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ZEFESTIVAL DU FILM GLBT: ORGOGLIO SENZA PREGIUDIZIO
di alan smithee ultimo aggiornamento
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Nizza, e con lei tutta la porzione del Sud Est francese comprendente la regione Provence - Alpes - Cote D'Azur ed almeno tre dipartimenti in cui sono coinvolte pure le città di Tolone e Marsiglia, è sempre stata molto aperta e sensibile alla tematica GLBT (che sta ad indicare “gay, lesbico, bi e trans”) e alla difesa dei diritti di una minoranza che intende portare avanti con dinamismo, sincerità e trasparenza, un percorso già molto avanzato per veder riconosciute le medesime opportunità riservate a persone o coppie eterosessuali.

Ed essendo anche Nizza una città piuttosto cinefila, succede che proprio nella "ville du carnaval" e della elegante Promenade del Anglais, ogni anno vengano organizzati, a circa sei mesi di distanza uno dall'altra, ben due festival cinematografici riflettenti tale complessa tematica. Il primo, quello di primavera, ultimamente conosciuto come In & Out Festival, si tiene in tarda primavera, a giugno. Di quest'ultimo vi abbiamo, Port Cros ed io, già documentato il nostro meglio durante la scorsa edizione.

Ora affrontiamo quest'ultima manifestazione, che vede coinvolta Nizza prima delle altre due città, dall' 8 al 19 ottobre.

Cercheremo di darvi un'indicazione delle pellicole che siamo riusciti a far nostre lungo un week end piuttosto intenso (alcune qui presenti invece fanno parte del programma ma le vidi già in diverse altre manifestazioni, tipo quella torinese (TGLFF - L'altro Festival, una delle più note rassegne al mondo) dell'aprile scorso.

Preciso che il nome, questo Zefestival, nasce come una ironica francesizzazione dell'articolo determinativo inglese “the”, pronunciato vistosamente (e maccheronicamente) come “ze” dai nostri cugini d'oltralpe, grandi maestri nello storpiare ed accentare ogni vocabolo straniero che non riescano a tradurre nella loro bella lingua.

La manifestazione, totalmente autofinanziata e per questo più povera di mezzi del già citato In & Out, si compone quest'anno di ben 6 sezioni: Arty, una pagina culturale con mostre, letture, dibattiti che hanno come epicentro la storica “Librairie Vigna”, specializzata in tematiche gay; Grands Clasiques, sezione in cui vengono riproposti i grandi film a tematica omosessuale (tra questi l'omaggio a Patrice Chereau recentemente scomparso col suo famoso L'homme blessé e Il canto delle sirene della canadese Patrice Rozema; “Happy life” e “Société et Politique”, che racchiudono i film in concorso, tra cui sarà il pubblico a decretare il vincitore, votando una scheda cartacea all'uscita di ogni programmazione; inoltre la sezione “Documentaires” e quella dei “Cortometraqggi”, che si avvale invece di una vera e propria giuria di esperti e professionisti.

 

PRIDE, di Matthew Warchus è il film che ha chiuso, con grande successo di pubblico e critica,  una bella Quinzaine 2014 all'ultimo Festival di Cannes, dove fu  accolto con ovazioni e applausi interminabili dalla sala stracolma.

Lo ZeFestival 2014 inizia proprio dove la Quinzaine ci aveva salutato. Un inizio opportuno, orgoglioso, appunto, e solidale.

locandina

Pride (2014): locandina

 


Pride (2014): Sophie Evans, Andrew Scott, George MacKay, Ben Schnetzer

 

