L'aria (cinematograficamente) pesante delle vacanze natalizie imminenti comincia ad avvertirsi in tutta la sua minacciosa, ingombrante, asfittica presenza . E ad una settimana dall'avvio ufficiale delle pellicole che, almeno tendenzialmente, avranno il compito di portare al cinema gli italiani, e tenerne inesorabilmente lontani i cinefili che lo frequentano tutto l'anno, di fronte ad una distribuzione che si limita a lanciare l'ultima banalotta e patinata fatica alleniana (il fazioso e superficiale Magic in the moonlight) e poco altro ("L'immagine mancante", rara perla tra una montagna di pochezze, è uscito solo a Torino), meglio emigrare nella vicina Francia, che invece persevera nella sua politica illuminata di far uscire in sala quasi tutto ciò che conta e merita dal punto di vista cinematografico.
Con questo post, che magari potrà avere dei seguiti (sperando che non lo prendiate per una minaccia), considerate le mie non sporadiche frequentazioni cinematografiche oltre confine, tenterò di darvi qualche opinione sulle uscite che più mi hanno attirato nell'ambito delle variegate proposte offerte dalla distribuzione d'oltralpe durante questo lungo weekend.
Questa settimana sono usciti due film reduci dal Concorso al Festival di Cannes, The Search e Mr. Turner; ma è anche il momento di due thriller francesi con ambientazione anni '70, il pompatissimo e glamour La French, e il teso e fosco La prochaine fois je viserai le coeur, presentato al Festival di Roma.
In sala pure '71, presentato la settimana scorsa al TFF, gran film, singolarissimo e coraggioso esempio di contaminazione cinefila,che riesce a confezionare un ibrido originale, tesissimo nel raccontarci la notte horror ed agghiacciante di una recluta inglese nel bel mezzo delle tragiche vicende della guerra civile irlandese ad inizio anni '70. Tutto in una notte.
Ma procediamo con ordine cronologico di visione delle pellicole.
Con THE SEARCH il pluridecorato Michael Hazanavicius ritorna al cinema dopo i fasti, anche troppo esagerati, ammettiamolo una volta per tutte, ottenuti con il ruffiano ed accattivante The Artist, che è riuscito a stregare e a far infatuare tutta Hollywood e mezzo mondo.
La notizia positiva per il famoso regista è che, con questa sua nuova avventura, egli non si accomoda su facili allori di una fama ormai all'apice, ma sperimenta territori a lui completamente nuovi, percorsi rischiosi nel raccontarci una storia che ha il suo epicentro nel bel mezzo della guerra fratricida cecena, a fine anni '90. La vita di quattro persone coinvolte in modi differenti in questa barbara e violenta repressione, si intrecciano ed intersecano tra la desolazione, l'orrore, il fango e le macerie. Un ragazzo russo sorpreso con uno spinello in tasca evita il carcere arruolandosi nell'esercito, e subendo traumi che lo porteranno a convivere cinicamente col male e la violenza che lo circondano; una operatrice umanitaria dell'Unione Europea (Berenice Bejo, compagna del regista ed attrice di riferimento) si imbatte in un bimbo ceceno scampato ad una strage di famiglia ad opera di soldati russi, e che traumatizzato ha perso l'uso della parola; la sorella, che lui crede morta, lo cerca invano, mentre un'altra operatrice umanitaria, americana però (è Annette Bening) soccorre il piccolo tentando di riportarlo ai propri cari, o a ciò che resta della sua famiglia. Immagini scioccanti, il piccolo che scappa col fratellino neonato in grembo, il cinismo del soldato scampato alla prigione che si improvvisa operatore sottraendo una cinepresa ad un soldato deceduto; ed una vicenda che inizia proprio dove finisce il film, ma che percorre, purtroppo, un percorso tortuoso e vizioso in cui la pellicola, di certo lodevole nelle intenzioni, ambiziosa e di innegabile valore civico-sociale, si perde tra retorica e un inutile infruttuoso percorso ricattatorio nei confronti dello spettatore, vacillando e rincorrendosi letteralmente attorno a se stesso.
