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ROMA CITTA' CINEFILA: FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA - GIORNO 2 – TRA TAKASHI E LULU'...ANIMI RAGGELATI SU YACHT, UN MONTE DI SPAZZATURA, POVERTA' COME SCELTA DI VITA E DIPENDENZA DA COCAINA.
di alan smithee ultimo aggiornamento
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As the Gods Will (2014): locandina

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Lulu (2014): locandina

La mia seconda giornata festivaliera inizia anche oggi presto, con due proiezioni per la stampa, circostanza che mi assicura il posto senza troppe complicazioni o calche di folla a contendersi gli ultimi posti.

Port Cros e Alan Smithee al Parco della musica

 

Ma già dalle otto e mezza (l'ora più cinefila che si possa pensare) scorre vita ed anime attorno al Parco della Musica, la valida, accattivante, sinuosa e piuttosto capiente struttura (ma i posti a sedere di alcune sale, Sinopoli e Petrassi in testa, sono davvero più strette e scomode che quelli di un volo low cost, e mi sembra davvero incredibile che un tal celeberrimo architetto responsabile della struttura sia caduto in questo elementare errore di valutazione) che ospita sin dalla sua nascita questo Festival in corso di definizione o in continua ristrutturazione. Un festival nato come una “festa”, che ora sembra aprirsi anche alla televisione (ma pure Torino proprio l'anno scorso ha dato inizio a questo appuntamento con tre mini-serials di ottima fattura – erano House of Cards, Southcliffe, Top of the lake), almeno quella diretta da registi noti al cinema come veri e propri autori.

Il Parco della Musica la sera durante il rito del Red Carpet

 

Dunque ben venga Soderbergh con suo decalogo sanguigno e tossicodipendente “The Knick”, di cui oggi ho potuto vedere i due episodi finali, di cui vi accennerò tra poco, mentre l'amico Port Cros si è immolato alla causa affrontando tutto il giorno le oltre dieci ore di proiezione (rimando per questo a lui tutti coloro che desiderassero leggere una recensione esaustiva e più completa sull'intera opera).

 

Il primo film di oggi si intitola TRASH ed è l'opera di un regista inglese molto amato negli States e dall'Acdemy: lo Stephen Daldry di Billy Elliott e The Hours, che si trasferisce nel Brasile di Rio e delle favelas per raccontarci l'odissea della sopravvivenza di tre ragazzini che lavorano come raccoglitori di plastica in una immensa discarica di rifiuti, dal momento che uno di loro trova per caso un portafogli con un bel po' di soldi, ma soprattutto con all'interno un piccolo particolare oggetto che diviene la cosa più ricercata in tutta la città: soprattutto dalla locale polizia, coinvolta in una squallida storia di corruzione che invischierebbe e comprometterebbe anche un noto e potente esponente politico in odore di elezioni.

locandina

Trash (2014): locandina

Il film presenta un concitato incipit girato assai bene, con l'attore Wagner Moura (già visto in diverse occasioni, come in Tropa de Elite 1 e 2 e in Praia do Futuro) impegnato invano a salvarsi la vita ed occultare quel portafogli maledetto per il quale perderà la vita, ma riuscirà a tenerlo lontano da chi lo insegue. Poi man mano che la vicenda prosegue, il regista di Billy Elliott o ancor più gli sceneggiatori si appiattiscono su una vicenda che si colora di morale e buoni principi del tutto anacronistici e irritanti di fronte ad una popolazione che vive e sopravvive negli escrementi e nei rifiuti di chi è autosufficiente. Temiamo il peggio e lo otteniamo non tanto nella figura dei due missionari americani (Martin Sheen e Rooney Mara, peraltro presenze scomode che sviliscono la serietà e la drammaticità autentica di una vicenda di morte e corruzione), quanto dalla cascata di denaro sporco che viene deliberatamente (ed anacronisticamente) gettata tra i rifiuti per essere divisa equamente tra le centinaia di spazzini dei rifiuti che raspano in quella accozzaglia maleodorante di “monnezza”. Un finale lungo mezz'ora che rende buona parte dell'opera e dell'impegno un inutile e sprecato tentativo di costruire una storia che rimanesse attinente alla cruda realtà delle favelas, senza tanti americaneggiamenti inutili, capaci solo a rendere “potabile” una storia che nella sua crudezza verrebbe a trovarsi tropo poco commerciabile.

VOTO **

 

Il secondo film per la stampa, tenuto conto che la commedia di Gianni De Gregorio la aspettiamo nelle sale, cade su un grande autore pieno di fans almeno come il Park Chan-wook di ieri.

Si tratta dell'ultima opera del prolifico ed ammirato regista di Ichi the killer, ovvero Takashi Miike.

