"Appunti veloci e primo impatto sul cinema che ci precede, su quello che ci sfiora, o addirittura ci evita; film che attendiamo da tempo, quelli che speriamo di riuscire a vedere presto, ma pure quelli che, temiamo, non riusciremo mai a goderci, almeno in sala."
César 2015 : le palmarès complet
Meilleur film : Timbuktu
Meilleure actrice : Adèle Haenel pour Les Combattants
Meilleure adaptation : Cyril Gely, Volker Schlöndorff pour Diplomatie
Meilleur acteur : Pierre Niney pour Yves Saint-Laurent
Meilleur film étranger : Mommy de Xavier Dolan.
Meilleur réalisateur : Abderrahmane Sissako pour Timbuktu
Meilleure actrice dans un second rôle : Kristen Stewart pour Sils Maria
Meilleur court Métrage : La Femme de Rio d'Emma Luchini et Nicolas Rey
César d'honneur : Sean Penn
Meilleur film documentaire : Le Sel de la terre de Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado et produit par David Rosier.
Meilleurs décors :Thierry Flamand pour La Belle et la bête
Meilleur montage : Nadia Ben Rachid pour Timbuktu
Meilleur scénario original : Abderrahmane Sissako et Kessen Tall pour Timbuktu
Meilleur costume : Anaïs Romand pour Saint Laurent
Meilleur espoir Masculin : Kévin Azaïs pour Les Combattants
Meilleur film court métrage d'animation : Les Petits Cailloux de Chloé Mazlo
Meilleur long métrage d'animation : Minuscule, la vallée des fourmies perdues de Thomas Szabo et Hélène Giraud
Meilleure musique : Amine Bouhafa pour Timbuktu
Meilleur acteur dans un second Rôle : Reda Kateb pour Hippocrate
Meilleur premier film : Les Combattants de Thomas Cailley
Meilleure Photographie : Sofian El Fani pour Timbuktu
Meilleur son : Philippe Welsh, Roman Dymny, Thierry Delor pour Timbuktu
Meilleur espoir Féminin : Louane Emera pour La famille Bélier
I Cesars sono gli Oscar francesi, ovvero i nostri David di Donatello. Solo che i nostri premi non se li fila nessuno, mentre i francesi, grandi valorizzatori di eventi e celebratori di se stessi, hanno trasformato la serata della premiazione del meglio della cinefilia francese in un evento glamour e di gran richiamo, tanto da divenire il premio europeo tra i più noti ed ambiti.
Timbuktu, grande sconfitto a Cannes ove gli fu preferito (de gustibus, difficile poter scegliere) il film di Nuri Bilge Ceylan, ma considerato “la Palme de notre coeur” da parte di molta stampa (Le Figaro in testa) si prende la sua rivincita vincendo ben in 7 categorie, tra cui miglior film e regia.
La guerra dei due biopic su Yves Saint Laurent, Yves Saint Laurent e Saint Laurent, passa in secondo piano e comunque fa prevalere il film di Jalil Lespert su quello di Bonello, a mio avviso invece migliore, anche come interprete protagonista (di gran lunga meglio l'affascinante, scandaloso Gaspard Ulliel al più misurato e trattenuto Pierre Niney, invece ritenuto il miglior attore di Francia nel 2014.
Tra le attrici quest'anno Adèle Hanel, incantevole ribelle del sopravvalutato Les combattants, asso pigliatutto della Quinzaine cannese 2014, diventa la nuova giovane star di Francia.
Appoggio e caldeggio il premio all'incantevole ed accattivante Mommy di Xavier Dolan come miglior film straniero, mentre inevitabile mi pare il premio allo splendido Il sale della terra di Wenders come migliore documentario.
Personalmente molto contento pure per il miglior attore non protagonista a Reda Kateb per il bel film Hippocrate.
Tra i film visti in sala vi parlo innanzitutto de LA FAMILLE BELIER, campione d'incassi di fine anno dopo Non sposate le mie figlie e Samba. Una commedia acchiappa-pubblico che fa ridere e piangere, parlandoci in toni agrodolci, ironici e certo un po' furbetti e calcolati di una famiglia di allevatori della provincia francese, in cui tutti, madre, padre e figlio quattordicenne, sono sordomuti e felici, mentre Paula, la figlia sedicenne, non solo non lo è, ma è pure dotata di una voce rara ed incantevole con la quale è in grado di sfondare nel mondo della musica.
