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Soundcrack II - Musica & cinema & musica & cinema (prima parte)
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Dopo il precedente post, in cui mettevo in evidenza le qualità artistiche delle colonne sonore del compositore giapponese Toru Takemitsu, questa volta vorrei scrivere più in generale del rapporto che si crea nel cinema tra musica e immagine e di come (forse) possa essere meglio compreso o perlomeno percepito. È una sorta di "bigino" piuttosto semplificato di ciò che insegno al corso di laurea triennale ai musicisti e/o compositori che vi si iscrivono. Non ha quindi assolutamente le pretese di essere esaustivo né troppo specifico. È rivolto anche e soprattutto a chi di musica non ne sa una mazza, o quasi… sono meri spunti di riflessione, per chi ne avrà voglia.



Esistono principalmente tre modelli di tipologia musicale applicati al cinema - da quello più commerciale, diciamo volto all'intrattenimento, a quello più impegnato, autoriale, meno omologato - che, combinandosi, danno luogo a ulteriori sottogeneri.

1) C'è la forma tradizionale della musica composta per il film, cioè il caso dove il regista chiede al compositore di creare qualcosa di efficace e in qualche modo malleabile (ma non per questo necessariamente personale). Un materiale originale (in quanto non preesistente) che consenta di seguire con notevole coincidenza e coerenza la poetica di base del film e i suoi sviluppi.
All'interno di questa tipologia esistono poi due correnti di pensiero (ovviamente sto estremizzando):
- la prima asserisce che la migliore colonna sonora possibile è quella che nel migliore dei casi quasi non si avverte, o che comunque non prevede di prendere il sopravvento sulle altre componenti dell'opera filmica, o che al contrario viene anche chiaramente percepita, a patto che non la si ricordi come un elemento indipendente e separato dal resto (col rischio che molto spesso la musica scorra come un magma sonoro indistinto e quindi poco memorizzabile… Però, come detto, se essa ottempera alla sua funzione, non intralciando ma supportando l'opera tutta, in fin dei conti ben venga). Quindi, a partire dall'avvento del sonoro, si può andare da una sonorizzazione più o meno percettibile e costante delle immagini, praticamente senza interruzioni per tutta la durata del film (risultando magari un po' asettica, fors'anche in conseguenza del suo utilizzo, fino a quel momento, di mero e intercambiabile accompagnamento in sala di molte pellicole del cinema muto), per finire, nel peggiore dei casi, al clangore insopportabile di alcuni blockbuster (in senso stretto e lato) odierni.

Convenzionale:

 

Ingombrante



- Di segno opposto, la seconda prevede che la musica, pur essendo parte omogenea e integrante delle immagini, debba comunque avere un carattere distintivo proprio, una sua qualità intrinseca. Questa è una tendenza che si afferma veramente solo verso la fine degli anni '50, quando comincia a far capolino sempre più insistentemente il cosiddetto cinema d'autore (con ovvie eccezioni già apparse prima di allora, come ad esempio i leit-motif dei film di Chaplin, Il Terzo Uomo, alcuni dei film che prevedono come compositore Bernard Herrmann, ecc.)

Più astratta

 

Più melodica



2) La seconda tipologia prevede la selezione e il riutilizzo di materiale spesso eterogeneo e già edito, cioè il caso in cui al regista serve un consulente musicale (che in alcuni casi può coincidere col regista stesso). È però verosimile che questa volta le immagini debbano cercare di adattarsi alla musica scelta che, in quanto fissa e predefinita, è evidentemente meno malleabile (a meno di non doverla spezzettare).

Eterogenea

 

Spezzetata:



3) Il terzo modello, più raramente utilizzato nella sua forma più pura, rifiuta in qualche modo la musica come materiale da adattare alle immagini (e viceversa), recuperandola, se necessaria, come elemento diegetico, ovvero come parte realmente integrante all'interno del film stesso, in sede di progettazione e di realizzazione. La colonna sonora diventa quello che accade realmente in una scena: un personaggio ascolta un disco o un concerto dal vivo, accende la radio, ecc.