VOTO **
Il gran regista Mike Leigh torna con MR. TURNER, ed un concetto molto personale ed originalissimo di biopic (imparassero da lui tanti anche illustri registi, rivelatisi invece banali e scontatissimi con i propri sciatti adattamenti di vite od esistenze famose...vorrei accennare a qualche esempio, anche recentissimo, magari visto al TFF, ma mi fermo qui preferendo l'invettiva anonima per evitare di andare fuori tema), e ci presenta gli ultimi contrastati anni di vita del celebre pittore romantico Joseph Mallor William Turner, quando, in seguito alla morte del vecchio padre, l'uomo si isola sempre più nella sua tenace idea e tecnica di pittura, che gli crea uno stuolo di ammiratori, ma anche di detrattori per la concezione avanguardistica del colore e della luce, per quell'aurea crepuscolare e maliconica, decadente e mortifera che accoglie i paesaggi e le vedute ammalianti dei suoi celebri dipinti. Uomo scontroso, mai tenero, con figli illegittimi che non solo non riconosce, ma di cui si disinteressa, una governante che sfrutta solo per placare i piaceri sessuali, una matura tenutaria di una pensione a cui si affeziona. Leigh si sofferma sulla tecnica di preparazione dei suoi dipinti, sul tratteggio che precede il quadro vero e proprio, sulla necessità di cogliere sul bozzetto il tratto conduttore e portante di quello che sarà il quadro definitivo; necessità che espone l'uomo, già debole e malato, a peripezie e sfide delle intemperie necessarie a far vivere al pittore l'emozione da riportare sulla tela.
Un uomo orgoglioso che ammira la scienza, è schiavo del vizio e dei bordelli, si appassiona di fotografia e di locomotori a vapore; un uomo inflessibile che rifiuta l'offerta imperdibile di un miliardario di acquisire l'intera sua opera per una cifra astronomica: ma ciò che Turner, autore per il mondo intero e dunque puro nella sua follia e scontrosità, più desidera è quello di essere a disposizione di tutti; l'artista delle bellezze del mondo a disposizione del mondo e non appannaggio di una elite esclusiva che lo soffoca e lo relega all'invisibilità.
Leigh ci insegna con questo Mr. Turner come si dà vita ad un biopic senza inutili autocelebrazioni o faziosità. Esalta il paesaggio ma lo rende parte integrante di un film che non si sofferma solo sul decoro, bensì entra negli antri anche più sgradevoli che contribuiscono a creare la genialità di un pittore anticipatore e fuori dei canoni comuni alla sua epoca, che egli stesso disprezza e critica, creandosi il vuoto attorno.
Timothy Spall, attore eccezionale già dai tempi di Bertolucci e del suo Tè nel deserto, recita il suo ruolo da Oscar ed è eccezionale nel rendere la sgradevolezza e la genialità che convivono e creano la giusta miscela per passare alla storia.
VOTO ****
Con LA FRENCH il cnema francese torna sulle tracce del “Clan dei marsigliesi”, e lo fa con una sontuosa accuratissima riproduzione-ricostruzione anni '70 dell'ambiente corrotto della municipalità della più grande e popolosa città della Francia meridionale, soprattutto per quanto riguarda l'aspro e teso conflitto tra un giudice intraprendente che non molla la presa ed uno spregiudicato boss della malavita che difende sino alla fine la sua posizione predominante di re incontrastato dei loschi traffici nella città portuale del Golfo del Leone.
Conosciamo infatti Pierre Michel, afffascinante giudice minorile, trasferito a Marsiglia perché il suo dinamismo e la sua incorruttubilità divengano l'arma vincente per contrastare il potente padrino Gaetan Zampa, che regna incontrastato nei loschi traffici che dirige e coi quale accresce a dismisura il proprio patrimonio e la sua capacità di corruzione di una amministrazione (ed una polizia) ormai alla sua mercé.
La lotta tra due uomini così diversi, ma anche così simili nella dinamica dei reciproci comportamenti, consente innanzi tutto al film, opera seconda di Cédric Jimenez, di riprendere un confronto attoriale che è una sfida amicale e virile tra i soliti Jean Dujardin e Gilles Lellouche, per l'ennesima volta impegnati assieme, qui antagonisti ed accerrimi nemici, ma in fondo molto uguali e , a loro modo, rispettosi uno dell'altro: soprattutto quando veniamo a scoprire, senza molta sorpresa in verità, che il giudice risulta più scomodo per l'integrità di certi potenti locali e per l'avallo e la prosecuzione di un certo tipo corrotto di comportamento da parte delle forze locali, che per la salvezza del boss, che, in quanto tale, sa badare a se stesso. Le vicende, secondo la rivista Premiere, riprendono non tanto Il bracio violento della legge di Friedkin, ma sono l'ideale riproposizione di quel che accade nel suo seguito, diretto proprio nel 1975, anno di ambientazione della vicenda qui raccontata, da John Frankenheimer.
