Luca Lionello è un attore che ha respirato l'aria del palcoscenico da subito. Figlio del famoso e mai dimenticato Oreste Lionello, il piccolo Luca ha capito immediatamente che anche per lui quella dello spettacolo sarebbe stata la sua strada.
Ho notato Luca Lionello in un film visto recentemente - anche se del 2012 - “L'innocenza di Clara” di Toni D'Angelo. Un “piccolo” film di cui Lionello è il protagonista assieme ad Alberto Giminiani e Chiara Conti. Un noir molto bello, purtroppo distribuito male e per questo poco visto (per ora) dal grande pubblico. Il nostro sito seguì al suo tempo la nascita de “L'innocenza di Clara” con interviste esclusive a Toni D'Angelo e Alberto Giminiani, io ho la “brutta” abitudine di spulciare fino in fondo le cose che mi colpiscono e piacciono molto, così - a distanza di quasi 3 anni, fuori tempo massimo - ho voluto capire meglio chi fosse l'altro protagonista maschile del film (il più ambiguo e ombroso... naturalmente).
“Sono sincero, anche a me quel film è piaciuto molto...”, così comincia la chiacchierata che ho avuto con Luca Lionello. E' molto bello per me parlare con una persona che ha tante cose da raccontare, non solo sul cinema ma anche su un altro “mondo” parallelo ad esso: il doppiaggio.
Infatti i primi passi di Luca nel mondo dello spettacolo sono proprio nelle sale buie del doppiaggio “per me osservare i grandi attori, studiare le loro tecniche, le loro movenze era il miglior modo per cominciare a imparare”.
Capisco da quello che mi dice Lionello (e da come me lo dice), che c'è voluta molta pazienza e costanza per cominciare una carriera come quella dell'attore. Poteva “accontentarsi” di un più facile lavoro nel doppiaggio, ma all'età di trent'anni Luca comprende che deve prendere una decisione drastica e scegliere. La svolta sarà per il teatro e il cinema, senza alcun rimpianto.
“...il doppiaggio è un lavoro che vuole una totale dedizione, una disponibilità che spesso, se si recita e si prendono altri impegni, non si può mantenere... io volevo sostanzialmente recitare!”.
Quando hai capito che volevi fare l'attore? Quali sono stati i tuoi primi passi?
Credo che la mia sia stata una condizione, un desiderio avuto da sempre, da quando ero molto piccolo, a 5 o 6 anni. Sono figlio di un grande attore, ho sempre respirato l'aria del palcoscenico, sapevo che avrei fatto questo. Ho cominciato da giovanissimo con il doppiaggio e, al di là del “fattore DNA”, per cominciare e intraprendere questo mestiere seriamente bisogna essere molto pazienti e curiosi. A me interessava molto andare dietro le quinte, guardare gli attori, cosa facevano anche quando non recitavano, tutta quella parte che “non si vede” ma che insegna molto. Ho avuto le prime occasioni con il teatro, poi i primi lavori alla Tv svizzera italiana, dove mettevano in scena commedie in studio. Ho avuto la fortuna di lavorare in teatro con attori del calibro di Gabriele Ferzetti, che è stato per me un vero maestro, un punto di riferimento.
Finiti gli studi classici mi ero iscritto ad architettura, ma, dopo poco, ho capito che la mia passione era il cinema e mi sono iscritto all'Accademia di recitazione di Roma.
Doppiaggio e recitazione quindi?
Tra le due cose ho preferito la recitazione, alla quale mi sono voluto dedicare completamente. Il doppiaggio lo faccio occasionalmente. C'è mancato poco che doppiassi Willem Defoe in “Pasolini” di Abel Ferrara.
Con Abel Ferrara hai avuto modo di lavorare in diversi film, che tipo è?
