90 anni portati con fierezza ed un incedere deciso che spiega molte cose di questo curioso, unico uomo di cinema. Il mio primo appuntamento in sala in presenza di Giulio Questi avviene con la presentazione del suo primo film, l'western SE SEI VIVO SPARA. Uno spaghetti western unico, irresistibile, che crea in sala scene di ilarità e divertimento totali, risate a scena aperta come non succedeva da tempo. E più che la storia del film, risibile e scritta in due giorni, è stato splendido ascoltare dal regista la genesi di questo suo esordio folgorante.
Il regista Giulio Questi, in sala al Massimo 2 per la presentazione di "Se sei vivo spara". Le foto sono di GianniSv66 e Roger Tornhill
Impegnato a scrivere una complicata ed ambiziosa sceneggiatura thriller a base di omicidi, pollame e uova (si parla della genesi del suo secondo film di cui parleremo tra poco), Questi ed il suo abituale collaboratore vengono contattati da uno spiantato produttore agli sgoccioli, affinché i due scrivano di getto una sceneggiatura per uno dei tre western che lo stesso si è impegnato a girare nei mesi a venire: dei tre uno deve partire subito altrimenti i finanziamenti vengono ritirati.
Ed ecco che i due sceneggiatori mettono da parte le galline ed il giallo e cominciano a tirar giù un bozzetto di sceneggiatura con le tipiche situazioni da western: una diligenza da rapinare, piena d'oro proveniente dalle cave e scortata dall'esercito: dei banchi e dei messicano che riescono ad impadronirsene; poi i bianchi uccidono i mex e si prendono l'oro, rifugiandosi in una crepuscolare cittadina, i cui abitanti però li uccidono prendendosi l'oro. Peccato che uno dei messicani uccisi in realtà sia sopravvissuto, e che torni in città per riprendersi il bottino.
Pochissimi soldi, l'Almeria spagnola troppo cara persino per sostituire l'Arizona e dunque la scelta di girare le scene del deserto in una cava abbandonata in Spagna. Nel film si vedono chiaramente i segni delle ruspe che hanno livellato una pietraia che tutto sembra fuori che Far West.
Tomas Milian eroe messicano con valori, tutti gli altri scaltri ed assassini destinati a morire. Sangue rosso pittura a fiumi, uno scotennamento da delirio che suscita svenimenti e blocca in Italia una pellicola che all'estero furoreggia; un bello e giovanissimo Ray Lovelock che diviene preda sessuale e bocconcino anelato da un mucchio selvaggio di tex-mex allupati “che sembrano i genitori dei Village People” (citazione letterale ed azzeccatissima di un commento a caldo di GianniSV66); Marilù Tolo che scimmiotta una canzone ma è completamente fuori sincrono, un pappagallo irresistibile a cui il cattivissimo Sorro (ahahah) dà da bere wisky e lui iettatore gli parla prevedendo un lugubre “morte tua” gracchiato come una cantilena; e ancora Milian legato e mezzo nudo ad affrontare tre animali terribili: la lucertola della palude (è una innocua iguana) dei pipistrelli minacciosi (manco riescono a camminare e fanno pure tenerezza) ed un serpente che Questi si dimentica di far vedere, e l'eroe fino ad ora coraggiosissimo cede e spiffera tutto riguardo a dove si trova l'oro (il cimitero, il cimitero). E chissà cos'altro in un delirio che ci fa star male dar ridere e ci procura una delle serate più divertenti in una sal cinematografica da molti anni.
Una genialata, forse involontaria, dovuta alla fretta, ma pur sempre un colpo di genio.
VOTO ****
LA MORTE HA FATTO L'UOVO appare irresistibile sin dal titolo senza vergogna.
Un giallo sexy e sofisticato per una storia complicata, a tratti ben congegnata, non fosse che il cineasta vuole raccontare molte cose e poi si perde un po' ad organizzare il discorso, che si avvita su sé stesso facend perdere il filo.
Una coppia di imprenditori nel settore aviario: lei, bellissima quarantenne più avvezza alla pratica, si occupa di spennare i polli; lui, sofisticato trentacinquenne più idoneo alle tecniche di marketing e alla contabilità, si occupa della parte più strategica. Ma è anche un assiduo frequentatore di prostitute, che pare massacri con una abilità ed una furia da maniaco assassino.
Quando a casa della coppia giunge la bionda e giovanissima nipote della moglie, questa cerca, in combutta con un dipendente dello zio, di uccidere l'avvenente zietta facendo ricadere la colpa sul marito, che poi si scopre certo un po' maniaco, ma tutt'altro che assassino. In mezzo esperimenti sui polli che generano ibridi senza testa, pratica alla quale si oppone il nostro protagonista.
