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REGISTI CHE CONTANO: QUENTIN DUPIEUX ovvero LA (IN)CONSAPEVOLE, IRRESISTIBILE TENDENZA A PROTEGGERSI DALLE FRUSTRAZIONI DI UN'ESISTENZA CRUDELE, INGIUSTA, RIFUGGENDO LA GRIGIA REALTA' PER RIFUGIARSI NEL LATO GROTTESCO MA CONSOLATORIO DELLA QUOTIDIANITA'.
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Quentin Dupieux

Mandibules - Due uomini e una mosca (2020): Quentin Dupieux

Quentin Dupieux è un regista piuttosto ambito, ammirato e presente nei vari festival internazionali (Torino e Locarno sono le occasioni in cui sono riuscito ad approfondire le mie conoscenze al riguardo), che si contendono con molto fervore ogni sua opera.

In Italia questo originale ed eccentrico cineasta francese, che gira spesso in Canada o comunque oltreoceano, ufficialmente non è mai riuscito ad approdare sul grande schermo, ma gode di una certa fama ed uno zoccolo tenace di ammiratori, soprattutto grazie al successo riscontrato presso queste manifestazioni cinefile, ove film folli e trascinanti come Rubber o Wrong Cops, hanno generato entusiasmi e manifestazioni di consenso dilaganti e incondizionate.

Classe 1974, in realtà Dupieux si fa conoscere al pubblico prima di tutto come musicista di genere house ed elettronico, presentandosi al pubblico con lo pseudonimo di Mr. Oizo già dal 1999, ricevendo consensi di pubblico e riconoscimenti con la hit Flat Beat, e collaborando in seguito con artisti più o meno noti sulla scena musicale elettronica, o rivisitando successi altrui con remix di pezzi famosi di cantanti o band come Calvin Harris o Scissor Sister, senza dimenticare la messa a punto della colonna sonora di quasi tutti i suoi film, da Rubber, a Steak a Wrong.

Quentin Dupieux

Wrong Cops (2013): Quentin Dupieux

locandina originale

Rubber (2010): locandina originale

locandina

Steak (2007): locandina

Ma il Quentin Dupieux che più ci interessa, almeno qui sotto questo sito, è l'uomo di cinema, il regista che insiste più di molti altri sul bisogno dell'uomo moderno di soffermarsi sull'irrealtà, sul nonsense che percorre le nostre vite e alberga nei nostri frenetici tentativi di restare a galla, annaspando per non annegare nel mare delle complicazioni che la vita di tutti i giorni richiede ed esige.

Da questo punto di vista, tra i film fino ad ora diretti da Dupieux, dopo un esordio col mediometraggio potente e evocativo di Nonfilm, una sorta di commistione micidiale e mortifera tra realtà quotidiana e il materiale (che diventa vita vera) girato durante le riprese da un regista nominato sul campo che diventa quasi un dio di un mondo nuovo confinato tra deserto e apocalisse, dopo un Rubber e un Wrong Cops davvero divertenti ma anche un po' troppo facili o grossolani (soprattutto Wrong Cop, forse il film più noto ma anche il più deludente), dopo lo spassoso, ma anche inquietante Steak dove la società di un futuro vicinissimo viene rappresentata da una gioventù esasperatamente omologata che ricorda i drughi di Arancia Meccanica in versione naif e grottesca propria di una farsa, è senz'altro Wrong il film della maturità, il gioiello che segna l'apice artistico dell'autore. Un cineasta in grado di rappresentarci un mondo dominato dall'assurdo, dal paradosso, dalla mancata accettazione della realtà come unica difesa per sopravvivere creandosi un proprio universo parallelo che possa renderci immuni dalle intemperie (psicologiche, ma anche meteorologiche, se si pensa all'ufficio del protagonista inondato da una pioggia persistente accolta con muta rassegnazione da chiunque) della micidiale, insostenibile quotidianità.

locandina

Wrong (2012): locandina

locandina

Réalité (2014): locandina

E certo Réalité, appena uscito nelle sale francesi - opera in cui l'autore torna a parlarci di cinema nel suo atto di compiersi e concepirsi (come in Nonfilm) - diviene l'atto di cinema più ambizioso messo a punto fino ad ora dal regista, che tuttavia non riesce troppo bene in questo contesto a coordinare le sue storie, rendendo il film un assemblaggio un po' troppo asettico o non troppo comprensibile di situazioni. In tale ambito forse proprio l'incomprensione è la base sostanziale, cruciale e necessaria per creare il giusto ed appropriato grado di spaesamento, requisito idoneo a mettere lo spettatore in condizione di percepire lo stato d'animo confuso di un cineoperatore - protagonista della vicenda, alle prese col suo primo esperimento nella regia - intento a sbrogliare la difficoltosa matassa che rende fattibile la costruzione di un complesso meccanismo organizzativo quale è la preparazione di un film. Un uomo mite ma determinato, afflitto da una sempre più marcata incapacità di discernimento tra realtà e finzione, tassello fondamentale in cui Dupieux ci riporta all'inizio della sua esperienza cinematografica, a Nonfilm e al caos più totale, in un cerchio che forse si chiude e ci potrà magari restituire un autore pronto a confrontarsi con nuove nevrosi o tempeste emotive che speriamo lo facciano crescere ulteriormente, senza crogiolarsi inutilmente dietro i confini di un umorismo apprezzabile e accattivante ma facile a mostrare segni di logorio e ripetitività.

