Daniele Boccarusso nasce a Napoli il 23 agosto 1993 e a 17 anni è già sul set a lavorare da professionista per un cortometraggio diretto da Ermete Ricci, La leggenda del calabrone. Il ruolo, è il protagonista Andrea, non passa di certo inosservato, così come la credibilità artistica di quello che era ai tempi solo un ragazzino con il sogno della recitazione. Con il passare del tempo, degli anni e degli studi, Daniele raffina le sue qualità e convince nel 2013 il regista Alessandro Piva, che lo sceglie per il suo I milionari, presentato in concorso al Festival di Roma e in uscita nelle sale cinematografiche il prossimo 20 novembre, distribuito da Teodora. Il compito a cui è chiamato non è dei più semplici: Daniele interpreta il protagonista Alendelon da giovane, richiamando nei tratti somatici il più affermato Francesco Scianna, colui che invece dà corpo e anima all’Alendelon adulto.
Per capire chi è Daniele e conoscerlo un po’, siamo andati sulle sue tracce, facendoci raccontare i primi passi su un set, la formazione, i desideri e i sogni, scoprendo di essere di fronte a un ragazzo con i piedi ben piantati per terra e dalle idee semplici ma decise.
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Da dove quando nasce in te il desiderio di fare l’attore? Sei giovanissimo, hai appena 21 anni e il tuo curriculum da attore ‘professionista’ porta come data di inizio il 2010, con il cortometraggio La leggenda del calabrone di Ermete Ricci.
Dentro di me ho sempre saputo, da quando ero bambino, che da grande non avrei fatto un lavoro “comune”. Forse non ho realizzato da subito che si trattasse del mestiere dell’attore ma a dire il vero l’ho compreso abbastanza presto. Avevo 13 anni quando ho iniziato a studiare recitazione, e il cortometraggio girato nel 2010 è stata la mia prima esperienza lavorativa dopo diversi anni di studio. Quel progetto resterà un bellissimo ricordo e non dimenticherò mai quanta passione e quanti sacrifici legavano me agli altri colleghi, primo fra tutti il regista.
A nove anni inizi a studiare pianoforte per dedicarti non molto tempo dopo alla recitazione, grazie ai laboratori teatrali delle scuole medie. Ricordi le prime sensazioni provate le prime volte che ti sei esibito su un palco?
Ho preso lezioni di pianoforte più o meno da quando avevo otto anni e ho continuato a farlo fino all’età di 13. Di lì in poi ho continuato a suonare il piano senza più fare lezioni, preferendo, appunto, dei corsi di recitazione. Ho un ricordo limpidissimo della mia prima volta su un “palco”: ero alle scuole medie e nello spettacolo che preparammo durante l’anno avevo una sola battuta, solo una. Quello che ho provato quando dissi quell’unica battuta mi stregò, per quanto piccolo e ingenuo potessi essere. Quella sera, senza nemmeno sapere cosa fosse l’amore, mi innamorai di quelle tavole di legno.
Dopo le scuole medie, arrivano i primi laboratori teatrali professionali, in particolar modo il laboratorio ‘I due mondi’ diretto da Nando Paone e Cetty Sommella. Qui, ti confronti con grandi autori, da Shakespeare a Goldoni, da Sofocle a Euripide. Che ricordi hai di quel periodo? Quali gli insegnamenti appresi?
Questo corso, che ho seguito mentre iniziavo e quindi proseguivo i miei studi liceali, è stata un’esperienza molto intensa. Le lezioni iniziavano alle 15, a Pozzuoli, fino alle 19 ogni venerdì e sabato. Sapevo che sarebbe stato difficile gestire questo percorso senza compromettere la mia formazione scolastica ma la voglia era talmente tanta che, a dire il vero, superavo senza eccessivi sforzi la fatica di dover gestire contemporaneamente molti impegni. Questo laboratorio è stato per me una palestra dove ho capito, sin da subito, le difficoltà del mestiere. Sono stato accolto in un gruppo molto affiatato, che mi ha preso per mano facendomi vivere le gioie e i dispiaceri del lavoro dell’attore.
Contemporaneamente alla recitazione, ti dedichi al nuoto, al karate e allo sci. Dove trovavi il tempo e la spinta per tenerti così occupato?
Sono sempre stato pieno di energie e con tanta voglia di fare: quando sono in corsa riesco a rendere molto.
