Martiño Rivas López, “El Galego”, nato a Vimianzo, paesino galiziano in provincia di A Coruña, a qualche chilometro dalla celebre Costa da Morte, è uno dei volti di maggiore successo della Spagna del Terzo Millennio. È una delle punte di diamante della Generación del 9 (1) e fa il suo esordio con i venti episodi di Mareas vivas, una serie televisiva galiziana dove parla, ovviamente, un ottimo galiziano.
Bisognerà aspettare però il 2005 per ritrovarlo di nuovo al lavoro. È protagonista delle prime due stagioni di un’altra serie tv prodotta da Televisión de Galicia, Maridos e mulleres. Nel 2006 interviene nell’insolito ruolo del “malo” in alcune puntate di SMS - Sin miedo a soñar, dove si incontra e scontra con il futuro partner di quella che l’anno successivo sarà una serie tv di grande successo e che darà popolarità a non pochi nuovi volti del cinema spagnolo.
El Internado (2007-2010), una settantina di episodi girati in un collegio esclusivo per rampolli di ricche famiglie dove si nascondono segreti indicibili che hanno a che fare con i nazisti e alcune mostruosità del sottosuolo, è infatti la serie che permette a Martiño Rivas di farsi notare non solo come fascinoso ventenne, ma come attore dalle più sfumature. Il conflitto continuo e la successiva amicizia virile con quello che è a tutt’oggi il più grande attore iberico vivente, Yon González (2), permette al galego di confrontarsi con una recitazione fisica e dirompente, quella del collega basco, e di poter quindi combattere ad armi pari. Il risultato è una gara di bravura e di caratteri che tengono in piedi una serie interessante, ma non sempre credibile e ad un passo dalla telenovela.
Attore dal ciglio facile, corrucciato per natura, con un gran sorriso distensivo e un smorfia mancina al labbro superiore che conferisce carisma e distanza attoriale all’interpretazione, Martiño Rivas insegue il cinema politico di Ken Loach e quello difficile di Fernando León de Aranoa – Barrio, 1998; Los lunes al sol, 2002; Princesas, 2005; A Perfect Day, 2014.
Pur non partecipando al film generazionale Mentiras y gordas (2009), Martiño debutterà al cinema in Los girasoles ciegos. È il 2008 e il film di José Luis Cuerda, tratto dall’omonimo libro di Alberto Méndez, gli riserva una nomination come miglior attore rivelazione ai premi Goya dello stesso anno. Un film importante che racconta il delirio di un giovane diacono nella Spagna appena uscita dalla Guerra Civile che, tra turbe sessuali e desiderio di dominio, farà della sua frustrazione l’arma con cui distruggerà una famiglia di repubblicani. Martiño Rivas ha qui una parte davvero piccola e marginale, ma nella sua archetipalità, il giovane ribelle politico che muore crivellato dai colpi dei fascisti, riesce a trasmigrare la potenza del corpo ribelle, corpo che s’arrampica su per i monti con fidanzata gravida al seguito; corpo che tira con forza e a fatica una vacca da latte; corpo che scava la fossa dove interrare la propria donna morta dopo il parto; corpo che protegge il corpicino morto del figlio fino alla fine, quando i franchisti gli spareranno proprio sul confine con il Portogallo.
Attore richiestissimo, El galego sceglie con calma i propri progetti. Invece di inanellare una serie inutile di partecipazioni a film e serial tv vari come fanno molti attori con l’unico obiettivo, legittimo, di esporsi mediaticamente per restare sulla cresta dell’onda, Martiño opta per pochi progetti, purtroppo non tutti all’altezza della sua buonafede.
In tv è il protagonista dei tredici episodi di El don de Alba (2013), serie tv di Telecinco, bruttina, raccapezzolata alla meno peggio, con la tipica messa in scena da fiction italiana. Un passo falso della sua carriera che però gli permette, essendo Patricia Montero la protagonista assoluta, di lavorare con professionalità ad un personaggio secondario che, neanche a farlo apposta, risulta il più credibile della serie.