 

locandina

Au poste (2018): locandina

AU POSTE! è una nuova ghiotta irresistibile occasione umoristico-noir per perdersi in poco più di settanta minuti di esilarante delirio costruito e cementato su una serie concentrata e frullata convulsamente di follie umane che si intersecano senza soluzione o via di scampo.

Il nonsense dilagante, la frenesia di cercare soluzioni e verità restando ciechi nei riguardi delle verità più evidenti e palesi, diviene l’occasione per sintetizzare al meglio vezzi e bizzarrie di una umanità schizofrenica e senza contegno, in cui la giustizia appare il vero pericolo e la più micidiale ottusità da debellare.

Un percorso, quello intrapreso in Au poste!, all’interno di una indagine che non può avere soluzioni, soprattutto se i dettagli si concentrano sullo sventurato testimone-sospettato, catapultandolo in una situazione estrema in cui le prove di colpevolezza diventano assurdamente concrete, per quanto non notate da negligenze senza rimedio da parte di un personale distratto, inetto, superficiale, decisamente poco adatto al mestiere del garante dell'ordine pubblico.

locandina

Doppia pelle (2019): locandina

DOPPIA PELLE

FESTIVAL DI CANNES 2019 - QUINZAINE DES RÉALISATEURS Si fa presto a dire "scamosciato". Il quarantacinquenne Georges utilizza tutti i pochi risparmi accumulati fino a quel momento, per coronare quello che, più che un sogno, si rivela una ossessione: indossare solo e sempre, una giacca scamosciata di quelle stile moicano, con frange, tipo quella dello "zio Zeb" ne La conquista del West, per intenderci.

Gli costerà migliaia di euro presso un anziano truffatore contattato via rete, ma gli renderà estrema soddisfazione, facendogli maturare altresì una patologia di repulsione non solo contro tutti gli altri tipo di giacche e giacconi comunemente utiluzzati, ma altresì verso chi li indossa. Si improviserà regista di se stesso e delle sue folli e sanguinose azioni rivendicative, che lo renderanno un efferato folle giustiziere contro quello che ormai considera una oiaga, un dilagante malcostume che il nostro uomo si adopererà con tutti i mezzi (ma col metodo dell'arma bianca) a debellare.

L'aiuto di una giovane bella ragazza che intende improvvisarsi come produttrice, tanto appare entusiasta del lavoro del nostro, non farà che rendere più determinata l'azione del nostro folle uomo in tenuta di pelle beige. Da un regista folle e spassoso, incontenibile e bizzarro come Quentin Dupieux non ci si poteva aspettare molto di meno della esilarante serie di follie compulsive che vediamo sprigionarsi dall'agire inconsulto, ma non immotivato, del nostro straripante Jean Dujardin, una scelta a dir poco perfetta, al pari di quella di assegnare ad Adele Haenel quella della sua giovane collaboratrice.

Dupieux filma con stile ricercatamente povero, girando attorno alla macchietta e alla gag per centrarla appieno fino a stordire, anche di risate nervose, lo spettatore spesso spiazzato anche se ha imparato a conoscere il suo mondo assurdo, violento, umorale e schiavo di reazioni spesso smodate o incontrollate. Le Daim è dunque un nuovo, riuscito capitolo pe l'autore, intento ad immortalare una lunga serie di deliri che spesso, come in questo caso, sconfinano nell'horror che può celarsi a volte anche nella pacata assurdità del vivere quotidiano.

locandina

Mandibules - Due uomini e una mosca (2020): locandina

MANDIBULES

VENEZIA 77 - FUORI CONCORSO Ad uno squinternato e totalmente inaffidabile homeless viene commissionato, in cambio di un modesto compenso, l'incarico di ritirare un incognito pacco e trasportarlo fino ad un determinato domicilio. L'impresa, tecnicamente tutt'altro che impossibile, si rivelerà ardua e affossata da una serie di imprevisti che partono dalla scellerata scelta di un partner se possibile più imbranato del protagonista, sino ad incontri tra l'inquietante, il comico ed il grottesco, che includono uno stravagante insetto kafkiano in vena di addestramento.

Torna, più folle e divertente che mai, il sulfureo, geniale e pazzoide regista degli ultimi anni, quel cattivo ragazzo d'un Quentin Dupieux che sta creandosi un seguito notevole. Un regista che non perde smalto ed ispirazione, e per fortuna resta legatissimo al suo stile, intonso sin dagli esordi e scientemente non contaminato con svianti lavori su commissione che avrenbero economicamente fatto gola a molti colleghi; un curriculum di piccoli fulminanti gioiellini di humor feroce e satira azzeccata sulle follie compulsive che regolano la vita di tutti i giorni, in un petcorso artistico che Dupieux dimostra di portare avanti senza intaccare la sua accentuata, satirica ed irresistibile verve.

Film piccoli, corti, pieni di nonsense e situazioni al limite, oltre che una fauna di personaggi esauriti o depressi, ai margini, ma risolutamente determinati ad emergere.

Il divertimento, a volte sfrenato, è del tutto assicurato. Una menzione speciale per Adèle Exalchopoulos, alle prese con un petsonaggio del tutto esilarante: vedere per credere. 

 

 

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