L'unico problema è farlo capire ai propri cari, che non possono rendersi conto, loro malgrado, di cosa possa significare essere dotati di una qualità che loro non possono percepire, concepire, valutare; risulterà pertanto davvero impegnativo riuscire a convincere due ostinati, simpatici ed istrionici mamma e papà a lasciar partire verso la capitale la loro figlia-gioiello, aprendole la via per un successo che potrebbe essere pienamente nelle proprie corde.
Un film acchiappa pubblico, che infatti risponde da quasi tre mesi affollando le sale, ridendo, piangendo, partecipando ad un dramma che si stempera nella semplicità e sconsideratezza di complici atteggiamenti di cameratismo e amori giovanili che sbocciano con irruenza.
A far vincere la pellicola sono soprattutto due interpreti straordinari come Karin Viard e Francois Damiens, voti notissimi in Francia, attori strepitosi dalla grande carica comica e drammatica, che entrambi riescono a dosare con straordinaria disinvoltura e naturalezza.
VOTO ***1/2
REALITE' segna il ritorno sul grande schermo di un autore bizzarro, geniale a fasi alterne, difficile da valutare e comunque pur sempre interessante: Réalité ritrova il terribile regista francese Quentin Dupieux, quello che ci ha esaltato con l'esilarante fumettistico Wrong, deluso con lo scontato Wrong Cops, divertito con il folle e cinefilo Rubber.
Réalité ci parla di cinema nel cinema, di scatole cinesi in cui ci si addentra nel seguire le vicissitudini di un mite cameraman che coltiva da tempo il sogno di dirigere un film horror, ma è incapace di discernere la realtà dalla finzione, la trama del film che ha in mente dalle difficoltà che l'uomo incontra nel cercare di persuadere uno scaltro e disonesto produttore a finanziargli il progetto; senza contare che il suo personaggio ad un certo punto si sdoppia con un effetto quasi lynchano, complicando lo sviluppo di una matassa di situazioni che si ingarbugliano tra di loro senza riuscire (magari scientemente) ad amalgamarsi. Alan Chabat. Aria da eterno cane bastonato, mite sino al vittimismo, risulta un protagonista non proprio azzeccato, non fosse che per quel suo aspetto da uomo qualunque che lo rende un personaggio indecifrabile e sospeso, difficile da valutare. Réalité è forse il film della maturità di Dupieux, ma non ci convince ancora appieno e ci pare distante dalle esilaranti trovate dell'incontenibile e per ora irraggiungibile Wrong.
VOTO ***
THE INTERVIEW è il film che più di ogni altro ha ricevuto recentemente un battage pubblicitario scaltramente pilotato sui binari del timore verso una ipotetica minaccia terroristica alimentata dalle scottanti tematiche che l'irriverente pellicola alimenta infiammando di un fuoco (fatuo) inutili e sterili polemiche. Il film riunisce una volta ancora due amiconi gradassi e dall'umorismo greve come Seth Rogen (qui anche regista assieme a Evan Goldberg) ed il prolifico, impegnatissimo (nel senso di occupatissimo) James Franco, che qui pure produce.
Un fatuo ma brillante anchorman televisivo, autore e volto di un talk show tutto gossip e rivelazioni pruriginose dal titolo Skylark Tonight, scopre che il dittatore della Corea del Nord è un suo fan appassionato e che desidera essere intervistato dal celebre presentatore. Per questo lo invita ufficialmente, assieme al suo produttore ed autore (il pingue e greve Seth Rogen) nella sua dimora per conoscerlo e stabilire i termini dell'intervista del secolo. Inutile dire che i due verranno contattati dalla Cia e costretti a collaborare per un piano dalle mire spionistiche volto a far luce una volta per tutte sui segreti della più emblematica roccaforte della dittatura ancora esistente sul pianeta.
Grande clamore per nulla, perché il film, sciocco e noioso, fotografato in modo convenzionale come un serial da pochi soldi, è una inutile rincorsa ed alternarsi di doppi sensi e sketch grossolani e scontati; Franco si sfianca in faccine e smorfiette fastidiose e ripetute, mentre Seth Rogen si spreca in scenette comiche dal fiato corto facendosi inseguire da tigri nel palazzo reale e sottoponendosi a ispezioni corporali invasive e grevi per salvare la missione segreta che li renderà eroi loro malgrado.