Prima di vestire i celebri panni di Romeo, ritorna al cinema e partecipa come protagonista a due commedie di un certo interesse. La prima, 3 bodas de más, diretta nel 2013 da Javier Ruiz Caldera, con Inma Cuesta protagonista assoluta, gode di un ottimo successo di critica. Candidata a ben sette premi Goya non ne porterà a casa nessuno, continuando comunque a conquistare il pubblico e vincendo la prima edizione dei Premios Feroz, una sorta di Golden Globes spagnoli, anticamera per i Goya.
Il successo di 3 bodas de más è segnale di una modalità di intendere la commedia che sta dando alla Spagna un primato europeo che spesso toccava all’Italia, ora solo una parodia del suo passato. Dalla Spagna arrivano infatti titoli come Fuga de cerebros (2009), pellicola campione di incassi in patria, di cui Paolo Ruffini ha tentato inutilmente di farne un remake italiano, La gran familia española (2014), che ai Goya di quella edizione porta a casa due statuette su undici nomination, e Vivir es fácil con los ojos cerrados (2014), vincitrice ai Goya e che concorrerà agli Oscar il prossimo febbraio.
Commedia cattivista e molto applaudita a Venezia70 come pellicola di chiusura alle Giornate degli Autori, tutta incentrata su Inma Cuesta e le se disavventure nerd – la povera, nuovamente scaricata dall’ultimo compagno, viene invitata a ben tre matrimoni dei suoi ex – mette in scena i tic di una generazione ancora in via di definizione, i nati tra la fine dei settanta e la prima metà degli ottanta, in cui la vita di coppia e l’orizzonte delle relazioni esclusive si fa sempre più incerto e problematico. È sfida di attori tra l’irresistibile Quim Gutiérrez, altro astro nascente del cinema spagnolo, è il no-romantico Martiño Rivas, qui nei panni del classico e stereotipato bello, biondo, capelli lunghi e mossi, buono e sacrificale. El Galego è sorprendente soprattutto in quelli che io chiamo gli “scarti recitativi”, ovvero i momenti in cui un attore non sta recitando la parte, ma dove esce necessariamente l’anima, la fantasia, la freschezza e l’immediatezza dell’interpretazione.
Con Por un puñado de besos si ritrova sul set con Ana de Armas, una delle giovani attrici più amate dal pubblico spagnolo, con cui Martiño lavorò già in El Internado dando vita a una coppia la cui storia d’amore appassionò centinaia di telespettatori. Qui, nella prima pellicola in solitaria di David Menkes – da Más que amor, frenesí (1996) a Mentiras y gordas (2009) ha lavorato in coppia con Alfonso Albacete – Martiño è un giornalista che per scrivere un reportage sulla vita e i sentimenti dei malati di AIDS si finge uno di loro e inizia una relazione con la sieropositiva Ana de Armas. Tratto da Un poco de abril, algo de mayo, todo septiembre di Jordi Sierra i Fabra, il film è stato affondato dalla critica che lo accusa di romanticismo patetico e compiaciuto (3) definendolo “superpop” in quanto «prende diversi temi alti, la malattia, la paura della morte e la solitudine, l’amore sfrenato, la bugia e anche l’etica giornalistica, per convertirli in qualcosa di basso, indegno, superficiale, con il fiato corto e in qualche momento pure imbarazzanti» (4).
In realtà, l’ottima pellicola di Menkes, proprio come Mentiras y gordas, attraversa l’universo emotivo delle generazioni contemporanee servendosi di una estetica pulita e raffinata tanto quanto sporca e articolata, con colonne sonore sempre interessanti ed una poetica ed un linguaggio dal taglio indipendente, il cui sguardo cade sul “testo”, sui corpi nudi dei protagonisti, sui dettagli degli interni e sull’ambiente scenico con la stessa sensibilità e cura. Con attori sempre in parte, anche Por un puñado de besos – il titolo sì che è imbarazzante rispetto l’originale del romanzo di Sierra i Fabra – è un film che si insinua sensuale nella pelle dello spettatore, grazie soprattutto alle perfette interpretazioni dei due protagonisti. La migliore di Rivas dai tempi di El Internado.
