"Appunti veloci e primo impatto sul cinema che ci precede, su quello che ci sfiora, o addirittura ci evita; film che attendiamo da tempo, quelli che speriamo di riuscire a vedere presto, ma pure quelli che, temiamo, non riusciremo mai a goderci, almeno in sala."
Per questo fine settimana ormai alle porte sono sei i film che Vi voglio segnalare, visti, apprezzati alcuni, o al contrario appena sopportati altri, apparsi di recente nelle sale cinematografiche della città più grande della Costa Azzurra. In ogni caso, piacciano o meno, film che si segnalano ognuno per almeno una caratteristica, una tendenza che si portano dietro, una interpretazione che li sorregge e li salva in extremis.
Nel mio ordine cronologico di visione segnalo innanzi tutto CASANOVA VARIATIONS, sorta di eccentrica ingegnosa commistione tra cinema, teatro ed opera che si rincorrono lungo tutta la première di una rappresentazione in un teatro viennese di alcuni brani del Don Giovanni di Mozart, in cui l'attore John Malkovich è chiamato ad interpretare il protagonista, Giacomo Casanova appunto, nelle scene teatrali, sostituito dal suo “sosia cantante” in quelle cantate (è il baritono Florian Boesch). Come se non bastasse entra in mezzo il cinema, soprattutto quando, nell'intervallo tra gli atti e dietro le quinte, l'attore e star deve fare i conti con un'amica che, schietta sino all'affronto, dichiara di non gradire affatto (come non capirla e giustificarla, nonostante l'antipatia!!) quell'estroso e controverso spettacolo.
Un carosello a tratti intrigante, sontuoso, spettacolare, forse, nei primi momenti, quando storia e modernità si intrecciano maliziosamente scambiandosi registro e tecnica di rappresentazione; poi decisamente pesante in un intreccio che noi (io), poco avvezzi alla materia cantata e all'opera in generale, non riusciamo bene a comprendere, e a digerire. Malkovich ammalia con la sua voce splendida ed accattivante, che si annulla e svilisce inesorabilmente quando accenna a cantare, assicurandosi al massimo un piacevole ed autocompiaciuto ascolto in un canto sotto la doccia, e ratificando la teoria saggia che ognuno deve fare il proprio lavoro: Malkovich recitare, Boesch cantare, come pure per tutti gli altri attori cinematografici e cantanti coinvolti.
VOTO **
HAN GONG-JU (in Francia tradotto con un altrettanto inesplicabile ”A Cappella”, ma poi apprendiamo che il titolo originale è il nome della tormentata giovane protagonista), è l'opera prima della regista sud coreana Lee Sun-jin. Racconta, con un utilizzo poco prudente e fin molesto del flash-back, che la giovane regista mostra evidentemente di non saper bene padroneggiare garantendo limpidezza al contesto narrativo, la storia di una liceale, traumatizzata da una ipotetica violenza carnale di gruppo subita da parte di alcuni compagni di scuola. In attesa che la polizia compia le sue indagini, ad Han Gong-ju viene assegnata una nuova scuola, lontano dal suo quartiere, e per questo viene fatta alloggiare dalla madre di un suo nuovo giovane insegnante.
La quale, all'inizio, male accoglie questa soluzione, rimanendo impassibile e fredda nei confronti della ragazza, che tuttavia saprà conquistarsi il suo apprezzamento aiutandola nel supermercato che la donna gestisce.
Nella nuova scuola la ragazza fa amicizia con diverse ragazze; impara a nuotare, e scopre di essere un'ottima cantante. Una sua interpretazione viene registrata per un'audizione e finisce per caso in rete. Verrà riconosciuta da alcuni ex compagni accusati e rintracciata dai rancoroso genitori di questi, che pensano che la ragazza abbia inscenato un finto stupro per giustificare proprie situazioni private.
Finale tragico, ma toccante, tra le acque di un fiume, che rimane forse la cosa più convincente di un film che ha una storia drammatica e solida da raccontare, ma si perde tuttavia in una certa insicurezza o incapacità di rendere per immagini un insieme di avvenimenti o situazioni che invece mal si amalgamano tra loro.
