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OLTRECONFINE (6) - ANTEPRIME DALLA FRANCIA: UN FRULLATO DI FAVOLE FAMOSE, SULLA CARTA INEBRIANTE, IN REALTA' QUASI INSAPORE; JOHNNY DEEP TUTTO MOINE, TIC E MOSSETTE; FOXCATCHER, SOLIDO TORVO BIOPIC DA CANNES, NONCHE' QUALCHE BLOCKBUSTER
di alan smithee ultimo aggiornamento
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"Appunti veloci e primo impatto sul cinema che ci precede, su quello che ci sfiora, o addirittura ci evita; film che attendiamo da tempo, quelli che speriamo di riuscire a vedere presto, ma pure quelli che, temiamo, non riusciremo mai a goderci, almeno in sala."

 

Boschi, lupi, streghe, incantesimi: INTO THE WOODS, musical di quel gran furbone di Rob Marshall che da tempo non rinuncia alle facili e suadenti suggestioni canterine, visti anche i consensi ed i premi fino ad ora ottenuti, si appropria dell'omonimo musical che dal 1987 furoreggia sui palchi di Broadway, e dà vita a quello che, almeno sulla carta e nelle intenzioni, è il paradiso dei più piccini e l'incanto e la nostalgia dei tempi che furono per i grandi che li accompagnano, o semplicemente amano rituffarsi nelle atmosfere fantasiose e cupamente accattivanti dei racconti dell'infanzia che fu.

Peccato tuttavia che questo sapiente e calcolato frullato di favole, che vede coinvolti capisaldi della letteratura per bambini come Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Raperonzolo e Jack e il fagiolo magico, nel mescolarsi e frammentarsi perda il fascino di ogni singola storia e dia l'impressione di essere un'amalgama dove i sapori accattivanti presi singolarmente finiscano per risultare neutri o artificiosi in un insieme che appare forzato o troppo costruito.

La versione originale sottotitolata, apparsa da circa due settimane in territorio francese (ma solo in poche copie), ha il merito, se non altro, di farci ritrovare la voce seducente di Maryl Streep, qui nel ruolo della madre-strega di Rapunzel, che finisce per rappresentare uno dei pochi veri punti di attrazione di una pellicola che si perde in vedute anche affascinanti del bosco e del suo mondo più o meno sommerso, con la magia buona e cattiva che lo popola al suo interno; ma dopo esserci persi nella fitta impenetrabile boscaglia della Terra di Mezzo tolkeniana, non c'é altra foresta che riesca ad intimidirci né tanto meno a stregarci come quest'ultima.

Particina risibile ma molto strombazzata per il divo Johnny Deep, manierato e mellifluo come e fin più del solito, impegnato a disegnare un lupo cattivo che finisce per ricalcare le decine di personaggi interpretati dal celebre attore nell'ultimo ventennio, Burton o non Burton, ma sempre sotto lo stesso irritante cliché ormai troppo scontato.

VOTO **

 

Restando nei paraggi del divo hollywoodiano, qui impegnato come protagonista, possiamo ritrovarlo, tra breve anche da noi, nell'ultima fatica registica dell'abile sceneggiatore David Koepp (invero mai veramente a proprio agio dietro la macchina da presa): CHARLIE MORTDECAI (in Italia solo Mortdecai), giallo dalle intenzioni brillanti che tenta di ricalcare alcune argute commedie spionistiche inglesi e magari qualche insuperato attore di classe come Alec Guinnes o David Niven, per tacere di Peter Sellers e del suo Hollywood Party e delle sue Pantere Rose.

Qui ci troviamo alle prese con un impenitente mercante d'arte finito sul lastrico, attorniato da un fedele ed ironico cameriere-killer dagli impeti sessuali incontenibili (il biondo Paul Bettany, il migliore della sgangherata combriccola “charmant”), da una stupenda moglie bionda perfettina e sinuosa, spendacciona e amante della bella vita, che non sopporta il suo nuovo look con baffetti che le generano il vomito solo a tentare di baciarlo (una Paltrow davvero fisicamente in forma come se il tempo per lei si fosse fermato), un prestante ed ingenuo poliziotto (Ewan McGregor, sprecato) che tallona il nostro protagonista, ma soprattutto la moglie, non dimentico del fatto che in gioventù questa gli preferì proprio il lestofante oggetto delle sue indagini e dei suoi sospetti.