Al termine del liceo, frequenti nel 2012 il seminario propedeutico presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ci racconti in che cosa consiste?
Dopo il liceo ho partecipato alle selezioni per essere ammesso al corso di recitazione del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, superando la prima fase e quindi frequentando un corso propedeutico all’accesso della durata di 3 settimane, durante le quali seguivamo corsi di recitazione, danza, canto ecc. Al termine di questo piccolo percorso, venivano ammessi gli allievi definitivi.
Nel 2013 vieni invece ammesso al corso di recitazione della prestigiosa accademia nazionale d’arte drammatica ‘Silvio D’Amico’, dove tuttora frequenti il ciclo triennale di studi. Cosa si prova ad essere accettati in quella che a detta di tutti è la migliore scuola di recitazione in Italia? Come si svolgono le giornate tipo all’interno della scuola?
Un altro giorno che non dimenticherò mai è stato un lunedì dell’ottobre 2013, quando, alle 9 del mattino, viene mia madre a svegliarmi, ma con scarsi risultati, fino a che sento queste parole: “Sono usciti i risultati”. Avevo già superato le prime due fasi, questa era l’ultima e in quel momento ero agitatissimo perché era la resa dei conti. Aver letto “ ammesso” è stata un’emozione indimenticabile, il coronamento di un sogno. Attualmente sto per iniziare il secondo anno e l’accademia è veramente intensa. Seguiamo tutti i giorni sei volte alla settimana dalle 9.30 alle 18.30 salvo prolungamenti . Abbiamo lezioni di recitazione, con vari insegnanti anche non italiani, tutti qualificatissimi, e lezioni di movimento, danza, tecniche di lettura, canto, dizione ecc. Personalmente, soprattutto all’inizio del primo anno, sentivo il peso di dover essere all’altezza, appunto, di una accademia così prestigiosa e fino ad allora il mio curriculum aveva solo quel cortometraggio e qualche spettacolino scolastico! Non avendo fatto altro, avevo paura di toppare. Fortunatamente sto avendo delle soddisfazioni e artisticamente sento che l’accademia mi sta dando moltissimo.
Sempre nel 2013, arriva la grande occasione cinematografica. Sei scelto da Alessandro Piva per il ruolo di Alendelon diciassettenne in I milionari, in concorso al Festival di Roma 2014. In poche parole, sei il protagonista del film da giovane, facendo da contraltare a Francesco Scianna. Come ti ha trovato Piva? Hai sostenuto un provino? In cosa consisteva?
Ho sostenuto un provino su parte e dopo un po’ di tempo sono stato contattato per ricevere la notizia di aver ottenuto ufficialmente il ruolo di Alendelon in I milionari di Alessandro Piva. Conoscevo già il regista per La CapaGira e Henry, quindi oltre alla grandissima gioia di avere il mio primo ruolo, ero entusiasta di poter lavorare con lui.
Ci racconti come ti sei preparato per la parte? Chi è il tuo Alendelon?
Questo film ovviamente è stato girato prima della mia ammissione in accademia e avevo alle spalle solo tanta - ma relativamente poca - teoria che adesso doveva essere messa in pratica. Se questo ruolo mi venisse affidato adesso, com’è normale che sia, porterei sicuramente più a fondo la costruzione del personaggio. Marcello, detto Alendelon, nasce in un posto che probabilmente non avrebbe mai scelto se gli fosse stata data l’opportunità di farlo. Ho percepito da subito questa sua lotta interiore che, anche se consciamente zittita nell’età adolescenziale, per quanto poco sviluppata, porterà con sé per il resto della vita. Il ragazzo cerca di evitare che l’ambiente dove è “costretto” a stare prenda il sopravvento sulla sua vita e, soprattutto con Rosaria, cercherà sin da ragazzo di gestire “un’altra” vita; quell’altra vita che in futuro sarebbe stata quella di uomo d’affari e padre di famiglia. Di grande carisma ma con tutte le caratteristiche di un giovane: le sue incertezze, le sue difficoltà, i pregi e i difetti, insomma i primi passi di un giovane personaggio destinato a crescere. Ho avuto difficoltà approcciando a un personaggio che mi ha costretto a lavorare molto per allontanarmi dal mio carattere introspettivo e cauto sicuramente lontano da quello di alendelon. Questo mi ha stimolato molto perché l’ho presa come una sfida e un’ottima occasione per lavorare sodo. Quello che vedrò sarà ciò a cui mi ha portato un notevole sforzo e ciò da cui partirò per migliorare ancora. Non mi aspetto di vedere chissà quale risultato perché sono consapevole di quello che, nonostante l’impegno, ho potuto produrre e so che sarò molto critico con me stesso alla prima del film. Per come sono cresciuto e per i valori che per me sono fondamentali, sono molto contento di aver avuto questo ruolo, essermi impegnato a dare vita ai primi passi di un giovane personaggio mentre percorro io, contemporaneamente, i primi passi come attore.