Torna poi alla televisione con la fiction in due puntate prodotta da Mediaset Romeo e Giulietta (2014). La miniserie, come da copione, è stucchevole. Poggiando tutto sull’arcinota storia dei due innamorati suicidi, lo sceneggiato diretto da Riccardo Donna non dice nulla, non ha personalità, non ha stile e annoia ad ogni scena. Fa giusto sfoggio di abiti e locations d’epoca che servono al pubblico casalingo per il tipico “che bella serie, l’hanno fatta proprio bene”, ma per il resto resta soporifera e sterile. Anche l’attore galego, ingessato nei panni di un personaggio troppo scomodo e con troppe aspettative ridondanti all’orizzonte, non ha saputo incidere come in altre performance. Nelle scene in cui deve emergere il personaggio Romeo è impacciato nel gesto attoriale, vincolato alla resa puerile del cliché, ma quando è svincolato dal ruolo letterario regala sprazzi della sua tipica malizia accattivante. Sguardi, sorrisi e smorfie si amalgamano alla fisicità, giocando di istrionismo piacione mai banale.
Bisogna però dire che la seconda parte dello sceneggiato, dove si concentrano tre dei momenti topici della tragedia scespiriana – la morte di Mercuzio, la morte di Tebaldo e il suicidio degli amanti, mentre la scena del balcone arriva in chiusura della I° parte – è anche molto più incisiva della prima. La morte di Mercuzio e quella di poco successiva di Tebaldo sono montante con un certo gusto dinamico e plastico e sono sequenze dotate di una certa potenza scenica e attoriale, dovuta ovviamente ai migliori attori dell’intero cast: Ken Duken (Mercuzio), Tommaso Ramenghi (Tebaldo) e Martiño Rivas. Se Duken, va detto, è il migliore in campo, il più ispirato, anche se fin troppo sopra le righe e pettinato con il gel nel medioevo, e se l’italiano Tommaso Ramenghi è davvero talentuoso, ma ancora un po’ troppo impostato nella voce nonostante il premio Mastroianni a Venezia61 per Lavorare con Lentezza (2004), Martiño Rivas dà il meglio di sé come leone ferito, ruggente e battagliero, e ripaga una prima parte anonima con questa seconda in cui è l’elemento trascinante. Anche la morte dei due amanti, facilmente caricabile di inutile pathos o di quella gravitas puerile tipica delle fiction italiane, viene diretta con una certa delicatezza, in un’atmosfera di religioso silenzio alla cui ottima riuscita concorrono ovviamente le interpretazioni dei due giovani attori.
In un’intervista del 2013 a Fotogramas (5), alla domanda se fosse romantico, visto il ruolo di Romeo, Martiño Rivas rispondeva con un semplice “abbastanza” e se la rideva per poi continuare parlando delle riprese della miniserie girata in Trentino e che faceva molto freddo. Pur avendo il physique du rôle del bello e più che possibile principe azzurro, Martiño ha sempre dato prova di essere un attore di carattere e di non lasciarsi ingabbiare dalla bellezza estetica, dando vita a personaggi che non approfittano del loro indubbio fascino scenico, quanto interpreti di sentiti e rabbiosi “non detti”.
Un’ultima curiosità: è figlio di un grande scrittore e poeta spagnolo, Manuel Rivas, autore di Un millón de vacas (1989, Premio de la Crítica de narrativa gallega), il celebre ¿Qué me quieres amor? (1996, Premio Nacional de narrativa, il cui racconto più famoso, La lengua de las mariposas è diventato un film per la regia di José Luis Cuerda), El lápiz del carpintero (1998, vincitore di più premi letterari galiziani) e il più recente Todo es silencio (2010, divenuto in seguito un film diretto sempre da José Luis Cuerda e interpretato da Miguel Ángel Silvestre). Difatti, la prima apparizione pubblica di Martiño Rivas, ben prima del debutto televisivo con Mareas vivas, è sulla copertina dell’edizione del 2000 di ¿Qué me quieres amor?, edito da Punto de Lectura.
Note:
(1) //www.filmtv.it/post/29194/son-espanoles-la-generacion-del-9
(2) //www.filmtv.it/post/21962/yon-gonzalez-l-attore-alfa
(3) http://www.elmundo.es/andalucia/2014/03/26/53330263268e3eb23b8b457a.html
(4) http://cultura.elpais.com/cultura/2014/05/15/actualidad/1400173366_065368.html
(5) http://teleprograma.fotogramas.es/tele-corazon/2013/junio/martin-rivas-cafe
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