Un quadro al centro di una contesa che lo vede conteso più che per il suo valore estrinseco, per quello che esso contiene al suo interno. Un rutilante inseguimento tra gag, qualcuna anche riuscita, molte inutili e fuori tempo massimo per un film davvero inutile che non riesce ad accontentare nessuno. Johnny Depp non rinuncia a sciorinare anche per questa occasione tutto il suo risaputo repertorio di faccette e moine che ne mortificano, forse definitivamente, checché ne dica la rivista Ciak e la sua direttrice Detassis, da anni in eterna, indiscriminata adorazione per il divo, ogni residuo di virilità e prestanza.

VOTO **

 

Parlando di prestanza, a poco più di tre settimane dall'uscita da noi prevista per il 12 febbraio, torna l'instancabile Liam Neeson, atletico e risoluto più che mai, nel terzo capitolo di una saga scritta e prodotta da quel satanasso francese di Luc Besson, uno che cento ne pensa e una ne dirige, tenendosi per sé i progetti succulenti o almeno accettabili e dignitosi, e lasciando agli altri le macchine da soldi che il re Mida del cinema francese d'azione sforna con un ritmo forsennato, densissimo, inversamente proporzionale alla qualità media (molto fiacca) dei prodotti che escono col solo suo marchio di produzione. Il film è TAKEN 3 – L'ORA DELLA VERITA', diretto come di consueto dal connazionale roboante e calorico Olivier Megaton, regista sempre più d'esportazione, già responsabile di un primo seguito e dell'ultimo Trasporter, oltre che di altri blockbuster fragorosi e di un certo successo.

La vicenda riprende le fila, slabbrate ma sotto controllo fino a quel momento, dell'ormai celebre agente speciale Brian Mills, a cui questa volta finiscono per uccidere la bella e ricca ex moglie (povera Famke Jannsen!!! l'unica cosa bella del film....), naturalmente incolpando il nostro eroe, colto in flagrante con l'arma del delitto in mano e in una situazione difficile da controvertire.

Non ci crederete ma ne segue un forsennato inseguimento, diretto e architettato da un abile agente dell'FBI (un Forest Withaker anche valido ma sprecatissimo, al quale consiglieremmo di vagliare con più prudenza certe scelte troppo urgentemente commerciali) e da una banda di malavitosi russi ben più micidiali.

Fragoroso e fracassone come e più dei precedenti, il film è un sequel spudoratamente in debito con i primi due: certamente non necessario, Taken 3 si fa seguire per il ritmo e una certa tensione che il prodotto seriale riesce in ogni caso a comunicare, grazie ad un'abile e funzionale regia che obbedisce a tutti i comandi ed i cliché dell'insaziabile fame di incasso delle grosse major, vampire senza freni né risentimenti alcuni.

VOTO **1/2

 

Dopo aver scherzato, anche troppo, è meglio parlare di cinema vero, quello serio, costruttivo, che comunica qualcosa: emozioni vere, sentimenti e stati d'animo più consoni ad una forma di intrattenimento che aspira ad essere arte.

FOXCATCHER, del bravo regista Bennett Miller, è il film con cui chiudo personalmente la mia rassegna completa dei film presentati in Concorso al Festival di Cannes 2014 (grande stagione quest'ultima della manifestazione cinefila più nota, celebrata ed ambita al mondo).

Un altro biopic in un anno che mai come questo ha tratto spunto da vicende personali e drammi rrealmente accaduti per trasporli e rappresentarli sul grande schermo.

La contraddittoria, fosca vicenda, sfociata nella tragedia più cupa ed assurda, del capostipite di una ricchissima famiglia di magnati dell'industria bellica, che, forse per noia, forse per vera ammirazione, si appassiona a tal punti della lotta libera da organizzare e costruire, all'interno della sua immensa villa con parco, un centro di addestramento ove preparare la squadra statunitense alle olimpiadi tra fine anni '80 e la seconda metà dei '90.

Tra gli atleti, l'attenzione dello strambo, complessato e torvo milionario, si sposta su due fratelli già celebri e pluripremiati, i Schultz, vincitori delle precedenti olimpiadi, da lui accolti e seguiti, con particolare attenzione per il più giovane e promettente (un Channing Tatum assolutamente pertinente e fisicamente in parte).

