Ciao, Nonno!
“…Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano? Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano... Stongo scetato...dormo,o è fantasia? ”
Non ho mai conosciuto il nonno di mio padre. So, però, che faceva l’attore.
Era una celebrità locale. Nu’ guaglione d’a Sanità ! Ai suoi tempi, Partenope era più piccola, stretta tra le mura greche e la città che nisciuno voleva vedere. Perché, vedete, la Sanità non è neppure una circoscrizione, oggi. Da piccolo, mi faceva paura: pensavo di restarvi soffocato. Eppure, è un modo di essere: Napoli senza mare. Accanto al cimitero delle fontanelle, dove sono visibili ‘e cape ‘e morte, il Tirreno lo si può solo immaginare! E’ ‘na fantasìa!
Avevo sempre considerato il lavoro del nonno scadente. Da snob, nella mia estate lisbonese, mi recai alla cittadella del cinema: vedevo quell’anziano regista preparare meticolosamente la scena. Mi chiamò da parte: mi chiese che facessi lì. Stavo imparando, gli dissi. Cosa?, mi chiese. Balbettai. Parlai del cinema. E della difficoltà di fare un film. Non avevo un soldo, aggiunsi, per finanziarmi. Prese una piccola scatoletta. Me la porse. Non c’è bisogno di nulla, per girare!, disse a voce alta. Riprendi ciò che ti capita, montalo come credi: il film è nella tua testa, non nelle tasche di chi ha il denaro! Mentre parlava, accennò al padre di mio nonno. E ne rimasi colpito: uaa, ‘o nonno, sì arrivato fino qua! E ti conosce perfino de Oliveira! La scatoletta del maestro Manoel era una vecchia Super8 funzionante. Aveva ragione: inutile stare lì. Dovevo filmare ciò che conoscevo. Pare che anche un certo Wenders in crisi d’ispirazione sia sceso con una piccola cinepresa e abbia filmato ciò che gli capitava…a Lisbona! Tornai a casa, uno dei miei ritorni, che precedettero la partenza definitiva: mi mancava l’erba di casa mia...Prima di scendere a riprendere per strada, rividi quel film del nonno: lo avevo sempre detestato. Perché metteva in crisi la famiglia, penso. Quando il pazzariello tornava a casa, mi faceva ‘ncazzare: e mettilo alla porta, ‘sto guappo ‘e cartone! Il film era diretto da quel vecchio marpione, giocatore incallito, illuso ed illudente, napoletano ma nato per caso a Sora, nel frusinate, come si chiamava, De Sica, che sceglieva spesso di fare il conte… I napoletani coltivano la chimera della nobiltà, mah! Come quel giovanotto di diciassette anni, Giovanni Calone, che pè chella sera vulette essere nu’ rre: scelse il nome d’arte di Ranieri. Quando gli chiesero che nome fosse, disse che era il cognome. Ma aggiunse che avrebbe dato il Massimo, quella sera. Suonava bene: Massimo Ranieri.
Non aveva studiato, il nonno. Ma gli addetti ai lavori lo chiamavano “principe”. Solo qualcuno, come quello spilungone di Federico, Antonio. Per tutti gli altri, era Totò. Il nonno di tutti i napoletani…
E rivedendo quell’Oro di Napoli, oggi non so più se recitava facendo il pazzariello oppure ‘o pate ‘e casa. Forse, era tutta ‘na fantasìa… In cuor mio penso di aver sempre saputo che quella fu l’unica volta che non recitò. Uhmmm, e mò come potrei dire ’na fantasìa, in italiano?
Ah, si: un’illusione.
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