Sôta Fukushi, Hirona Yamazaki

As the Gods Will (2014): Sôta Fukushi, Hirona Yamazaki

AS THE GODS WILL è un manga-movie (circostanza questa che non deporrebbe granché a suo favore, almeno per i miei gusti) che attinge da considerazioni e stati d'animo di molta gioventù annoiata di oggi, per spaziare in tematiche alte e cruciali inerenti l'esistenza di un dio, le possibilità di scelta dell'uomo, la lealtà o meno dei suoi comportamenti cruciali, l'impossibilità di riuscire ad essere sinceri anche negli aspetti più naturali e semplici della vita di tutti i giorni, il piacersi come individuo e il piacere alle persone che fingono di accettarti ma in realtà a stento ti sopportano. Per non parlare delle invidie, della rivalità, nei successi scolastici o negli amori, che contende le esistenze in formazione di studenti e giovani nella fase di costruzione delle rispettive esistenze. Il tutto in un horror-fanta movie truculento e sanguigno che inizia con teste mozzate ed in esplosione di fronte ad un gioco maligno che si materializza in una scuola sulla pelle di un professore, e che conduce i superstiti di quell'istituto a sostenere, al pari di altri studenti un po' ovunque, una serie di prove pericolose e mortali in cui i ragazzi divengono prede o vittime sacrificali di bizzarri e solo apparentemente bonari ed innocui oggetti dalla forma animale o antropomorfa, che li decima uno ad uno.

In particolare seguiremo le gesta di colui dal quale tutto è nato: quel Shun Takahata studente annoiato che un giorno prega un dio di rendergli la vita meno noiosa e piatta, dando inizio grazie a ciò ad un incubo pirotecnico e truculento che sembra una sadica e davvero ironica e baraccona roulette russa di autodistruzione.

Diretto da un altro un film del genere sarebbe risultato puerile e stupido dopo pochi minuti. Con Miike alla regia tutto diventa accettabile e persino divertente, come suggeriscono risate e applausi a scena aperta nella affollata proiezione di questa mattina.

Certo il rischio di una certa ripetitività nello svolgersi delle “penitenze” e delle prove a cui sono sottoposti i superstiti, risulta a tratti un po' verosimile e persino un finale un po' troppo per le lunghe meriterebbe tagli che lo fluidificassero. Ma sono dettagli forse solo puntigliosi perché il film appassiona e stordisce per la molteplicità delle sensazioni che riesce a creare nello spettatore.

VOTO ***1/2

 

LULU', dell'argentino Luis Ortega, è il film più bello della giornata, la vera sorpresa di questa giornata cinematografica. La scelta di vivere di espedienti, nella quasi totale indigenza, occupando un casolare abbandonato ed angusto attraversato dal traffico caotico delle auto nei pressi di un incrocio molto trafficato da parte di due giovanissimi ragazzi in una Buenos Aires che vive di indifferenza e di inerzia. Lucas lavora raccogliendo ossa di animali da un macello e portandoli in una discarica, ma ama le armi e si diverte a fare rapine più per il gusto di frle che per vera necessità incombente. Lulù è una ragazza ancora adolescente che lo ama e fugge da una famiglia che le ha dato motivo di farlo. La vita per i due scatenati ragazzi è un gioco a due dove la morte sembra essere solo una sfida allettante che aiuta a vivere di emozioni e dunque con gusto.

Nahuel Pérez Biscayart, Ailín Salas, Luis Ortega

Lulu (2014): Nahuel Pérez Biscayart, Ailín Salas, Luis Ortega

Poi la gelosia di Lulù, accortasi che il suo ragazzo frequenta altre ragazze, dalle quali probabilmente ha avuto anche dei figli; un mendicante ad entrambi affezionato chiamato Muertos che li aiuta anche addossandosi colpe e responsabilità non sue. Poi la decisione di Lulù di tornare a casa, da due genitori anziani che la riportano nell'ambiente chiuso e malsano di una realtà che non poteva continuare e che riporta alla fuga la ragazza. Fino ad una drammatico e duro epilogo, che una regia davvero sfolgorante rende indimenticabile, come molte altre scene di lucida disincantata follia. Lulù vive di una storia potente e di immagini altrettanto indimenticabili: un camion pieno di carcasse, Lucas che si catapulta come una mazza di un tamburo sulle saracinesche chiuse a notte fonda per placare la propria inarrestabile vitalità o follia, Lulù che balla sfrenata ritmi tropicali in un supermercato col bambino che ha sottratto ad una amante di Lucas; e molto ancora. In un film davvero molto riuscito e disturbante.