L'unico sprazzo divertente è costituito, ad inizio film, dall'intervento di Eminem e di Rob Low che, interpretando se stessi mentre si fanno intervistare, confessano rispettivamente e con candore la propria omosesssualità l'uno, e di essere calvo, brutto e felice il secondo.
VOTO *1/2
AMOUR FOU segna il ritorno dietro la regia della apprezzata regista Jessica Hausner, autrice del celebrato ed apprezzabile Lourdes. La vicenda di una deriva amorosa che conduce all'annientamento, alimentata da una parte dall'infelicità e dalla mancata realizzazione da parte di un celebrato ma tormentato poeta austriaco di inizi Ottocento, ed incoraggiata dalla traviante consapevolezza di essere afflitta da una male incurabile da parte di una sua graziosa cugina.
Queste drammatiche circostanze conducono i due giovani cugini a cercare, preparare con lucida premeditazione e infine concretizzare, un progetto di morte che in qualche modo li sollevi e salvaguardi dalle responsabilità penose ed inaccettabili di un'esistenza che non si riesce a sopportare e a gestire.
Un suicidio collettivo premeditato che non sorprende neppure più di tanto i compassati ed inesorabilmente preparati parenti delle vittime. Il film raggelante e raggelato della Hausner si fa notare per una sua insistita precisa rappresentazione di ambienti composti ed ordinati di interni di case aristocratiche, le cui pareti appaiono ricoperte di tappezzerie solcate da disegni geometrici dai colori pastello che si intonano a rappresentazioni floreali e ai vestiti stessi dei soggetti che dividono quelle fredde stanze, rappresentazione di vite agiate ma rassegnate ad un lungo calvario interiore dove la felicità è da tempo lontana, o non ha mai addirittura albergato. Un pessimismo cosmico che risulta, almeno a tratti, affascinante nella sua dirompente ineluttabile compostezza, vissuto con rassegnazione e nobile contegno da adulti e bambini, da padroni e servitori, tutti arrendevoli ad un destino segnato già in partenza.
VOTO ***1/2
Restando in tema di fede (o mancanza di fede), segnalo un altro film, uscito da alcuni mesi nelle sale francesi e premiato alla Berlinale 2014 con l'Orso d'Argento alla miglior sceneggiatura e premio della Giuria Ecumenica presso la stessa manifestazione: STATIONS OF THE CROSS, che allude alle tappe della via crucis, percorse in un cammino interiore di auto-crocifissione da parte di una ragazzina quattordicenne di nome Maria. Appartenente ad una famiglia cattolica dai rigorosi principi saldamente ancorati nella dottrina, e letteralmente affascinata e rapita dagli insegnamenti religiosi impartiti dal proprio giovane sacerdote durante il corso di preparazione per la Cresima, la ragazzina viene indotta ad intraprendere un personale calvario di santificazione e purificazione che, suddiviso nelle quattordici stazioni di un martirio rivissuto in altrettanti episodi, condurrà la giovane ad un percorso di autodistruzione fatale ma inevitabile.
Un film duro, con atmosfere torve e lucidamente devastanti alla Haneke, che sconcerta ed innervosisce, turba e devasta, che non concede nulla alla spettacolarizzazione, ma resta legato ad un ambiente cupo e colpevolizzante che spinge a liberarsi delle suppellettili inutili e fatue proprie della vita fragile ed inconsistente di oggi, tutta aggrappata e falsi miti e false speranze, per tendere ad una purificazione che tuttavia diviene la sintesi opposta, e quindi ugualmente distruttiva, di un percorso deviato e nocivo che sortisce un effetto contrario ma ugualmente letale.
VOTO ****
Segnalo infine l'uscita in territorio francese di due film italiani piuttosto noti: Buoni a nulla di Gianni De Gregorio, intitolato per l'occasione BONS A RIEN,
lodato da molta critica d'oltralpe allo stesso modo dei precedenti due film della trilogia del simpatico autore romano, e LES MERVEILLES di Alice Rorhwacher, premiato contro ogni aspettativa proprio qui in Francia a Cannes 2014 col Grand Prix du Jury.
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