La vicenda di solidarizzazione della comunità gay londinese nei confronti dei minatori delle cave di carbone, minacciati dalle politiche del profitto, della razionalizzazione e di annientamento di tutto ciò che resta al di sotto dei limiti di produttività ritenuti minimi, in barba a preoccuparsi di chi vive e di chi da generazioni sfama la propria famiglia con quel lavoro pericoloso ed insano – poltiche di cui si fece irremovibile promotore il governo Tatcher con il beneplacito delle spregiudicate teorie economiche americane reaganiane, trova in Pride il giusto mix di impegno politico, civico e morale abbinandolo a quello della tolleranza e dell'inevitabile pregiudizio che anche chi riceve un aiuto non può far a meno di provare nei confronti della comunità omosessuale. Temi alti, drammatici e seri sia dal punto di vista economico che da quello civico, dicevamo, ma svolti qui con un occhio per la commedia brillante e ben calata sul periodo (anche musicale) di quegli euforici e spumeggianti anni.  

Ecco dunque che un piccolo gruppo di attivisti parte dal Gay Pride per incontrare nel Galles i promotori dello sciopero dei minatori e devolvere parte dei fondi raccolti a favore della causa che li anima ed occupa ormai da tempo. Ospitati inizialmente in casa di uno degli organizzatori, tra la titubanza e la diffidenza di chi li considera dei facinorosi perversi e pericolosi di contagiare innocenti, i membri del piccolo gruppo sapranno farsi apprezzare con l'umanità e lo spirito di collaborazione che li distingue ed anima.

Il film scorre via veloce e frizzante, merito anche di un cast brillante che comprende il giovane George MacKay (ottimo protagonista del recente "Il superstite"), un Dominic West che, smessi i panni del macho, procura ugualmente dei brividi ormonali alle timide mogli dei minatori con uno spettacolo dance sui tavoli davvero esilarante; e poi nomi illustri come Paddy Considine, Imelda Staunton, e Bill Nighy completano degnamente garantendo classe, humor e spessore recitativo. Qua e là il rischio di toccare una fin troppo facile carineria giocando con le corde emozionali più elementari e "facili" degli spettatori non è sufficiente a renderci tuttavia fastidiosa un'opera che ha il pregio non sempre diffusissimo di farsi anche nel contempo amare ed apprezzare: impegno e divertimento insomma, e gli applausi scroscianti in sala ne sono una precisa e non casuale conferma di riuscita.

Voto ***1/2

 

In REACHING FOR THE MOON ritroviamo il regista di Donna Flor, il brasiliano notissimo Bruno Barreto, alle prese con un biopic sulla celebre scrittrice e poetessa Elizabeth Bishop, premio Pulitzer nel 1956 per la celebre raccolta di poesie North & South. La vicenda si occupa di un preciso periodo della scrittrice, quando all'inizio degli anni '50, in crisi creativa, si recò a trovare un'amica a Rio De Janeiro e ivi incontrò l'amore: per una tenace donna architetto, specializzata in giardini ed opere pubbliche. Con lei l'autrice trovò la passione vera e i presupposti per ritrovare argomentazioni ed ispirazione per tornare a scrivere: ma anche un tormento interiore che la rese sempre piuttosto fragile e combattuta, fino alla decisione, fatale per la sua amante, di tornare negli States ad insegnare presso una prestigiosa università, spezzando un legame che sembrava inossidabile, e compromettendo l'esistenza della sua energica ma vulnerabile amante.

L'interpretazione di Miranda Otto è davvero straordinaria. Peccato che Barreto si limiti a filmare una cornice di paesaggi e ambientazioni impeccabili e mozzafiato in una Rio tutta vedute incantevoli e giardini paradisiaci, come in una rappresentazione oleografica patinata e quindi inevitabilmente artefatta e viziata che smorza, nonostante l'eccezionalità dell'interprete, quei picchi e quei momenti di vitalità che la vicenda avrebbe meritato valorizzare.

Voto **1/2

 

Miranda Otto, Gloria Pires

Reaching for the Moon (2013): Miranda Otto, Gloria Pires

 

52 TYESDAYS di Sophie Hyde porta nel titolo i giorni resi necessari per girare la pellicola, che necessita di tempistiche precise anche per documentare la trasformazione “fisica”, oltre che caratteriale, di una madre di famiglia che decide di divenire uomo, non riuscendo più ad accettarsi con quel fisico opulento e tutt'altro che maschile che la natura le ha regalato.