Un gran guazzabuglio per un film glamour forte di una regia dinamica piena di intuizioni e movimenti abili e innovativi che ne fanno un thriller esasperato e dalla grande personalità, non sempre comprensibile ma affascinante.
Trio attoriale eccellente con Trintignant elegante e misurato come gli si conviene, una Lollo che posa con i polli in una scena scult da annali del cinema, e la Aulin nipotina-lolita che farebbe perdere la testa a chiunque.
VOTO ***1/2
ARCANA
L'ultimo dei film diretti da Questi, prima di passare alla televisione, è un giallo venato di horror che, almeno in apparenza, non presenta il budget del precedente, ma la medesima ambizione, che finisce per evidenziarne i limiti suoi più evidenti.
A Milano, in un quartiere popolare “infestato” di bambini, vive la famiglia “Tarantino” (a volte il mondo è proprio piccolo ed assurdo, e ruota sempre su sé stesso), composta da una madre cinquantenne e dal figlio ventenne. Lei vedova da tempo, per riuscire a sbarcare il lunario si improvvisa da tempo cartomante e riceve a domicilio una clientela variegata, che coinvolge in sedute spiritiche collettive o in visite singole più accurate.
Il figlio, ossessionato dall'avvenenza della madre e seriamente convinto che la donna possegga poteri paranormali, la costringe con la forza a rivelarne l'autenticità, sottoponendola a torture e a sevizie, di natura anche sessuale. Intanto tra i pazienti della madre, l'attenzione del ragazzo, sempre più instabile, si sposta su una bella vicina di casa prossima al matrimonio, che egli circuisce e mette incinta. Sarà compito della madre tentare di farla abortire, ma le cose si complicano e pure tra il vicinato comincia a salire un certo nervosismo per il comportamento balordo ed incontenibile del ragazzo. Un film difficile, addirittura impossibile che si rivela senza mercato, forte di situazioni surreali tecnicamente e visivamente mirabili, come quella dell'asino issato sul tetto e la scena della rane che escono dalla bocca. Lucia Bosé appare di una bellezza e di una sensualità ancora senza rivali, ma il film, confuso ancora più dei precedenti, non può trovare compatibilità con un pubblico che ne possa decretarne il successo, divenendo un piccolo cult raro e pressoché introvabile.
VOTO ***
Il cinema ed il panorama: due film in cui questi è ben di più che un contorno indispensabile ed irresistibile:
WILD
Il regista canadese di C.R.A.Z.Y. E del pluridecorato Dallas Buyers Club, ci racconta l'epopea della giovane Cheryl Strayed che, in seguito ai dolori della morte della madre, del divorzio dal marito dopo sette anni di convivenza, e dopo un periodo dedicato all'autodistruzione e alla totale umiliazione di se stessa, decide di imbarcarsi in una impresa titanica. Percorrere, senza alcuna esperienza o preparazione, oltre mille miglia di percorso montano arduo presso il Pacific Crest Trail, uno dei percorsi più ardui per gli amanti dei percorsi montani negli States.
“Ho intrapreso un viaggio in una selva oscura per uscire dalla selva oscura senza uscita in cui era entrata la mia anima”. Queste le parole d una tenace Cheryl che in meno di cento lunghi giorni di sofferenze e sacrifici riuscirà ad arrivare alla meta, trovando le forze, mentali più che fisiche, per ripartire con una nuova vita.
Più che Vallée, abile e a suo agio nel dettagliarci un percorso che è una lunga infinita via crucis, Wild è il film di Reese Witherspoon, perfetta e meravigliosa, oltre che da Oscar (il secondo, dopo esser stata la moglie di Johnny Cash). Se così fosse un Oscar da non protagonista andrebbe a maggior ragione alla ritrovata e sempre meravigliosa (oltre che fisicamente sempre identica dai tempi di Blue Velvet) Laura Dern, nei panni di una dolce madre sofferente andata via troppo presto.
VOTO ***1/2
JAUJA
Il panorama come interprete protagonista, senza nulla togliere ad un sempre più accorto e impegnato Viggo Mortensen, sempre più tendente a prendere le distanze dai block buster che lo hanno reso star. Un capitano danese si trova in viaggio in Patagonia, per una missione attorno alla fine dell'800 con la figlia quindicenne, l'unica cosa che gli è rimasta al mondo dopo che la bella moglie lo ha lasciato; Impegnato nell'esplorazione di quelle terre desolate e magnifiche, l'uomo però deve ripartire per andare alla ricerca della ragazza, dopo che questa, sola e solitaria, nonostante il padre gli avesse promesso di farle avere un cane per compagnia, si fa soggiogare dalla corte di un un giovane sottoposto del genitore, partendo con lui per una fuga d'amore.
