Perché non esistono solo le grandi, quelle che “sono meglio del cinema” e avvinghiano gli spettatori a personaggi e situazioni indimenticabili. Perché ci sono anche quelle che, giornalmente, fanno il lavoro sporco di riempire i palinsesti delle tv generaliste (a pagamento e non), mediani di vecchia scuola (ne cantava Ligabue) che non segneranno mai, gregari che non vinceranno mai una gara (mal gliene incoglierebbe !) e sparring partners contiani a vita. Che sgomitano a metà classifica per un posto in una graduatoria Emmy e offrono rifugio ad attori snobbati o bolliti dallo “show business” cinematografico (a torto o a ragione). Che sono mediocri e felici di esserlo, creano dipendenza nel seriofilo accanito, siano esse autoconclusive o lostiane nell’intreccio, procedurali o gialli classici, comedy o fantascientifiche. Che si possono guardare con un occhio solo e pochi neuroni collegati, mentre si prepara o si consuma la cena.
Ma delle quali, spesso, non si può fare a meno.
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The Mentalist viene prodotta dal 2008 dalla CBS ed è ormai giunta alla 6^ stagione (la 7^, in fase di lavorazione, dovrebbe essere la conclusiva) e vede come protagonista indiscusso l’istrionico Simon Baker nei panni del consulente investigativo Patrick Jane.
Mentalista è una parola di incerto significato in italiano, sta ad indicare un praticante il “mentalismo”, secondo la Treccani “Nel linguaggio filosofico e psicologico, ogni concezione che fa derivare il comportamento umano, e gli stessi contenuti della conoscenza, da stati o processi mentali quali la «coscienza», la «motivazione», l’«intenzione» e simili, esistenti indipendentemente dal loro manifestarsi in un comportamento osservabile: sono considerate una forma di mentalismo le gnoseologie (conoscenze) di Locke, Berkeley e Hume (filosofi inglesi) in quanto riconducono i dati della conoscenza a percezioni della mente […] o, più prosaicamente “una forma di illusionismo nella quale i suoi praticanti, noti come mentalisti, attraverso tecniche quali ad esempio il cold reading o l'hot reading (letture a freddo/caldo, pratiche per fingere di conoscere informazioni personali degli interlocutori utilizzando spirito d’osservazione, lettura di messaggi corporei, psicologia e calcolo delle probabilità) danno l'illusione di poter leggere nella mente altrui e sembrano così dimostrare abilità mentali e intuitive altamente sviluppate. Nelle loro esibizioni i mentalisti danno l'impressione poter esercitare telepatia, di poter esercitare telepatia, chiaroveggenza, divinazione, precognizione, psicocinesi, medianità, controllo mentale, ipnosi, memoria prodigiosa e rapido calcolo mentale” (fonte: Wikipedia)
Insomma, nel peggiore dei casi un truffatore, nel migliore un ottimo detective.
Simon Baker, fino al 2008 caratterista cinematografico di contorno (anche nel “Diavolo veste Prada” e “L.A. Confidential”) e protagonista delle 3 stagioni di una serie procedurale poco nota intitolata “the Guardian” (andata in onda dal 2001 al 2004), ebbe la sua occasione di gloria nel 2005, quando fu scelto da George Romero quale interprete principale del suo “La terra dei morti viventi”; ma, forse a causa della svogliatezza generale del film (che chi scrive ha sempre trovato sopravvalutato nonostante il cast includesse anche Dennis Hopper e John Leguizamo) o per la presenza al suo fianco di Asia Argento (le cui qualità recitative sono ben note), il suo apporto passò più o meno inosservato, probabilmente perché non aveva all’epoca la “faccia” giusta (o l’ispirazione) per il ruolo.
Il successo arriverà invece interpretando un personaggio altamente derivativo (palese il debito nei confronti del solito Sherlock Holmes) ma dotato comunque di caratteristiche peculiari che gli permettono di farsi notare nell’affollato panorama degli investigatori televisivi.
Invecchiato e vissuto, la faccia da schiaffi ed il sorriso beffardo, trasandatamente impeccabile in gilet e giacca grazie all’innata eleganza che lo fa assomigliare ad un Cary Grant minore (caratteristica che gli procurerà un contratto quale testimonial della Longines, nota marca di orologi non-Swatch), Baker giganteggia in tutte le puntate della serie, caratterizzate da un caso di giornata, risolto puntualmente grazie alle sue abilità d’osservazione e investigative, ma non canonicamente, in ragione dei metodi bizzarri e dei trucchi ideati dallo stesso Jane.
A fare da “Club degli Watson” una quasi coprotagonista, la decisa Teresa Lisbon (interpretata da Robin Tunney), in un rapporto inizialmente conflittuale che si evolverà nel corso della serie, il glaciale Kimball Cho (Tim Kang), la rossa Grace Van Pelt (interpretata dall’italoamericana Amanda Righetti) e lo svagato Wayne Rigsby (Owain Yeoman). Gruppo la cui “normalità” all’approccio investigativo riempie gli episodi (della durata di una quarantina di minuti) fino al più che classico finale risolutivo, di solito con la convocazione di tutti i sospettati.
A fare invece da antagonista trasversale rispetto ai “cattivi” di puntata, c’è il diabolico John il Rosso (Red John) inafferrabile serial killer autore tra gli altri degli omicidi della moglie e della figlia di Jane, da quest’ultimo incautamente irriso in diretta TV nel suo passato da medium-truffatore. Sempre un passo avanti alla Polizia, anche allo stesso Jane, ricompare spesso in tutte le stagioni finora edite, con l’inconfondibile faccione rosso, vergato col sangue, lasciato sulle scene degli omicidi.
Altro antagonista di spessore da citare, comparso in una manciata di puntate, è senz’altro Bret Stiles, il guru di una potente setta (la Visualize) interpretato da un mellifluo Malcom McDowell al minimo sindacale, ma pur sempre incisivo e memorabile ad ogni apparizione.
Una serie con tutti gli ingredienti per assurgere a fenomeno di massa, obiettivo inizialmente raggiunto, ma poi gradualmente ridimensionatasi a prodotto “popolare” di (sano) intrattenimento, un “One Man Show” dalla scrittura non sempre cristallina (d’altronde Bruno Heller non è né Vince Gilligan né David Simon o Chase)* impostato sui contenuti e sulle dinamiche canoniche dei polizieschi made in U.S.A..
Che resta comunque molto godibile, a parere di chi scrive, grazie alla simpatia del personaggio principale ed alla capacità di intrattenere senza pretese autoriali, nonostante una stanchezza evidenziata anche dall’eccessiva “offerta” di episodi per stagione (oltre la ventina fino alla 6^ annata) e da una progressiva invadenza delle dinamiche personali tra i vari personaggi.
Voto: ***
Puntate precedenti:
- Haven;
* SPOILER ovvero CHI FOSSE DIGIUNO DI “THE MENTALIST” NON LEGGA OLTRE LA PRIMA STROFA DELLA POESIA “LA TIGRE” DI WILLIAM BLAKE.
“Tigre! Tigre! Divampante fulgore
nelle foreste della notte
quale fu l’immortale mano o
l’occhio
che ebbe la forza di formare
la tua agghiacciante
simmetria ?”
Inferiorità di scrittura evidenziata dal fatto che il sottoscritto, all’altezza della 5^ stagione, era oramai convinto che Red John fosse lo stesso Jane o una persona a lui molto vicina (Lisbon). Gli sviluppi della 6^ annata hanno frustrato invece tale convinzione, con conseguente vendetta “critica” del recensore dilettante nei confronti dello sciagurato sceneggiatore.
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