In 52 martedì la giovane figlia della protagonista documenta il difficile percorso per una metamorfosi che apparentemente viola una legge naturale incontrovertibile, ma che è frutto di una decisione interiore precisa e inequivocabilmente maturata.

In mezzo a questo percorso, forse piuttosto incoerentemente, si affastellano altre storie legate alle prime esperienze sessuali della figlia, coinvolta in un trio amoroso con una coppia di giovani fidanzati. Ne esce un film vitale e probabilmente sincero, ma anche confuso e dispersivo, che non riesce a scegliere una sua precisa strada narrativa e si disperde nel caos di una narrazione decisamente troppo frammentaria e confusa. Peccato perché la passione trapela e le argomentazioni, drammatiche e nobili, facevano presagire risultati più omogenei e definiti.

Voto **1/2

 

Tilda Cobham-Hervey, Del Herbert-Jane

52 Tuesdays (2013): Tilda Cobham-Hervey, Del Herbert-Jane

 

SURPRISE PARTY TURTLE HILL BROOKLYN, di Ryan Gielen, è un piccolo film indipendente che raccolta la “Festa di compleanno per il caro amico Will” un trentenne newyorkese festeggiato dal proprio fidanzato di origini messicane, che gli organizza un party nel grazioso appartamento a piano terra con giardino che i due dividono in una tranquillo e verde quartiere di Brooklyn. Pochi amici, una decina, ma uniti e solidali: coppie gay, etero e single impenitenti, per festeggiare il bel Will, amato da molti, cosciente della propria avvenenza, ma non così tanto da poter pensare che il suo tenero e doce fidanzato non possa averlo tradito con una storia clandestina, che verrà scoperta proprio durante la festa. A complicare la situazione l'arrivo a sorpresa in casa del ragazzo della sorella, ignara della condizione sessuale del protagonista, almeno fino al momento in cui entra, con marito e bambina piccola, in casa del fratello scoprendolo in atteggiamenti affettuosi col fidanzato vestito con un vistoso kilt scozzese.

Un piccolo film, dicevamo, che non può non ricordare, almeno nelle linee guida, il celeberrimo e capostipite di un filone, film di William Friedkin storpiato poco sopra non certo a caso.

Impossibile e crudele raffrontare le due opere: questa davvero piccola e leggera, recitata forse approssimativamente, ma anche viva e vitale in certi momenti di intesa ed affiatamento, in cui il valore dell'amicizia e del gruppo accorrono solidali e potenti a salvaguardia di destini ed equilibri che vacillano.

Voto ***

 

locandina

Turtle Hill, Brooklyn (2011): locandina

 

 

Il programma del secondo giorno festivaliero, prosegue, al cinema Mercury di Place Garibaldi al pari della giornata precedente, con una serie di cortometraggi (8 in tutto), tra cui la sera stessa, al termine della proiezione, viene annunciato il vincitore, giudicato da una giuria appositamente costituita.

 

SEUL ENSEMBLE di Valentine Jolivot, racconta, in 15 minuti, l'innamoramento da parte di un giovane timido ragazzo francese, Lucas, nei confronti di un bellissimo ragazzo argentino Andrea. Tutto bene, almeno fino a quando il primo scopre che l'altro si prostituisce per inviare soldi alla propria famiglia, e nel farlo spesso assume identità femminili, approfittando tra l'altro dell'ambiguità od ambivalenza del proprio nome. Dilemmi di coscienza, drammi legati al fatto che l'argentino si palesa alla famiglia, per giunta in abiti femminili. Un piccolo film che odora d'esordio, e merita rispetto e considerazione, nonostante qualche momento o situazione davvero molto “amatoriali” dove una certa ingenuità tende a soffocare anche le migliori intenzioni.