Nel paesaggio magnifico ma sempre più impervio e desolato di una Patagonia che isola e porta alla deriva, fisica e mentale, il capitano cercherà di mettersi sulle tracce della propria figlia, trovando solo sangue, morti violente, oggetti rivelatori e una solitaria donna anziana che, come un indovino, non potrà aiutarlo più di tanto in una ricerca che diventa ossessiva come una unica ragione di vita.
Il gran regista argentino Lisandro Alonso suggella un incontro spazio temporale tra due epoche diverse, come unico trait d'union possibile di una ricerca altrimenti senza soluzione.
Lento, contemplativo, affascinante fino all'emozione, Jauja ci sorprende con la potenza di tableaux vivants che mozzano il fiato, e con un mistero la cui soluzione varca i confini della razionalità spazio-temporale. Uno dei film più affascinanti del TFF 2014.
VOTO ****
La commedia dai toni noir trova un suo ulteriore sviluppo col il divertente LIFE AFTER BETH, la storia di un giovane innamorato che si vede portar via la fidanzata, Beth appunto, scomparsa prematuramente a causa del morso di un serpente velenoso.
Neanche il tempo di elaborare il lutto (tema costante questo in un Torino Film Festival che ne fa un refrain), che la morta ritorna senza un vero motivo a casa dei genitori.
Come nel celebre ottimo serial Les Revenants, la morta è viva ma non sa di essere morta né ne vuole accettare le conseguenze.
Scoperto l'incredibile fatto nonostante i genitori di lei cercassero di tenerglielo allo scuro, Zach cerca di instaurare un nuovo rapporto e legame con la ragazza, che tuttavia non può essere più la stessa di prima, per diverse ragioni.
Una trama che assomiglia molto all'ultimo film di Joe Dante, puntando più al lato commedia.
Per il giovane “Di Caprio” Dane Dehaan (la somiglianza fisica col divo nei suoi vent'anni è smaccata), bravissimo in molte altre occasioni, speriamo costituisca il definitivo trampolino di lancio per una carriera in cui il talento e l'espressività non mancano di sicuro.
VOTO ***
Dall'India un mediometraggio di forte impatto evocativo di due cinema differenti ma molto affini: YETI, ovvero la fissità e la lunghezza estenuante delle inquadrature forti e potenti di Tsai Ming Liang che si fondono con le indagini di un frammento di immagini alla Blow Up.
E seguendo una troupe mentre gira, tra molte difficoltà, alcune scene di un film, ci perdiamo tra la finzione del girato e la realtà della vita di tutti i giorni: ovvero tra il film nel film, ed il film nella sua rappresentazione realistica della realtà.
La separazione è così sottile che ad un certo momento non riusciamo a comprendere se quello che vediamo è una scena del film che deve essere girato, o se si tratta di un episodio di vita che riguarda la troupe e le maestranze della produzione.
Cervellotico ma incalzante, nella fissità delle sue scene contemplative e nella quotidianità banale ma inevitabile delle azioni quotidiane, il mediometraggio riesce ad intrigare e a farci accettare la scoperta di un dettaglio, di un frammento di immagine che potrebbe costituire la spiegazione definitiva di tutto un enigma di cui tuttavia non conosciamo così a fondo i particolari per chiarirci le idee.
VOTO ****
IN GUERRA
“I guerrieri della notte” made in Italy. Questo ciò che non può non passare per la mente, anche senza voler fare i maliziosi, l'opera seconda di Davide Sibaldi. Un piccolo film a zero budget che non può permettersi di far entrare in scena un'ambulanza o un auto della polizia, o di far vedere un'auto in fiamme se non ricorrendo ad un efficace ma rudimentale effetto speciale. Onore al merito dunque quando le ristrettezze aguzzano l'ingegno e l'inventiva supplice la comodità di soluzioni scontate.
Un'efficace ambientazione notturna quasi apocalittica di una periferia tutta degrado e cemento, due individui sono costretti dalle circostanze a trascorrere una notte assieme cercando di sopravvivere al peggio: cercando di arrivare a superare il quartiere a rischio per far ritorno a casa. Lui è uno sbandato di professione scrittore senza successo, lei una suonatrice d'arpa appena lasciata dal laido fidanzato. Lui vaga per la città picchiando con una spranga dei tizi che appaiono in un elenco; lei perde l'ultimo bus per poter tornare a casa. Insieme dovranno affrontare la giungla metropolitana piena di insidie.
La fotografia affascinante e satura è la miglior cosa di un film sin coraggioso, ma tratteggiato da dialoghi spesso imbarazzanti in cui un po' di ironia sarebbe risultata utile a smorzare i toni e ad alleviare certe pesantezze insostenibili o atteggiamenti sin troppo mutevoli dei due protagonisti per poter risultare credibili.
VOTO **
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