Rappresentata:


Reale e posticcia al contempo



Come già accennato questi tre modelli spesso si incrociano, quindi nel primo caso, accanto a una colonna sonora composta appositamente, può accadere che si senta il desiderio di utilizzare un brano preesistente in una interpretazione inimitabile, oppure che lo stesso brano venga sottoposto a un nuovo arrangiamento, reincidendone una nuova versione diversa dall'originale (1+2).


Oppure all'interno della seconda tipologia ci si renda conto che, usando solamente materiale già predefinito e quindi meno adattabile, si vengano talvolta a formare dei buchi, colmabili esclusivamente attraverso la composizione di raccordi musicali ad hoc (2+1). Un esempio classico è un film con un'ambientazione temporale specifica che viene determinata anche o soprattutto dall'utilizzo di canzoni che fanno riferimento a quel periodo storico, che però necessita in alcune scene di un commento musicale non connotativo in tal senso…tipo, che so (un esempio fra tanti), la bella colonna sonora originale per violoncello della riuscitissima e inquietante serie tv "The Americans", ambientata, attraverso costumi, scenografie e canzoni appunto, negli anni '80.
Un genere filmico come il musical può tranquillamente accogliere al suo interno tutte e tre le varianti (1+2+3), come nell'esempio qui sotto dove un brano già esistente e sottoposto a una nuova versione (2) viene rappresentato sullo schermo (3), possedendo anche una funzione diremmo extra-diegetica di commento alla storia:



Per quanto riguarda la terza possibilità, la volontà di negare alla musica (nella sua accezione più tradizionale, a proposito di colonne sonore) la funzione di  amplificatore o accompagnatore di emozioni, se non nel caso di una sua reale presenza all'interno del film stesso, costringerà il regista alla costruzione di un'opera le cui immagini sono già di per sè autosufficienti, valorizzando al massimo, nel missaggio finale, le caratteristiche musicali dei suoni e dei rumori registrati durante le riprese attraverso la presa diretta (o ricostruendo in post-produzione un affresco sonoro artificiale, cosa oramai sempre più in disuso).
Alcuni illustri casi di tale applicazione si possono trovare in molti autori "contemporanei" di lingua francese, di discendenza tipicamente bressoniana (Daredenne, Dumont, Zonca) o nel movimento cinematografico Dogma 95 creato da Lars Von Trier. Al di là delle esigenze artistiche specifiche, questo è un fenomeno sempre più diffuso, anche grazie alla (o a causa della) notevole diminuzione dei budget da dedicare alla realizzazione delle colonne musicali originali, per non parlare di quelli che devono comprendere (anche) l'acquisto di costosissime liberatorie per l'utilizzo di brani editi, non necessariamente famosi.
Questo tipo di rappresentazione (diegetica) della musica, in contesti meno radicali, realizzata quindi in maniera più artificiosa della pura e semplice registrazione della realtà (ma non per questo meno efficace, dipende dal contesto), può cambiare rapidamente (e continuamente) di segno non appena prende funzione di commento (extra-diegetica) e viceversa:

 



Fine prima parte

P.S.: nel prossimo post (scriptum, he, he…) affronterei la spinosa questione: quando c'è da parlare di musica, registi, montatori e musicisti in che "lingua" parlano? Il conseguente avvento della croce e delizia delle cosiddette temporary soundtracks; la differenza tra cover e sound alike, e via di questo passo…ma soprattutto l'annosa domanda: il bravo compositore di colonne sonore deve essere per forza un bravo compositore tout court? In altre parole…è più un artigiano o un artista? o una bestia diversa? o solo una bestia?

…e come dicevano i personaggi del mitico serial inglese Il Prigioniero, dalla colonna sonora piuttosto variegata ma memor(izz)abile:
"Be seeing you."

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