Voto ***

 

DHE' LELL WORLD di Sirka Christina Capone è un corto livornese folle e pazzerello, con protagonista una pescivendola di nome Carlina, scatenata nel suo intento di partecipare e vincere un'audizione per partecipare ad una produzione televisiva per una produzione in stile The L World.

Delirio, musica e ritmo scatenato in 10 minuti di divertimento a base di cozze (molluschi ma non solo) e voglia di conquista.

Voto ***

 

 

Una scatenata Carlina nel divertente ed esilarante Dhe' Lell World, unico corto italiano in concorso.

 

SEPTIEME CIEL, di Guillaume Foisrest, è il mediometraggio che si è meritatamente aggiudicato il premio per il miglior cortometraggio. In 39 intensi minuti di cinema graffiante e teso, il giovane ed abile regista ci racconta una vicenda di balieue e di presa di coscienza della propria sessualità da parte di un maghrebino di nome Sofiane. Di giorno a bighellonare con i compagni di banda, la sera a derubare nei parcheggi interrati, la notte a vendere il proprio corpo tramite contatti sui siti di incontro gay dove il ragazzo, piuttosto piacente e dall'aria selvaggia del ragazzo di periferia, trova piuttosto facilmente chi è disposto a comprarselo per alcuni momenti di piacere.

Fidanzato con la splendida sorella del suo crudele e violento capo banda, Sofiane maturerà la sua dolorosa scelta dopo incontri segnati anche da pratiche sessuali forti e dall'impronta sadomaso.

Le 7e ciel possiede un grande stile cinematigrafuco, racchiuso nelle atmosfere tetre e incementate di una periferia che è più che mai una giungla di rabbia mal contenuta. Grande personalità registica e uno stile da autore maturo per un film che è a tutti gli effetti un lungometraggio mancato: viene inevitabilmente da chiedersi cosa ne sarebbe stato se certe storie e alcuni personaggi solo abbozzati avessero potuto essere sviscerati con maggiore intensità, magari forti di una produzione più forte in grado di sostenere con convinzione un regista che vogliamo rivedere e pronto a dedicarsi definitivamente a produzioni “in lungo”. Al momento della proclamazione del vincitore da parte della giuria, il regista Guillaume Foisrest, presente in sala, viene presentato e ci parla di questo film, ispirato alla storia di due suoi amici, un francese e un magrebino, e dei suoi prossimi progetti.

VOTO ****

 

 

Il regista di Septième Ciel, Guillaume Foisrest

 

VECINAS della spagnola Eli Navarro, racconta in tono scanzonato la decisione di una coppia lesbica di aggiungere un po' di pepe alla propria relazione, dedicandosi allo scambio di coppia.

Come per magia ecco apparire una dinamica vicina di casa che non aspettava altro se non presentare le due ragazze alla propria fidanzata barista, organizzando un divertente incrocio relazionale.

Premio del pubblico al Festival GLBT di Madrid

VOTO **1/2

 

LADY OF THE NIGHT, di Laurent Boileau su disegni di Attie Albertus, è nientemeno che un inconsueto melodramma a cartoni animati: dopo l'annuale e sempre più mesta cena commemorativa per la morte di Cornelius, l'ormai anziano Samuel trova la forza, una volta congedatisi i parenti, non consapevoli dell'omosessualità dell'uomo e della passione che univa lo stesso al defunto, di ritirarsi nella propria camera e travestirsi da Signora della notte per celebrare ancora una volta il ricordo di una passione che univa i due ragazzi. Disegnato con perizia e frutto di una produzione che denota un certo sforzo produttivo, il film in soli 9 minuti non riesce ad esprimere tutte le sue potenzialità né a chiarire certi discorsi o stati d'animo: ma riesce ciò nonostante a colpire per quella teatralità appassionata che motiva un attaccamento ed un legame spezzato dalle convenzioni e dalla morte, ma ugualmente saldo nei ricordi e nella mente di chi è sopravvissuto.