VOTO **1/2
Tra i film in uscita in questi giorni in Francia segnalo il bellissimo EDEN, della nota ed apprezzata regista Mia Hansen-Love. Un film sulla disco music anni '90, sul cosiddetto fenomeno “garage” che tanto ha entusiasmato la gioventù dell'epoca, ed evoca ricordi molto piacevoli in noi quarantenni nostalgici.
Il film lo vidi al Festival di Roma qualche mese fa. Se vi interessa saperne di più cliccate qui.
TIMBUKTU è il film di Abderrahmane Sissako, di produzione francese, presentato in Concorso all’ultimo Festival di Cannes e salutato da le Figaro come “Notre palme du coeur”.
Antica città del Mali, Africa sahariana dunque, era considerata la capitale della tolleranza e della saggezza, almeno fino a quando un’orda di integralisti ha iniziato a dettare norme comportamentali lesive di ogni più umana libertà di manifestazione delle proprie attitudini ed interessi: divieto per le donne di scoprire parti del corpo (neppure le mani possono apparire, ma vanno coperte da guati neri, e seguiamo le proteste di una tenace pescivendola che chiede ai suoi accusatori come possa manipolare il pesce con i guanti), divieto di cantare o ascoltare musica, divieto di giocare al pallone, e tutta una serie di altri castranti vincoli, epicentro di una dottrina deviata ed integralista che incancrenisce ogni più inevitabile diritto alla vita e alla libertà di pensiero, manifestazione e movimento.
In questo contesto il pastore Kidane si gode la libertà di appartenere al deserto, e conduce una vita serena tra le dune, con moglie, figlioletta ed un ragazzino adottato che gli accudisce le otto mucche, sua unica ricchezza e ragione di sostentamento. Ma un giorno un pescatore un po’ folle, contrariato che le bestie del pastore vadano ad abbeverarsi non lontano dalle sue reti allontanando i pesci, uccide con una lancia la mucca Gps, quella a cui la famiglia di Kidane era più affezionata tra le otto, l’uomo interviene per far valere i propri diritti. La colluttazione inevitabile ha un esito tragico perché il pastore finisce per uccidere incidentalmente il pescatore folle, condannandosi verso un destino segnato ed inevitabile.
Il cinema africano sa essere magnifico per la linearità e la semplicità del suo racconto, che non richiede preamboli, sotto-storie, incisi e avvicendamenti complessi, ma al contrario si dipana e risolve nella sua limpida essenzialità, che riflette peraltro i ritmi di vita, la concezione del tempo e dello spazio.
Timbuktù segna il ritorno del gran regista mauritano che colpisce al cuore con la limpidezza del suo sguardo, che si riflette e si esprime sul volto innocente dei bambini che tutto vedono e non si capacitano della follia e delle regole assurde che l’uomo si infligge sadicamente, quando il corso della vita e degli eventi potrebbe avere e meriterebbe di avere un suo percorso lineare e naturale.
Immagini splendide con cui il gran regista riesce a sintetizzare il compiersi del dramma raggiungono il capolavoro nell’inquadratura potente della colluttazione vista da lontano, in cui due uomini da lontano, in mezzo ad un lago, si affrontano e uno rimane a terra. Potenza del cinema e sensibilità di sguardo che rendono grande questa arte.
VOTO ****1/2
MEN, WOMEN AND CHILDREN segna il ritorno del brillante figlio di Ivan Reitman, Jason, nei territori della commedia arguta e sapida a cui ci aveva abituato con i suoi riusciti e lungimiranti Thank You for smocking, Juno, Tra le nuvole e Young Adult, e lasciando da parte il dramma a sfondo noir del suo ultimo interessante, ma non completamente convincente, Un giorno come tanti.
“Uomini, donne e ragazzi” si confrontano ogni giorno con l’inevitabile presenza della rete, essenziale quasi come respirare per collegarli col resto del mondo, per permetter loro di ottenere tutto con un clic, per avere a disposizione informazioni, contatti, condivisione di sentimenti e di emozioni che diventano più importanti di un contatto reale, ormai relegato a pura eventualità.