VOTO ****

 

LAST SUMMER è l'opera prima di Leonardo Guerra Seragnoli che vede un insolito sforzo produttivo dedicato ad un esordiente, forte di un cast internazionale eterogeneo e composito che conta su tutti e come protagonista l'attrice giapponese di fama internazionale Rinko Kikuchi ed altri validi attori come l'ottimo Yorick Van Wageningen, nel ruolo del capitano della lussuosa imbarcazione-prigione ove si svolge la vicenda. Una storia scritta con la collaborazione di Banana Yoshimoto; un soffocante week end lungo che vede una madre incontrare per l'ultima volta il figlioletto di sei anni dopo che il tribunale ha deciso di affidarlo totalmente alle cure paterne. Nel lussuoso yatch di quest'ultimo ed in sua assenza, avverrà un congedo che nasce con un gelo ed una diffidenza inculcate ad arte nel bambino, che tuttavia, timidamente, e nel corso di quei drammatici e isolati quattro giorni di mare, si apre verso un naturale attaccamento materno che non può che sbocciare proprio nel momento in cui è destinato ad essere interrotto fino alla maggiore età del ragazzino.

locandina

Last Summer (2014): locandina

Interessante l'ambientazione marina concentrata su un microcosmo da ricchi, antipatico ed indigesto, imbarazzante ed altero come può esserlo l'interno di una mega barca a vela super accessoriata; circostanza che rende antipatici e odiosi tutti coloro che v soggiornano abitualmente, sia un capo famiglia che non vedremo mai, ma da cui nasce tutto, sia i membri servili e alteri di un equipaggio che prova a mettersi nei panni di una madre disconosciuta, ma tende anche a rimanere freddo e irreprensibile ad istruzioni contrarie a quello che suggerisce l'istinto ed un naturale senso di umanità. Una opulenza fredda ed imbarazzante che contrasta moltissimo con la povertà che ha caratterizzato almeno due delle altre pellicole visionate (Trash e Lulù) e che gli fa da perfetto e puntuale contraltare.

Last Summer è un'opera interessante che gioca sul non detto per costruire quasi un thriller dei sentimenti basilari ed intimi, per creare in extremis un legame che possa unire due persone che si amano, ma che non hanno avuto modo di conoscersi come avrebbero dovuto una madre ed un figlio ancora bambino.

VOTO ***

 

THE KNICK – EPISODI 9 e 10 per concludere un serial davvero molto insolito e riuscito iniziato a visionare ieri, e che avrebbe meritato una visione completa (cosa che ha fatto lo stoico Port Cros in tutta la giornata, affrontando le 10 ore abbondanti di programmazione quasi tutte d'un fiato, e a cui rimando tutti coloro che vorranno un resoconto più dettagliato del mio sul bel prodotto televisivo dell'anno), non fosse che le proposte sono tante rispetto ai soli miei tre giorni di permanenza: circostanza quest'ultima che mi ha suggerito di spaziare tra le varie proposte.

Vorrei aggiungere che The Knick si giova di una insolita e apparentemente anacronistica colonna sonora tutta elettronica che sembra uscita da un horror di John Carpenter, ma che, risentita in occasione di ogni episodio, diviene un refrain accattivante ed indispensabile.

Clive Owen, Michael Angarano

The Knick (2014): Clive Owen, Michael Angarano

E' inoltre encomiabile come il film riesca a giostrarsi alla perfezione toccando tematiche più disparate, come i progressi tenaci di una medicina fino a quel momento davvero allo stadio primordiale: gli sforzi di medici eroici pure con i loro problemi e vizi caratteriali; la scoperta di differenti gruppo sanguigni dopo innumerevoli trasfusioni di sangue tra ceppi non compatibil ie morti sotto i ferri; la dipendenza dalla cocaina che assicura la lucidità per operare miracoli da parte di medici capaci ma deboli e finiti nella rete di una dipendenza senza uscita; le morti di innocenti che decimano famiglie e provocano pazzie in chi sopravvive. La questione razziale, le ingiustizie e le discriminazioni anche quando si è medici dotati e migliori dei bianchi che fanno da padroni. La corruzione dilagante che specula sul recupero degli infortunati, sulla interruzione clandestina delle gravidanze indesiderate; le rivalità tra medici che finiscono per allontanare l'ottenimento dei risultati in nome di una rivalità che è figlia dell'egoismo e dell'arrivismo umano.

The knick è tutto ciò e molto di più e merita una visione completa e progressiva, magari meno caotica e veloce dei ritmi a cui ci abituano e rendono schiavi questi interessanti festival che si succedono uno dopo l'altro.

VOTO ****

 

Alla prossima ed ahimé ultima puntata.

 

 

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