VOTO ***

 

HA(R)D TO SAY di Mickel Cabaldon ha la particolarità di essere scientemente privo di dialoghi, presentando solo rumori (caotici ma pieni di vita) di sottofondo della metropoli newyorkese. E raccontando dell'incontro e della nascita di una storia d'amore tra un ragazzo di origini orientali ed un altro coetaneo, incontratisi per caso nei pressi di un chiosco tra le strade della Grande Mela.

Tenero, appassionato, leggero e piuttosto originale nella sua scelta di cancellare ogni dialogo, facendocelo immaginare o creare.

VOTO ***

 

 

PETIT COEUR di Uriel Jaouen Zrehen ha ricevuto doversi premi a vari festival europei. In soli sei minuti il film riesce con tenerezza e ironia a raccontare i tentativi di far nascere una storia d'amore, depistati e resi nulli da una disattenzione che risulterà fatale, e riuscirà letteralmente a mandare “in fumo” i presupposti per la nascita di una relazione.

VOTO ***1/2

 

 

 

La sezione “grand classique” sceglie apportunamente di omaggiare il granregista teatrale e cinematografico Patrice Chereau col suo famosissimo e all'epoca “proibitissimo” L'HOMME BLESSE'”, una delle interpretazioni più forti di quell'ottimo affascinante attore che fu Vittorio Mezzogiorno, abch'egli scomparso troppo prematuramente.

Henri,  diciottanni,  una famiglia piccolo borghese che lo soffoca come la carta da parati ridondante che ricopre le mura di casa. Timido, senza esperienze di vita, tantomeno sessuali, il ragazzo scopre per caso, accompagnando la sorella in stazione, che nei pressi delle toelette pubbliche, tutta una variegata specie umana si  muove circospetta e bramosa alla ricerca di piaceri nascosti e proibiti. Attratto irresistibilmente da questo misterioso ambiente, Henri rimane stordito e al contempo affascinato dalla figura di Jean, quarantenne molto attraente che lo bacia in bocca alla prima occasione, ed attirandolo a sé come chissà quante altre decine di ragazzi prima di lui. Da quel momento Henri non pensa più ad altro che a quell'uomo: una carogna se ce n'è una, e che non perde occasione per ingannarlo e tradirlo. Ma la passione che il giovane prova per quel laido sfruttatore non ha prezzo né condizione, ed è l'inizio di un viaggio fisico, sessuale e mentale che scandisce le tappe di una isterica storia d'attrazione e di divinazione che non può che risolversi in tragedia.
Chereau mette in scena, con gli ammiccamenti e la teatralità che ben gli si addicono, la deriva dei sentimenti di un giovane che spende la propria verginità al sevizio di un mercenario approfittatore che lo sfrutta e lo usa con l'inganno e il proprio indiscutibile appeal. "L'uomo che non deve chiedere" vs. il servo obbediente e consenziente, che saprà tuttavia ribaltare i ruoli divenendo da vittima a carnefice. Il piacere dei sensi come ragione di vita contro il tedio e il vuoto della vita quotidiana: temi ora alla base di tutta l'opera dell'austriaco Ulrich Seidl, che trovano in Chereau un coraggioso anticipatore, in un film che non cerca facili consensi, un'opera di cui molti hanno parlato, ma effettivamente vista da pochi. Per questo sicuramente un cult. Jean Hugues Anglade inaugura con questo ruolo uno dei molti personaggi inquieti (e svestiti) della sua interessante carriera, mentre Vittorio Mezzogiorno, carogna laida, infida e traditrice, e' bello, pertinente ed irresistibile come mai fino ad allora, e qui impegnato in uno dei ruoli più significativi ed ambiziosi di tutta una notevole carriera finita davvero troppo presto.