La voce narrante magica di Emma Thompson ci conduce nello spazio a seguire le sorti del satellite che da oltre un trentennio ha il compito di esplorare mondi sconosciuti al di fuori del nostro sistema solare, portandosi dietro tracce di quella che è la vita sulla terra, che ci possano far conoscere a qualche altra forma di vita eventualmente presente nell’universo. Ma intanto la vita di tutti noi, nell’Occidente stressato dal troppo benessere e incapace di vivere senza una connessione che ci faccia da schermo protettivo, ma che nello stesso tempo ci esponga ad ogni forma di sensazione e piacere, si risolve tra problematiche intime e manie od ossessioni che non si riescono a rifuggire e nello stesso tempo ci aiutano a continuare a vivere, dando un senso ad esistenze altrimenti vuote.
Una madre incita la figlia a sfondare nel mondo dello spettacolo incoraggiandola a proporsi su internet con foto sexy; un’altra al contrario controlla ogni intrusione esterna nel mondo della propria figlia, selezionando messaggi via mail o sms al cellulare, castrando e compromettendo completamente la stabilità e l’equilibrio caratteriale della giovane.
Un padre utilizza il computer del figlio per frequentare siti illegali, scoprendo che questi è pure lui un abituale frequentatore; una promessa del football americano lascia lo sport tra l’incredulità del padre e degli amici per cercare un vero senso alla propria esistenza di adolescente inquieto.
Una ragazza vive l’anoressia come tentativo di raggiungere una perfezione che possa darle sicurezza ed autonomia nella pressante lotta conflittuale per la definizione della propria immagine.
L’immagine, l’apparire, lo stare al mondo potendo contattare chiunque ma senza conoscere a fond nessuno. Un mondo globale vissuto in superficie, una società con basi d’argilla che si sfalda sotto il peso della propria inconcludente superficialità. Un film inquietante, specchio sincero e tremendo di una deriva che pare inarrestabile, dove ogni personaggio mette a nudo la propria ossessione ed il proprio turbamento con una schiettezza disarmante che non cerca condiscendenza.
VOTO ***1/2
SOMETING MUST BREAK è un piccolo film svedese che ha come epicentro un travestito di nome Sebastian, che sogna di diventare un giorno Ellie, ma trascorre le sue giornate alla ricerca di sesso facile e di rapporti mercenari che lo lasciano nel vuoto più totale, in una Stoccolma insolita e degradata, fredda e senza scampo.
Un giorno, mentre viene aggredito a sangue da un energumeno in un cesso, il giovane viene salvato da Andreas, balordo in pelle nera che lo ospita a casa sua e ci si affeziona, pur non essendo omosessuale.
L’orgoglio di Sebastian lo indurrà tuttavia a lasciarsi alle spalle pure questo suo nuovo angelo spuntato dal nulla, per cercare una nuova strada, la propria via, magari sotto forma di Ellie.
Nulla di veramente nuovo all’orizzonte, sotto il cielo grigio plumbeo di una metropoli nordica che comunica solo freddezza di sentimenti e una sciattezza di vita in cui i sogni di cambiamento rimangono un miraggio lontano quasi quanto il sole che spunta all’orizzonte.
VOTO ***
Segnalo per concludere, l’uscita in Francia di due nostri film piuttosto noti: Il capitale umano di Virzì, nostro attuale candidato all’Oscar come film straniero, è uscito con una buona distribuzione col titolo Les Opportunistes, mentre Ivano De Matteo, regista più noto ed apprezzato oltralpe che in patria, è ora nelle sale col suo “Nos enfants” (I nostri ragazzi), mentre la coproduzione franco-italiana LA STORIA DI CINO – IL BIMBO CHE ATTRAVERSO’ LA MONTAGNA, esce contemporaneamente questo week end nelle sale francesi ed italiane. Ieri presso la piccola multisala Mercury, il regista ed un interprete di questa storia ambientata nel vicino cuneese, erano presenti in sala per una anteprima nazionale.
Forse ve ne parlerò presto.
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