Come ti sei trovato su un set cinematografico vero e proprio? Hai avuto qualche difficoltà? Com’è stato il rapporto con i colleghi già ‘professionisti’? Com’è Piva come regista?
L’esperienza sul set è stata meravigliosa. Non avevo idea di come funzionassero i meccanismi su un vero set e all’inizio confesso che ero un po’ confuso; ma quell’energia che c’era nell’aria … non sarò felice nell’esprimermi ma ho provato una chiarissima sensazione di essere nell’unico posto dove avrei voluto essere. Mi sentivo invincibile. Mi sono integrato facilmente all’interno di questi meccanismi ma tutto questo è stato possibile grazie a un cast artistico meraviglioso a partire dal regista, Alessandro, che oltre a essere sensibile e meticoloso nel suo lavoro, è una persona da apprezzare dal punto di vista umano, che ha dovuto fare i conti con un giovane attore pieno di dubbi a dir poco “esistenziali” a cui ha saputo rispondere con professionalità e saggezza. Questo rende il risultato di questa esperienza ancora più alto. Ho avuto il piacere di conoscere e lavorare con Francesco Scianna, che per altro ha studiato nella stessa accademia dove sono ora, con il quale è nato un rapporto amichevole oltre che di lavoro. Lui è stato per forza di cose l’attore con cui ho legato di più dovendo condividerne il personaggio, ma ringrazio tutto il cast per la professionalità e disponibilità dimostrate in campo.
Trovi delle differenze tra il recitare su un palcoscenico e il recitare davanti a una macchina da presa?
Certamente bisogna fare i conti con un elemento fondamentale: lo spazio. Recitare a teatro in uno spazio mediamente grande ma soprattutto per un pubblico presente in sala, il che comporta una serie di difficoltà, richiede di per sé alcuni meccanismi che non servono invece se si recita di fronte ad una telecamera. Stiamo parlando di elementi dinamici e geometrici oltre che di aspetti più specifici sulla recitazione.
Quali sono i tuoi modelli di riferimento? E quali i tuoi film del cuore?
I primi due nomi che mi vengono in mente sono Tim Roth e Kim Rossi Stuart. Per esempio del primo, di cui trovo straordinaria l’interpretazione in Rob Roy, adoro il film La leggenda del pianista sull’oceano, che è anche uno dei miei preferiti. Oltre a questo, adoro Kubrick, soprattutto Shining ( opera straordinaria considerando il collegamento, che io sono convinto ci sia, con il romanzo di Henry James Il giro di vite) e Barry Lyndon, altro capolavoro.
Come ti vedi tra dieci anni? Quali sono i tuoi sogni professionali nel cassetto?
Per adesso ho gli occhi puntati sul presente, mi concentro sul mio percorso e su ciò che ritengo giusto fare. Sicuramente porterò a termine gli studi in accademia e dopo avrei piacere di viaggiare un po’, fare workshop all’estero e vedere un po’ il mondo. Professionalmente mi piacerebbe avere esperienze profonde e stimolanti, lavori che mi diano la possibilità di mettermi continuamente alla prova e non a mio agio. Nella migliore delle ipotesi è così che immagino i miei anni a venire.
Chi è invece Daniele come ragazzo?
Sono un ragazzo molto semplice. Quello che credo sia sufficiente dire per capire che tipo di persona sono è che vivo la mia vita in estrema coerenza con le mie idee. Credo di riuscire a prendere sempre la decisione giusta se non altro perché di fronte a una scelta prendo una strada al 100% e senza rimpianti. Mi piace guardare il mondo, anche nella sua quotidianità, e godere i piccoli spettacoli che offre. La cosa che mi affascina è guardarlo da tante angolazioni diverse. Il motivo per cui ho deciso di fare l’attore è proprio questo: una cosa che può sembrare banale scatena in ognuno di noi reazioni e sensazioni diverse; adoro guardare il mondo attraverso gli occhi dei personaggi che interpreto.
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