Voto ****

 

locandina

L'homme blessé (1983): locandina

 

Torniamo alla sezione “Happy life” con due film colorati ma molto dIfferenti: l'italiano “Come non detto”, uscito in sala circa due anni orsono, e il tenero tedesco “Ich fuhl mich disco” di Axel Rainisch già visto a Torino nell'ultimo “Da Sodoma a Hollywood” dell'aprile scorso.

 

 

COME NON DETTO

Il dilemma molto in voga (visti i recenti illustri protagonisti delle relative "rivelazioni") del "coming out" e' vissuto qui nei toni leggeri, brillanti fin zuccherosi, ma mai fastidiosi della commedia sofisticata e volenterosa non cosi' scontata o facile da reperire in giro; soprattutto se targata made in Italy, territorio in cui, tra cinepanettoni e "cine-comici-televisivi-faccio-tutto-io", la via per un prodotto leggero ma con qualcosa di serio in sottofondo latita quasi completamente o costituisce merce sempre piu' rara.
E dunque ecco Mattia che, fresco di laurea, si appresta a fuggire da questo paese cosi' piccolo, provinciale (e siamo a Roma, mica in provincia di Imperia!!!) e poco propenso a digerire ogni virata fuori dagli schemi di un machismo che e' ormai solo macchiettismo di una virilita' stantia e goffa, ma che cio' nonostante rimane un caposaldo di cui farsi vanto, sinonimo di tranquilla ordinarieta' di cui farsi forti. 
Non fosse che il coetaneo fidanzato spagnolo del nostro protagonista, convinto con l'inganno che i genitori di quest'ultimo siano informati e consenzienti, si appresta a venire nella capitale per poterli finalmente conoscere: e' panico totale per Mattia, che non sa, non ha mai saputo come affrontare il problema con chiunque, persino con la sorella coatta piena di figli maschi, salvo confidarsi con la sua (unica vera) bella amica del cuore Stefania (...chi ha pane non ha denti...commenta laconico il simpatico e spigliato giovane protagonista).
Una corsa contro il tempo popolata pure di drag-queen folli ma volenterose (in insolito e altrove machissimo Francesco Montanari) si intervalla - piena di imprevisti - e con un utilizzo non sempre felice del flash-back, a situazioni del passato che spiegano i momenti cardine di come e' nato l'amore, di come Mattia piu' volte ha tentato di spiegare ai genitori, gia' in crisi per conto loro, le sue reali propensioni sessuali.
Commedia leggera dunque, a tratti piacevole, interpretata con brio da giovani attori tutti carini, piu' un paio di attori di razza nel ruolo di due genitori un po' matti ma in fondo molto umani; il tutto intervallato qua e la' da personaggi spesso davvero riusciti, come la sorella piu' grande e coattissima del protagonista, patita di crociere, sposata col meccanico detto "pistone" ("ma perche' lo chiamano tutti cosi? chiede la mamma-Guerritore----"un giorno te lo spiego" ribatte rassegnata la figlia, in piena quarta gravidanza alla ricerca della prima sospirata femmina). Certo un finale cosi' sdolcinato e buonista finisce per banalizzare molto il sottofondo tutt'altro che leggero e accomodante che fa da ingrediente di base al piccolo film, un'opera d'esordio che mantiene comunque una sua dignita' cinematografica per nulla scontata.

