Il Festival internazionale del film di Roma, dopo l'apertura di ieri affidata alla commedia Soap Opera di Alessandro Genovesi, entra nel vivo proponendo un'offerta variegata di titoli, tesi ad accontentare tutti i palati. Il piatto forte della giornata è dato dalla proiezione in sala Petrassi dei primi due episodi della serie tv The Knick di Steven Soderbergh, che vede protagonista Clive Owen, nei panni del geniale chirurgo John Thackery, e che è composta da dieci episodi che andranno in onda su Sky Atlantic nel corso dell'autunno.
Dalle 19:30 la sala Santa Cecilia sarà dedicata alla proiezione di due titoli della sezione gala. Si parte con la prima europea di Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland. Il film ospita un cast di star formato, tra gli altri, da Kristen Stewart, Julianne Moore e Alec Baldwin. Basata sull’omonimo romanzo di Lisa Genova, la pellicola narra, senza facili sentimentalismi e in uno stile che è stato paragonato al cinema di Ozu, la vicenda di una donna di successo, tenace e caparbia, a cui viene diagnosticato il morbo di Alzheimer. Alle 22 sarà invece la volta di Eden di Mia Hansen-Løve, che ripercorre i passi del “French touch” dal 1992 a oggi, rievocando una generazione che è stata in grado di riscrivere le regole della musica dance grazie a musicisti come i Daft Punk, Dimitri from Paris, Cassius, Alex Gopher. Nel corso del pomeriggio, sempre la sala Santa Cecilia offrirà alle 17 in collaborazione con la sezione Alice nella città la prima europea di The Prophet, il film di animazione scritto e diretto da Roger Allers ispirato al grande classico di Kahlil Gibran.
La sala Sinopoli si animerà dalle 17 in poi ospitando due pellicole della sezione Cinema d'oggi, in competizione per il Marc'Aurelio. La prima, in anteprima europea, è The Narrow Frame of Midnight, esordio nel lungometraggio della regista Tala Hadid che indaga lo stato della "non appartenenza", portando sullo schermo il viaggio dal Marocco al Kurdistan di alcuni personaggi che combattono per il loro posto nel mondo. «The Narrow Frame of Midnight disegna i percorsi di diversi personaggi che faticano a trovare un proprio posto nel mondo, alla ricerca dei vivi e dei morti, degli altri e di loro stessi. I cammini di tali personaggi si intersecano più volte e, sebbene i loro destini divergano, sono collegati in maniera profonda. L'arco di ogni viaggio riflette e informa sui viaggi altrui. Tre dei personaggi (Aicha, Zacaria e Judith) sono alla ricerca di qualcosa e, come esploratori, decidono di imbarcarsi in un viaggio la cui meta finale è sconosciuta. I Greci, come ricorda la scrittrice Jeanette Winterson, sostenevano che per raccontare le vite segrete occorreva dell'inchiostro invisibile. E, in un certo senso, i personaggi con cui viaggiamo in The Narrow Frame of Midnight hanno deciso di comprendere la storia che nascondono e di continuare a scriverla a qualunque costo», spiega la regista.
Alle 19 toccherà invece a The Lies of the Victors di Christoph Hochhaüsler in prima mondiale. Thriller investigativo-spionistico , The Lies of the Victors punta il dito contro l'attuale primato economico della Germania e gl episodi di corruzione all'interno del suo sistema politico, senza dimenticare un attacco al sistema dei mass media e all'attuale modo di concepire la comunicazione pubblica. «Perché ho realizzato questo film? Avevo un desiderio. Mi piace vedere film che non esistono o che parlano di argomenti di cui nessuno si occupa. Oggi, mancano le narrazioni socio-politiche e il mio sogno era quello di realizzare un thriller politico moderno che catturasse lo spettatore e che lasciasse in lui un qualche segno. Non mi interessava il realismo fine a se stesso ma volevo realizzare una sorta di dialogo riflessivo che rimettesse in discussione ogni certezza. Oltre la superficie, c'è sempre un mondo da approfondire ma ho voluto coscientemente fermarmi a un certo punto: lo spettatore non deve necessariamente conoscere tutto nel dettaglio», racconta Hochhaüsler.
Tra gli eventi collaterali si segnalano inoltre la masterclass con Tomas Milian, l'incontro con il pubblico di Park Chan-Wook (regista del corto/spot A Rose Reborn) e le proiezioni di Quando Eu Era Vivo di Marco Dutra (sezione Mondo genere), di Ato, atalho e vento di Marcelo Masagão (sezione MaXXI), e di X + Y di Morgan Matthews e Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet di Jean-Pierre Jeunet (entrambi per Alice nella città).
Difficile, infine, capire quale sia stato l'andamento della giornata di apertura. Soap Opera di Alessandro Genovesi ha letteralmente spaccato i nostri due "inviati" Pazuzu e Steno79: mentre Pazuzu ci racconta di un film che «si sviluppa come una sequela di gag che nel complesso mancano di armonia, evidenziando una scrittura disomogenea e dal fiato corto, con una prima parte dignitosa, che pur non inventando nulla riesce a strappare qualche sorriso, ma una seconda decisamente involuta e prevedibile, lungo la quale emerge con tutta evidenza la bidimensionalità di quasi tutti i personaggi», Steno79 vi intravede «un prodotto più ambizioso rispetto al piattume della commedia italiana standard di questi ultimi anni. Attraverso un raffinato intarsio di vicende parallele che coinvolgono una decina di personaggi principali, Genovesi riesce a spaziare attraverso generi diversi, dalla commedia al melodramma della seconda parte, con qualche punta di "noir" nell'indagine poliziesca, e lo fa senza perdere le redini della vicenda, nonostante la programmatica irrealtà tipica della "soap opera" di varie svolte narrative».
Pazuzu è riuscito inoltre a vedere in anteprima stampa We Are Young. We Are Strong. di Burhan Qurbani, che indaga con lucidità su uno dei priù crudeli fatti xenofobi avvenuti nella Germania riunificata nell'agosto 1992: la notte del fuoco di Rostock. «Già candidato all'Orso d'Oro al Festival di Berlino nel 2010 con l'ottimo Shahada, dal quale peraltro mutua la struttura basata su tre storie che convergono, Burhan Qurbani porta a Roma, in concorso, un film solido e duro, nel quale narra fatti che, seppur avvenuti quando era ancora un bambino (è un classe '80), devono riguardarlo molto da vicino, essendo egli stesso figlio di profughi (afghani) rifugiatisi in Germania ancor prima del crollo del muro. Correva il 1989 quando la DDR fu annessa all'occidente, e il passaggio non fu indolore, ma negli anni immediatamente successivi a farla da padrone fu lo spaesamento, la povertà, la frustrazione. Sintomatica, al riguardo, è la frase che una delle ragazze del gruppo, intervistata da una giornalista, pronuncia poco prima che "La notte del fuoco" deflagri in tutto il suo fragore: «Ora abbiamo la libertà, ma anche la solitudine»». Qui, il resto della recensione.
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