Il film, che per l'occasione riforma anche un trio glamour assegnando un ruolo sanguigno breve ma fondamentale al bravo Benoit Magimel, altro boss, rivale di Zampa, e pure lui assiduo frequentatore dei palchi calcat da Dujardin e Lellouche, si avvale di una splendida ed accurata quanto complessa ricostruzione di ambienti e quartieri di metà anni '70, ha interpreti affascinanti e trascinanti (ricordo anche la splendida Celine Sallette, giovane grande attrice drammatica francese, tra le migliori oggi, impegnata nel sofferto ruolo della moglie di Michel, così come il bravo Guillaume Gouix – entrambi erano già stati impegnati assieme come vittima in lattice stile Catwoman e carnefice seriale nell'affascinante serial Les Revenants), e risulta più accattivante che realmente convincente, più attraente che realmente bello ed interessante.
VOTO ***
Restiamo negli anni '70, spostandoci al 1978 e continuiamo con un film francese interessante che ripercorre le efferate gesta, realmente accadute, di un serial killer che terrorizzò la provincia francese a fine anni '70, quando in alcune strade di campagna vennero ritrovati i corpi senza vita di alcune ragazze, uccise a colpi di pistola e abbandonate senza vita in fossi o cigli stradali di percorsi isolati o di campagna. Il film è LA PROCHAINE FOIS JE VISERAI LE COEUR (“La prossima volta mirerò al cuore”, è la sinistra promessa che l'assassino seriale comunica per iscritto alla polizia quando uno dei suoi colpi fallisce e la vittima riesce a sopravvivere), anch'esso , come La French, un'opera seconda, questa volta di Cédric Anger.
Il film pone lo spettatore in una posizione privilegiata rispetto alle indagini della polizia: sappiamo da subito, non sarà mai un segreto, che il colpevole è un integerrimo gendarme trentacinquenne, pure lui coinvolto nelle indagini (su se stesso): un ragazzo serio ma timoroso della bellezza femminile, impacciato con le ragazze e succube di una timidezza che lo blocca e lo fa esplodere in una forma di ira nei confronti delle giovani belle ragazze che anche solo un poco ostentano la bella presenza che una natura benevola ha donato loro.
Teso e fosco, il film si circonda di un paesaggio altrettanto grigio, freddo ed inospitale di una provincia che cerca di difendersi e di smascherare questa letale incontrollata minaccia. Intanto seguiamo il progredire di una follia che stenta a contenersi, anche se ad un certo punto il protagonista viene letteralmente irretito dalla avvenenza della giovane donna che si occupa delle pulizie di casa: una bellezza così sfolgorante (è quella di Ana Girardot, splendida, già vista ne Les Revenants) che sembra placare, ma è solo un miraggio, la sua follia assassina.
Guillaume Canet, non nuovo a parti controverse del folle psicopatico, è bravo e perfetto per un ruolo sgradevole e non certo facile. Il film in Italia è stato visto al Festival di Roma 2014, ma non so se questa circostanza sia sufficiente a garantirgli una regolare distribuzione nei nostri circuiti.
VOTO ***1/2
Come ultima anteprima di questa settimana segnalo '71, di Yann Demange, alla sua promettente, quasi esaltante opera prima cinematografica dopo l'horror-serial Dead Set del 2008; un film, questo suo ultimo, incentrato su una notte da incubo per una giovane recluta britannica, che viene abbandonata in una quartiere di Belfast in occasione di una rivolta sanguinosa ed improvvisa che costringe alla ritirata le truppe. Per il ragazzo (l'ottimo e già noto Jack O'Donnell, visto in diverse interessanti occasioni proprio al TFF nelle passate edizioni) sarà una lotta strenua per garantirsi la sopravvivenza, in mezzo ad una quartiere dove la guerra, l'odio alimentato da due religioni cristiane che dividono e creano abissi di sangue e di morte, gli impediscono di comprendere chi gli sia veramente alleato, o chi invece stia tramando per ingannarlo e gustiziarlo.
Una corsa contro il tempo lungo tutta una notte concitata, tra fughe e sparatorie che il regista filma in corsa con una destrezza ed un realismo impressionanti. Il film, teso e concitato come non vedevamo da parecchio, si trasforma quasi in un horror, dove la fuga per la salvezza sembra per il soldato una lotta contro esseri alieni che si combattono tra di loro e di fronte ai quali egli appare sempre come il nemico ed il traditore. Ambientazioni di quartieri degradati che ricordano, senza risultarne tuttavia troppo debitori, le atmosfere inquietanti del carpenteriano Distretto 13 - Le brigate della morte, '71 è un film davvero riuscito ed inquietante, mix perfettamente dosato di film documento che non rinuncia ad uno stile concitato e pulp da film di genere, senza per questo sminuire od involgarire la tematica drammatica di in conflitto civile devastante e umanamente incomprensibile o inaccettabile.
VOTO ****
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