Voto ***

 

 

 

 

I FEEL LIKE DISCO

In un variopinto palcoscenico sormontato da bizzarre scenografie camp e coloratissime, quelle magiche e surreali di una disco music tedesca anni '70 kitch, straripante e gioiosa che viene in soccorso generosa ad allontanare i crucci ed alleviare i disagi del disadattamento che caratterizzano pressoche' costantemente la vita del nostro protagonista Florian, ci immergiamo a capofitto nella vita di una famiglia tedesca affiatata, ma con evidenti difficolta' a comprendersi e ad accettarsi. Florian e' un adolescente grasso che l'altrettanto obeso padre, un tempo atleta ed ora istruttore di nuoto annoiato e senza veri stimoli, vorrebbe poter allenare nei tuffi al posto dell'atletico e tosto coetaneo rumeno:  vorrebbe quindi un figlio maschio atletico e duro, interessato ai motori, al calcio come lo era ed e' ancora lui, piuttosto che invece intento solo a suonare ed ascoltare certa musica e canzonette kitch e datate e fuori tempo massimo. Meno male per Florian che esiste una mamma comprensiva e solare, che asseconda il figlio nella sua passione e lo coinvolge in appassionate sessioni en travesti a mimare il suo idolo musicale d'altri tempi. Tutto cio' almeno finche' la tragedia non coglie, inaspettata e crudele, padre e figlio quando la madre viene colta da un ictus fulminante e ricoverata in ospedale in coma irreversibile. Inizia da quel momento un goffo ma tenero tentativo di avvicinamento tra un padre solo apparentemente insensibile e certo ruvido, inetto a certe finezze ma volonteroso di cambiare, ed un figlio problematico con difficolta' evidenti di adattamento, oltre che tendenze sessuali sempre piu' esplicitamente omosessuali che lo avvicinano, anima e corpo, al bello e neanche tanto impossibile coetaneo rumeno. 

I feel like disco e' una graziosa, riuscita e tenera commedia surreale ed ironica interpretata da attori irresistibili che riescono a trasmettere, grazie anche alla tenera disarmante ridondanza delle rispettive pinguedini corporali, una umanita' che cattura ed avvince, rendendoci consapevoli, almeno lungo tutta la durata della pellicola, che nella vita le problematiche e le sofferenze si vincono ed allontanano con la tolleranza, il rispetto e la comprensione delle differenti attitudini e la consapevolezza che le forzature tendenti ad uniformare comportamenti e stati mentali sono spesso o quasi sempre solo arbitrarie prese di posizione innaturali, inutili e tiranniche manifestazioni dell'egoismo e delLa prevaricazione del carattere umano dei forti sui piu' deboli e spesso piu' onesti dei primi. Spesso farcito di siparietti musicali irresistibili e surreali, il film si avvale di un cameo divertentissimo del regista Rosa Von Praunheim nella parte di se stesso, dispensatore di consigli utili e pratici rivolti maliziosamente ad un padre forse grossolano, ma certo impegnato con tutta la propria determinazione ad auto-imporsi un'apertura mentale che si rivelera' disarmante e non sempre risolutiva nei confronti di un figlio complessato ed incompreso.

VOTO ***1/2

 

Frithjof Gawenda

 

IN THE FAMILY di Patrick Wang

 

locandina

In the Family (2011): locandina

 

Doppio drammatico scherzo del destino e doppia svolta di vita in questo drammone lunghissimo ma tutto sommato efficace, opera prima del regista ed attore di origini palesemente asiatiche Patrick Wang. Al centro della vicenda un bimbo bellissimo di sei anni, Chip, orfano di madre, morta durante il parto, il cui padre ha scelto di rivelare la propria omosessualità andando a convivere con l'architetto che gli ha progettato la casa. Il bambino finisce dunque per avere due padri, ma la vita domestica sembra procedere nel migliore dei modi, almeno fino a che il padre naturale non viene coinvolto in un incidente stradale mortale, lasciando Chip tra le amorevoli mani del padre “adottivo”, che lo adora, ricambiato. Peccato che la sorella del defunto conservi un testamento, scritto poco dopo la morte della moglie, in cui anni prima il padre naturale disponeva che in caso di sua morte prematura, l'affidamento del bambino andasse proprio alla sorella.

Ne nasce una battaglia legale apparentemente senza una soluzione che possa darla vinta alla ragione del sentimento, ovvero a quella del padre “affettivo”, che viene invece estraniato dal piccolo e tacitato dal tentare ogni contatto col minore.

