"Anteprime dalla Francia: appunti veloci e primo impatto sul cinema che ci precede, su quello che ci sfiora, o addirittura ci evita; film che attendiamo da tempo, quelli che speriamo di riuscire a vedere presto, ma pure quelli che, temiamo, non riusciremo mai a goderci, almeno in sala."
La coppia registica d'oro del cinema francese, quella formata da Olivier Nakache e Eric Toledano di “Quasi amici”, è già da oltre due mesi nelle sale con la sua nuova fortunata opera: SAMBA, subito in vetta agli incassi. Il titolo allude al nome del senegalese protagonista di una vicenda che anche stavolta si destreggia in bilico tra commedia divertente e diverse tematiche sociali ed umane serie e di grande attualità.
Samba è un immigrato che da dieci anni cerca di ottenere in tutti i modi la cittadinanza francese, sopravvivendo di lavoretti saltuari e appoggiandosi presso il monolocale dove vive un anziano zio cuoco. Alice invece è, o meglio era, una tenace manager che, in seguito ad una crisi nervosa, sceglie di darsi al volontariato aiutando un'ente a gestire le domande di asilo e cittadinanza degli immigrati, preparandoli al colloqui con la giuria esaminatrice. Siccome Samba è il primo suo interlocutore, ed è pure simpatico ed attraente, Alice. molto vulnerabile ed insicura, si prende cura del suo assistito con una presenza ed una meticolosità che va presto al di là della normale professionalità prevista dal ruolo.
I due registi riescono a giostrare anche stavolta abilmente una vicenda sempre in bilico tra l'impegno e l'attualità, anche drammatica, di chi vive per decenni nell'insicurezza e nella speranza di riuscire a costruirsi un minimo di certezza per il futuro, e il sentimentalismo frizzante, divertente e divertito, di due protagonisti molto disomogenei ma anche affiatati e scatenati.
E se di Omar Sy è ormai ben nota la simpatia trascinante e coinvolgente, la vera sorpresa è ritrovare finalmente la grandissima Charlotte Gainsbourg dalle parti della commedia più pura e classica, che ce la fa tornare al sorriso, e teneramente appassionata, con l'insicurezza e la trepidazione di chi scopre un lato nascosto di sé stesso, dopo molti ruoli controversi e spesso sin terribili con i grandi registi di cui è solita circondarsi.
L'altra sorpresa è la presenta del fascinoso attore di origini maghrebine Tahar Rahim, pure lui pur sempre virato al drammatico, e qui impegnato nel ruolo, di contorno, ma per nulla trascurabil, di un amico di sventure e di lavori saltuari di Samba. La sua prestazione sul carrello appeso all'esterno dei grattacieli avveniristici della Defense parigina, mentre improvvisa una lap dance con un accenno di strip a centinaia di metri da terra per distrarre dai crucci lavorativi un gruppo di belle e rampanti impiegate, è un momento forte ed esilarante di un film che non si dimentica di farci riflettere e pensare a tematiche come la precarietà, la mancanza di una stabilità familiare ed economica, che crea esodi e fenomeni di massa difficili da gestire garantendo equità e coerenza di giudizio ad ogni singolo sventurato.
VOTO ***1/2
BAAL, opera quarta di un giovane regista di nome Volker Schlondorff, è l'occasione per vedere, per la prima volta sul grande schermo in Francia, la trasposizione di una nota opera giovanile del celebre poeta e drammaturgo tedesco Bertold Brecht, presentata nuovamente in una versione restaurata alla Berlinle 2014. Ad interpretare lo scellerato protagonista errabondo, Schlondorff chiama l'amico Rainer Werner Fassbinder, non nuovo ad adoperarsi in qualità di attore, spesso autodirigendosi, proprio a cavallo tra i '60 ed i '70.
La vita errabonda di un sedicente poeta di composizioni oscene e irriverenti, Baal appunto, viene seguita dal regista attraverso alcuni giorni di cammino senza una strada precisa o prefissata.
Il ragazzo, ribelle e anticonformista, si unisce a gruppi di balordi e, con la sua carica sessuale e la propria arrogante verve dialettica, ne seduce moglie e compagne, abbandonandole ogni qual volta queste cedono alle lusinghe del grande affabulatore.
In presenza di un unico vero amico, che tuttavia non esita a tradire, rinnegare e persino uccidere a sangue freddo, Baal rappresenta il trionfo dell'astuzia e della prepotenza che sfocia nel parassitismo e nella violenza gratuita: il mito del superuomo nato e cresciuto per sottomettere ed essere servito, e il trionfo dell'istinto animalesco che uccide o annienta ogni più tenue fiammella di umanità e di sentimento.
Fassbinder appare più che convincente nel rendere il suo tremendo e stomachevole protagonista, mentre una giovane e bellissima Margarethe Von Trotta gli si immola sacrificandosi alla sua innata cattiveria. In un piccolo ruolo scorgiamo anche Hanna Schygulla, proprio da quegli anni e per molto tempo, fino alla fine, musa tra le muse del celebre regista qui impegnato nel ruolo del laido protagonista.