Adoro lavorare e vedere lavorare Abel, è sicuramente uno degli artisti più interessanti del nostro tempo. Curioso, originale, sempre pieno di idee e soluzioni. Per “Pasolini” si girava con 2 ciack, uno in italiano e uno in inglese per il mercato estero. Proprio nei dialoghi inglesi c'è una “contaminazione” di frasi e parole italiane, e questo ha contribuito a rendere più interessante e bella la versione in lingua originale.
Tu pensi che in Italia si arriverà mai ad una distribuzione dei film in lingua originale, con solo i sottotitoli?
No, assolutamente no. Noi non siamo come la Francia che è un paese sostanzialmente bilingue. Inoltre il nostro doppiaggio è realmente uno tra i migliori nel mondo. Certi attori americani hanno avuto molto aiuto dal nostro doppiaggio, sono decisamente migliorati in italiano. Pensa che il doppiaggio in Italia è nato perché abbiamo perso la seconda guerra mondiale. Arrivarono moltissimi film americani che dovevano per forza maggiore essere doppiati.
Tuo padre Oreste Lionello, oltre ad essere un grande attore e comico amato da tutti, era anche un fantastico doppiatore. E' stato difficile avere un padre così importante?
Mio padre non era di questa terra. Era inconcepibile e, al di là delle sue doti tecniche, era un vero intellettuale. Aveva un senso dell'humour unico; riusciva a fare da filtro tra un “humour intellettuale” ed uno più popolare. Stare accanto a lui, osservarlo... beh, non ci sono parole per descrivere una tale fortuna. Poi ovviamente ci sono tutti gli aspetti che riguardano la parte genitore-figlio, di “conflitto generazionale”. Quando gli altri ragazzini passavano i pomeriggi al campetto di calcio, io li trascorrevo nelle sale buie del doppiaggio. Forse allora certe cose mi pesavano. Oggi ne apprezzo l'importanza. L'esperienza del doppiaggio, fatta così da giovane, è stata una vera e propria scuola che mi sarà utilissima negli anni futuri.
...e oggi? A cosa stai lavorando?
Ci sono alcuni film che devono uscire e a cui tengo. Credo che siano titoli interessanti.
“Fantasticherie di un passeggero solitario” di Paolo Gaudio, “Calcolo infinitesimale” di Enzo Papetti e due film di Paolo Consorti: “Il sole dei cattivi” e “I figli di Maam”.
Ti voglio fare una domanda di cui mi vergogno un po'. Hai recitato in un mio film cult, che non manco di vedere ogni volta che lo passano in tv: “Ho sposato Simon Le Bon”. Hai qualche curiosità da raccontare? Sei (eri) un duraniano?
No, no... assolutamente. Ero un ragazzino all'epoca, ma non mi interessavano i Duran Duran. (si scherza sul fatto che il film all'epoca risultò un “pacco” per le fan come me, in quanto i Duran Duran in verità non si vedevano mai, ma erano solo citati). Quello è stato il mio primo film, ed è un po' figlio dei tempi. Ero giovane, ma volevo capire cosa volesse dire “fare un film”. La teoria è un conto, la pratica un altro, e se le cose ad un certo punto non le fai la teoria lascia il tempo che trova.
Ricordo che il primo passaggio in tv di quel film ebbe un ascolto altissimo.
Ringrazio molto Luca Lionello per aver voluto fare questa chiacchierata con me. Certi film come “L'innocenza di Clara” hanno percorsi pazzeschi; rimangono invisibili nelle sale cinematografiche poi, grazie anche ad un sito come Filmtv.it, riescono a farsi vedere in qualche modo. Se non fosse stato per le interviste di qualche anno fa, non mi sarei incuriosita tanto e non avrei stressato un mio amico per procurarmi il film. La gentilezza delle persone fa il resto.
Nota personale.
Ringrazio tanto Spaggy per la sua disponibilità nell'aiutarmi nella parte più tecnica di questo post. Se qui continuo a divertirmi sempre tanto scrivendo di tutto un po' è grazie soprattutto a persone come lui, che lavorano quotidianamente in maniera seria e professionale. Grazie davvero Pietro.
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