Un personaggio controverso che il regista Bennett Miller, esperto a trattare personalità disturbate o poco definibili, dopo Truman Capote – A sangue freddo, e in linea col precedente (un po' troppo verboso) Moneyball sempre incentrato sul mondo (marcio) dello sport, riesce a rendere nel migliore dei modi, grazie anche ad una sconvolgente, inquietante metamorfosi da parte dell'insolitamente impegnato Steve Carrell, davvero quasi irriconoscibile, qui in un ruolo che farà impazzire i membri dell'Academy in sede di nomination. E se la sua pur notevole interpretazione a mio avviso non sposta le sorti di un premio all'interpretazione maschile quest'anno davvero molto combattuto, e comunque pur sempre nelle mani di Michel Keaton, il film, eccellente, teso e molto ben girato, tanto da valere il premio alla regia a Miller proprio a Cannes, è un concentrato sarcastico e pungente che fa riflettere sugli anacronistici pattriottici costumi di una società statunitense tutta amor patrio e violenza, maniacalità che oltrevalica la passione per sfociare nel paradossale e quindi nella tragedia.

Mark Ruffalo, nel ruolo dello sfortunato fratello maggiore David Schultz, merita pienamente la nomination come miglior non protagonista, mentre la grandissima Vanessa Redgrave appare poco ma non si dimentica nei panni di una regale, quasi superiore, non meno misteriosa madre di contanto indecifrabile, tormentato del figlio assassino.

VOTO ****

 

LES NUITS D'ETE', del regista francese, ma dal nome italianissimo di Mario Fanfani, è un piccolo, toccante, un po' manierato film proveniente dal Festival di Venezia 2014 dove partecipò nella sezione “Giornate degli autori”: siamo in Francia alla fine della prima metà dei Cinquanta, quando la guerra contro l'Algeria richiedeva l'arruolamento di molti giovani soldati, presi anche dalle regioni della provincia più nascosta. E' qui che vive uno stimato e compassato ancor giovane notaio con la bella e fedele moglie, aspirante scrittrice per combattere la noia, ed il figlioletto in età pre-scolare. Mentre la vita scorre placida, almeno per chi come il nostro uomo ha scelto e valicato i gradino sociali più invidiati, scopriamo che la sera, prima di far ritorno nella propria accogliente dimora, l'insospettabile notaio è solito recarsi presso una isolata casa di campagna e travestirsi da donna: non un caso di omosessualità ma una pura ossessiva fascinazione per il travestitismo e gli abiti femminili. Un desiderio che l'uomo non riesce a controllare e che diviene una irrinunciabile tradizione ed appuntamento giornaliero, condividendo la sua passione con un gruppo di travestiti ed omosessuali di vario genere, cacciati e trattati come depravati ovunque, e sopraggiunti in quella dimora segreta come in un'oasi di tranquillità e di confidenza, presso la quale troverà asilo persino un giovane ed imprudente disertore.

Les nuits d'été è un film curioso, timido, ma per nulla arrendevole o irrisolto, cauto ma non rinunciatario nel sondare o cercare di addentrarsi nell'animo controverso di una personalità tutta apparentemente in conflitto e contraddizione tra desideri e dettami o convenienze sociali, che si fa apprezzare per la costruzione d'ambiente molto curata, per la interpretazione davvero rimarchevole del protagonista, quel Guillaume De Tonquedec non nuovo, nel celebrato Cena tra amici, ad interpretare ruoli sessualmente ambigui, e che si perde anche un po' (troppo) in tutta una serie di siparietti e storie di contorno che rischiano di far perdere l'attenzione dal fulcro della vicenda.

VOTO ***1/2

 

Sempre per restare nei pressi del buon cinema d'autore europeo, sonio appena usciti in Francia il premiato e notevole FORCE MAJEURE - un titolo originale che suona francese ma che in Francia per contro è, per ironia degli eventi, uscito col titolo inglese di "Snow Therapy" (Voto ****) premiato anche lui al Certain Regard di Cannes e il sofferto FELIX ET MEIRA (voto ***1/2), entrambi visti pure all'ultimo Festival di Torino.

Di essi potere leggere la relativa recensione cliccando direttamente sul titolo.

 

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