VOTO ****
PARADJANOV , cinebiografia estrosa e appropriatamente coloratissima di Serge Avédikian, esce in Francia col titolo più evocativo de “Le scandale Paradjanov, ou la vie tumultueuse d'un artiste soviétique”. Il secondo capitolo della vita del celebre artista russo di origini georgiane, regista onirico e d'avanguardia, ma pure poeta, pittore e compositore di quadri tridimensionali e composizioni plastiche dove la fantasia e il colore oltrevalicano il kitch per sfociare nella rappresentazione di un malessere interiore, sono raccontati dal regista nel rispetto delle fasi salienti e spesso drammatiche della vita dell'artista, impossibilitato spesso ad esprimersi col candore sfacciato e per il regime russo blasfemo dettato dalla propria fantasia ed immaginazione straripante. Autore di opere fondamentali come “Le ombre degli avi dimenticati”, “Il colore del melograno”, “La leggenda della Fortezza di Suram”, il film ne segue in particolare l'ultimo capitolo esistenziale, vissuto come in segregazione a comporre collage di oggetti e sognando il riscatto con il suo ritorno al cinema dopo anni di forzato silenzio; ed un suo ipotetico incontro col grande e celebre Marcello (Mastroianni, ovviamente), trait d'union con un cinema fantastico e sognante, avveniristico e nostalgico felliniano a cui per molti tende per genialità ed originalità l'estro di questo straordinario maestro di cinema. Ma anche l'accoglienza trionfale in Francia per la presentazione di quello che fu il suo ultimo film, nel 1988 “Asik Kerib – Storia di un ashug innamorato”, la serenità di un genio dell'arte, vecchio e stanco ma ancora motivato, presso l'avveniristico Beaubourg in zona Les Halles, nel cuore di quella Parigi simbolo più che mai di una libertà d'espressione per troppo tempo negata.
VOTO ***1/2
Con TEDDY BEAR il danese Mads Matthiensen sviluppa l'idea di un suo precedente corto e ci racconta di un gigante palestrato trentottenne che, troppo timido con le donne e succube di una madre fisicamente risibile rispetto al suo fisico, ma tenace ed autoritaria, giunge a trentotto anni senza aver mai potuto vivere una vera ed appassionata storia d'amore con una donna.
Traendo ispirazione da un suo parente, fresco sposo con una thailandese conosciuta in occasione di una vacanza, l'uomo, culturista famoso e pluripremiato che lavora per una società di trasporto valori, decide di partire per la Thailandia dicendo alla madre che si sta recando in Germania per una manifestazione sportiva.
In loco, l'uomo, deluso da tanto turismo sessuale che rende mercenaria pressoché ogni avvenente ragazza del posto, sta per maturare la decisione di far ritorno in patria, quando, imbattendosi in una palestra di culturisti, conosce la titolare, una mite donna piccolina e tenera di cui si innamora, ricambiato.
Tornato a casa, dovrà gestire con mille difficoltà l'arrivo della ragazza dalla Thailandia, all'insaèputa di una madre sempre più possessiva e gelosa che lo castra come un bambino in punizione, umiliandolo nel suo essere uomo adulto e indipendente,
Teddy boy, recitato un po' approssimativamente da un non-attore molto più credibile da culturista e sollevatore di pesi massimi, sprigiona la tenerezza della ritrovata libertà di vivere, dell'indipendenza dopo troppo tempo conquistata, della scoperta tenera e trascinante del vero amore, che rifugge le sveltine e gli sfoghi sessuali da una botta e via per concentrarsi sulla ricerca della persona compatibile per condividere un'esistenza finalmente realizzata.
VOTO ***
L'AFFAIRE SK1, dove la sigla sta ad indicare in gergo poliziesco “Serial killer numero 1”, racconta le complicate e interminabili indagini di un tenace giovane poliziotto del dipartimento investigativo sito all'ormai cinematograficamente noto 36 Quai des Orfèvres, per stanare un irriducibile serial killer di colore che fa strage di giovani donne dal 1991 per oltre dieci anni.
Grazie ad una superstite, miracolosamente scampata all'eccidio brutale a cui il maniaco sottopone le sue vittime, il poliziotto riesce a ricavare un identikit e dalle tracce di sangue a stabilire che l'assassino ha una pianta del piede particolare che dovrebbe riuscire a identificarlo tra i numerosi sospettati. Tuttavia la verità stenta a venire a galla, a causa di un procedimento burocratico che rallenta le indagini anziché sostenerle. E quando un indiziato viene trovato, le indagini del poliziotto si intrecceranno con la ricerca della verità che un'avvocatessa scrupolosa e tenace si intestardisce di portare a termine.
Polar che rifugge le facili accattivanti ambientazioni noir per restare sulla realtà molto meno artificiosa e artefatta di una cronaca che ha segnato pagine e pagine drammatiche di nera nella capitale francese. Il regista esordiente Frédéric Tellier si affida alla grinta di un attore in grande ascesa come Raphael Pesonnaz, coadiuvato ancora una volta a breve distanza dopo The Gate, dell'ottimo Olivier Gourmet e dalla volitiva e quasi materna Nathalie Baye nei panni dell'avvocato coscienzioso che cerca la verità e non il colpevole a tutti i costi.
VOTO ***1/2
Nell'ultima settimana sono usciti anche tre importanti film visti tempo addietro al Festival di Cannes e al Festival Internazionale del Film di Romas, già recensiti a suo tempo e dei quali potete trovare qualche considerazione cliccando semplicemente sul titolo:
COLD IN JULY, il film noir dak bel cast che ha portato alla notorietà un autore divenuto di culto già al quarto film: Jim Mickle classe '79- VOTO ***1/2;
poi il grande vecchio John Boorman, tornato in regia nonostante gli acciacchi della vecchiaia con lo spigliato e brillante QUEEN AND COUNTRY. VOTO ***1/2;
dal festival romano infine un cartoon per bambini tenero ed irresistibile dalle ambientazioni nordiche davvero affascinanti, favola coinvolgente basata su antiche leggende legate ad esseri marini metà donne metà foche chiamate “selkie", SONG OF THE SEA. VOTO ***1/2.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta