impossibile ma in realtà reale, condiviso, sincero e genuino.
Fino a scoprire che l'intolleranza che accoglie la donna, sia in famiglia che nell'ambiente lavorativo, è la stessa che li coglie quando, per il viaggio di nozze, la coppia si reca a Tunisi a far visita alla famiglia del giovane sposo.
Consiglio dirige con semplicità e schiettezza un film sincero in grado di suscitare scosse emozionali e anche un senso di solidarietà che rende belli e forti due individui che scelgono disinteressatamente e con eroismo di tendere verso la felicità vera, pagando per questa scelta un prezzo davvero alto a costo di derisioni e separazioni dai propri cari davvero dolorose e destabilizzanti.
Accolto un po' freddamente in territorio francese, speriamo che il film, previsto in uscita in Italia per il 9 aprile, possa giovarsi di una distribuzione accettabile che lo renda visibile non solo localmente in terra pugliese.
VOTO ***1/2
MARJANE SARTRAPI è la fattucchiera scaltra e talentuosa che ci ha divertito con ironica intelligenza nel suo film d'animazione d'esordio, il pluripremiato Persepolis che la ritraeva stilizzata e buffa, protagonista battagliera di una lotta tragi-cpomica per la salvaguardia dei diritti inviolabili della persona resi nulli da una società maschilista e dittatoriale nella Teheran di fine anni '70. Dopo la delusione cocente del suo secondo appuntamento cinematografico (l'ambizioso ma farraginoso Pollo alle prugne), la regista franco iraniana torna a dirigere, questa volta però una commedia horror-splatter molto americana (a partire dal cast variegato ed illustre), THE VOICES incentrata sulla figura di un giovane serial killer guidato ed ossessionato da voci benevole e maligne che lo guidano e dirigono la sua mente labile e impossibilitata a discernere il bene dal male.
Un giovanottone di nome Jerry, operaio (in tuta rosa shocking portata con candida ingenuità) di una piccola azienda di legnami e fai da te, solitario e riservato, si innamora di una avvenente collega bruna, ma è pure anelato da altre due sue colleghe, una bionda esile e carina ed una mora giunonica se non obesa.
Completamente perduto dall'avvenenza della prima donna, il giovane la segue, cerca di ottenere un appuntamento, ma quando scopre che la ragazza non pare molto interessata, agisce in modo violento, sopraffatto dalla voce maligna che lo guida, impersonata ed identificata nella figura del suo gatto rosso, laddove la voce positiva che inutilmente lo invita alla calma è impersonata dal suo cagnone pacifico e un po' ingenuo.
Da quel momento la furia killer sembra aver pervaso il ragazzo che, ad una ad una, finisce per uccidere e sezionare le tre ragazze che in qualche modo egli desidera o dalle quali egli è desiderato.
Viene a galla un passato tragico e non meno violento che ha caratterizzato l'infanzia del giovane, reo di aver sterminato la propria famiglia e per questo ricoverato per anni ed anni in un istituto psichiatrico, ora in libertà vigilata e sottoposto a controlli periodici da parte di una scaltra dottoressa (la grandissima Jacky Weaver).
Tono scanzonato, coloratissimo, ironico e pulp per una ritrovata in salute Sartrapi che azzecca i tempi, l'avvenenza e la simpatia dei protagonisti, fino ad un finale irrisolto come da copione ma con un balletto finale alla Happy Days davvero divertente. Ottimo Ryan Reynolds, psicopatico senza controllo impegnato in una parte in netta antitesi con quella dello sconvolto padre di famiglia nel contemporaneo bel dramma di Atom Egoyan, The Captive.
Esilaranti le due voci tentacolari e influenzatrici tendenziose come quelle delle sirene nei confronti di Ulisse, che danno personalità e stile d'azione al pericoloso serial killer, e che prendono le forme e i lineamenti da una parte (quella maligna) del bel gattino rosso, perfido e scaltro e dall'altra (il lato buono e tollerante) del buffo cagnone un po' tonto ma di cuore e leale che condividono la casa del disturbato insicuro protagonista.
VOTO ****
Concludo questa carrellata di film, frutto di alcune delle mie ultime incursioni “oltreconfine”, con il film meno appariscente, ma a tutti gli effetti più originale, importante ed emozionante di tutti: IN THE CROSSWIND stupisce e tocca l'animo per l'argomentazione forte, lo stile inconsueto se non originalissimo della narrazione, la potenza degli sguardi di una protagonista incantevole.
Nel giugno del 1941, la repressione razziale ad opera di Stalin, si abbatte feroce ed implacabile sui popoli di confine, vale a dire sugli estoni, i lituani ed i lettoni. Migliaia di persone vennero con la forza portati via dalle loro città e condotti su due fronti principali: gli uomini in età da soldato in campi di concentramento, i vecchi, le donne ed i bambini confinati tra le immense lande siberiane,
Da una lunga serie di lettere scritte dalla giovane moglie Erna al marito durante il viaggio e poi successivamente in terra siberiana, il film ricostruisce le memorie di una profuga e la sua speranza di ritornare nella terra natia per ricongiungersi con il marito.
In un bianco e nero potente e luminoso, il giovane regista Martti Helde, classe 1987, filma in modo tradizionale il passato sereno della famiglia tra bucoliche passeggiate e gite in barca, mentre la macchina da presa segue instancabile con movimenti lenti e continui gli spostamenti dei protagonisti; poi la narrazione di quello che viene raccontato da Erna nelle lettere scritte al marito, viene rappresentato attraverso una ripresa in continuo pacato movimento su corpi immobili, quasi plastici, come una carrellata su una foto molto particolareggiata di cui si vuole riprendere ogni più piccolo particolare. Volti immobili colti nell'espressione più intensa che comunica emozione, sforzo fisico, dolore o rassegnazione da prigionia. Quasi a voler discernere una falsa fotografia da una ripresa cinematografica, uno sbuffo di vento coglie sempre qualche piccolo particolare in sottofondo, un foglio di carta, un mazzo di fiori, scuotendolo e facendolo muovere naturalmente, come per dar vita ad una rappresentazione plastica che meglio di qualunque altra rende l'idea della inevitabile staticità della pagina scritta.
Erna rivive nelle sue lettere al marito le difficoltà, la disperazione, ma anche i piccoli successi come l'acquisto di una mucca che le permette di rifornirsi quotidianamente di latte ed anzi du venderlo, ricavandone un minimo di sostentamento per lei e la figlia. Al suo ritorno a casa, la donna scoprirà che anche il marito, prima di morire in prigionia, le scrisse una unica lettera: in essa l'uomo, conscio della fine, presagiva un loro incontro come due venti di ugual forza ma opposta direzione che si incontrano nel procedere uno da est e l'altro da ovest, direzioni opposte che segnarono la definitiva separazione dei due giovani coniugi.
Il film è intenso, originale, straziante, ottimamente interpretato da attori che posano sulla scena fornendo la fissità di espressioni che meglio di chiunque altre rendono la veridicità della sofferenza e della umiliazione ricevute.
In the crosswind è davvero un film eccezionale.
VOTO ****1/2
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