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Sils Maria - Recensione
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Voto: 10/10

 

Olivier Assayas, a due anni di distanza da “Après mai”, cambia palcoscenico, da Venezia a Cannes, per presentare la sua ultima pellicola, mettendo in immagini un’idea di Juliette Binoche, una delle protagoniste. 

La storia narrata in “Sils Maria” è facilmente riassumibile: la famosa attrice Maria Enders (Juliette Binoche) è diretta a Zurigo, insieme alla sua assistente Valentine (Kristen Stewart), per ritirare un premio, ma la morte improvvisa di Wilhelm Melchior, il regista della pièce che l’aveva lanciata 20 anni prima, cambia i programmi della donna. A Maria viene proposto un “remake” di quello spettacolo, ma non più nel ruolo dell’ambiziosa Sigrid bensì in quello della sua padrona, Helena. Per preparare i dialoghi, Maria si reca con Val a Sils-Maria, piccolo paese elvetico dell’Engadina vicino al Passo della Maloja, dove viveva Melchior (e dove Nietzsche ha soggiornato per tanti anni). Sarà anche l’occasione per incontrare la nuova interprete di Sigrid, Jo-Ann Ellis (Chloë Grace Moretz).

Nel suo quindicesimo lungometraggio, Assayas riesce a scavare in profondità nei suoi personaggi, li osserva sempre a distanza ravvicinata, aumentandone la poliedricità e, mediante i movimenti della macchina da presa, catturando lo spettatore che viene come catapultato sulla scena. Proprio al contrario di quello che succede ai protagonisti: essendo un’opera che parla anche del passare del tempo e del tentativo di adeguarvisi, la prospettiva, la distanza da qualsiasi aspetto dell’esistenza, cambia continuamente e inesorabilmente, e la rimessa a fuoco non sempre è facile. Dopotutto, essendo anche l’autore della sceneggiatura, il regista francese conosce a fondo Maria, Val, Jo-Ann, e lo spettatore non può che rimanerne coinvolto.  Lo script funziona alla grande, delineando con precisione i contorni pur sfumati delle tre donne, con dialoghi raffinati e sottili. La messa in scena è un saggio di gran classe, estremamente equilibrata e controllata, che mai sconfina nell’eccesso virtuosistico o nella banalità.

La prima crepa che si apre in Maria è dovuta alla morte di Melchior, non solo un metteur en scène, ma ancora un suo importante punto di riferimento. Sebbene sia da molti anni nello star system, la donna non ne (vuole) comprende(re) l’evoluzione né i nuovi meccanismi che lo regolano; semplicemente perché è convinta di poterne fare a meno. Da qui la decisione di rifugiarsi tra le montagne, lontana dal clamore, dalla frenesia dei nostri tempi. Non così Valentine che in definitiva è colei che, per i casuali percorsi della vita, si trova a vivere a stretto contatto con una persona diversa da lei. Ed è questa distanza che la fa sentire inadeguata; e l’unica via d’uscita non può che essere la fuga. Tale evento, cui si aggiunge la più o meno insensibile inflessibilità di Jo-Ann, fa scattare una presa di coscienza in Maria.

La tradizione opposta alla modernità, l’impietoso trascorrere del tempo, i fantasmi, il ribaltamento dei ruoli. Anche quelli da rappresentare su un palco. Perché l’arte, teatro o cinema che sia, è un altro aspetto fondamentale di questo affresco molto stratificato: la celebrità, la frammentazione e la manipolazione dell’identità nei numerosi media, i diversi metodi di approcciarsi ad un ruolo: basta interpretarlo o è necessario viverlo? Da brividi le sequenze delle prove del copione, con Sigrid e Helena che si trasfigurano biunivocamente in Val e Maria. Certi passaggi mi fanno ripensare alle ultime due pellicole di David Cronenberg, “Maps to the stars” e “Cosmopolis”: accumulano senza sosta situazioni e figure ma finiscono solo con l’essere pretenziose e vuote, a distanza siderale da Assayas.

Juliette Binoche

Sils Maria (2014): Juliette Binoche

E nell’epilogo tutte le facce delle protagoniste sono, se non del tutto svelate, quantomeno un po’ più trasparenti, come le pareti dell’allestimento londinese. Non solo a noi spettatori, ma anche a loro stesse, che hanno in mano qualche chiave di lettura in più, sebbene le serrature appartengano a porte diverse. D’altronde, come sosteneva il premio Nobel per la fisica Werner K. Heisenberg, è impossibile osservare un fenomeno qualsiasi senza, allo stesso tempo, modificarlo. E così accade nella relazione fra Val e Maria.

Un’opera superba come le Alpi del Cantone dei Grigioni e come il fenomeno chiamato “Serpente della Maloja”, affasciante ma quasi allucinogeno, come lo è il serpente costituito dai tornanti stradali percorsi da Valentine. Segnale di un cambiamento, meteorologico ma anche nelle vite dell’attrice e della sua assistente: Val infatti se ne va dopo aver accompagnato Maria lungo il sentiero per vederlo. Ma alla fine sarà il Serpente o soltanto nebbia? Maria forse non lo saprà mai, visto che scappa a cercarla.

Il "Serpente della Maloja" era già al centro di un corto documentario del 1924 diretto dal tedesco Arnold Fanck, “Das Wolkenphaenomen von Maloja”.

Impossibile non soffermarmi sugli attori: notevole l’intero cast, ma davvero stratosferiche Kristen Stewart e Juliette Binoche, le quali illuminano ogni inquadratura con una perfetta complicità e col loro talento magistrale e che ci conducono a quote ancora più alte togliendoci completamente il fiato. Incarnano donne tanto forti quanto fragili, disinvolte, appassionate, autentiche. I loro sguardi, la loro voce, i loro corpi penetrano con forza lo schermo come fosse di carta velina. Strepitose.

Peccato per l’uscita americana (oltretutto limitata, ma era prevedibile) fissata al 27 marzo: questo film avrebbe meritato diverse nomination, e premi, agli Academy Awards. Ma risulta ancora più assurda la scelta della Francia di non candidarlo come miglior film straniero, a favore di “Saint Laurent” di Bertrand Bonello. Chissà se si rivelerà un altro passo falso dopo quello dell’anno scorso, in cui i transalpini optarono per “Renoir” invece de “La vie d’Adèle”.

Non capita di frequente, ma quando si ha il privilegio di assistere ad un’opera di tale calibro, per quanto mi riguarda perfetta da qualsiasi punto di vista, è immediatamente palese (e mi dispiace per coloro a cui non fa più questo effetto) come la Settima Arte conservi ancora oggi il suo immutato e potente fascino.

 

(P.S. Vista la distribuzione a tappeto, un grazie alla Cineteca di Bologna che ha programmato “Sils Maria”! Per di più in lingua originale)

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