Un saggio e pacato avvocato in pensione, al cui l'architetto sta svolgendo una riprogettazione della propria abitazione, si offrirà di difendere una causa che si annuncia come persa in partenza: almeno fin tanto che le ragioni della mente, del cuore, e della saggezza non intervengano ad illuminare anche gli atteggiamenti più ostili e poco propensi al confronto.

Wang, come attore non proprio indimenticabile, riesce tuttavia a costruirsi un personaggio che matura e si evolve riuscendo, con saggezza e con la forza e la convinzione del proprio ruolo fondamentale, a sbaragliare animi e coscienze che avrebbero dalla loro ogni appoggio di legge. Senza peraltro eccedere in moralismi o episodi melodrammatici fastidiosi.

Peccato che il film non possa fare a meno di quasi tre ore di svolgimento per arrivare al più giusto compromesso possa immaginarsi nell'interesse del minore.

Probabilmente si tratta di una durata condizionata da una sua distribuzione televisiva, che spiega (ma non giustifica appieno) le ragioni di una costruzione ciclopica che, ameno in parte, attenua la suspence e l'attaccamento alla vicenda basica, annacquandola di particolari che sviano dalla problematica cardine della vicenda, anche con il ricorso a flash-back non troppo sapientemente organizzati, che non fanno che appesantire un contesto inutilmente gonfiato, che al contrario avrebbe bisogno di ritmo e di sintesi.

VOTO ***

 

 

HO SENTITO LE SIRENE CANTARE di Patricia Roxema

 

Camera d'Or al Festival di Cannes 1987 (o comunque vincitore del Premio Opera prima) e manifesto, assieme al quasi coetaneo Cuori nel deserto (in realtà dell'85) del cinema lesbico finalmente dichiarato, “Ho sentito le sirene cantare” era al centro di una certa mia curiosità da tempo (lo ricordo ancora in timida uscita pure in sala qui da noi). Ritrovarlo alle ZeFestival ha costituito il coronamento di questo mio desiderio: anche se, a dirla tutta, un certo senso di delusione non riesco a tenerlo dentro di me.

Le vicende di una tenera, timida lavoratrice interinale appassionata di fotografia, finita a lavorare come segretaria per una avvenente gallerista con neppure troppo celate velleità d'artista nonostante sia una frana con la macchina per scrivere, viene certo raccontata con un espediente narrativo sin complesso (un film nel film in cui la protagonista si riprende in una confessione intima che intervalla la vicenda) e con una naturalezza ed un candore che possono in qualche modo colpire anche a livello di sentimento. Tuttavia il film, visto quasi trent'anni dopo la sua uscita, dimostra più anni di quanti ne conti effettivamente e tradisce una sua smaccata puerilità di fondo nella realizzazione, che contrasta nettamente con le ambizioni di una trama quasi complessa o comunque a dir poco ambiziosa. Polly infatti è un gran personaggio: trentenne candida sino a rasentare la strafottenza, non si ferma davanti allo shock di trovarsi non corrisposta di fronte all'attrazione che ella prova per la propria avvenente datrice di lavoro, ma finisce persino per smascherarne l'autenticità di artista, sino ad una zuffa finale con cui il film sfiora la tragedia.

Chi è veramente Polly? L'angelo della verità, la voce candida della coscienza?

Può essere, ma il film, anche a voler tener conto del suo essere un'opera prima, appare dal punto di vista tecnico inesorabilmente troppo casereccio e posticcio per poter vestire il ruolo di pietra miliare o manifesto di un certo genere di cinema o di causa.

 

VOTO **

 

Ringrazio l'amico Port Cros per gli aiuti indispensabili ottenuti ad impaginare tutto il materiale, minimizzando in tal modo i miei soliti, consueti, incorreggibili pasticci.

 

 

 

 

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