Sarà che l'aria di Venezia rende tutto più magico o sarà che in questi si tende a sottovalutare ogni disguido, ma il secondo giorno al Lido dopo l'arrivo si rivela ancora più traumatico della partenza e dell'approdo a Venezia. Per il secondo anno consecutivo, il sottoscritto è arrivato senza bagaglio: causa scalo forzato a Roma Fiumicino e nonostante un ritardo accumulato di quasi due ore all'aeroporto capitolino, i bagagli partiti da Palermo non sono giunti a destinazione. Evito, però, dilamentarmi: dopotutto, memore dell'esperienza dell'anno scorso, ho portato nella borsa da salir sul velivolo cambi per almeno quattro giorni, sperando che bastino.
Bando alle disavventure Alitalia (e poco conta che adesso sia in mano agli arabi), oggi invece io ed EightAndHalf, mio primo compagno di avventura festivaliera, abbiamo fatto i conti con i trasporti notturni della città: di notte, sono occorse quasi due ore per arrivare a casa. Un vero record: lo stesso Ulisse impiegò di meno. Le ore piccole son dunque diventate le tre di notte, dovute soprattutto alla scelta di vedere il più possibile quest'oggi: alle proiezioni di Birdman e The President (qui raccontate) sono seguite quelle di One on One, il nuovo lavoro di Kim Ki-duk (qui l'intervista al regista mentre qui la recensione), di The Look of Silence di Joshua Oppenheimer (straordinario prequel/sequel, qui recensito) di The Act of the Killing e del piacevolmente sorprendente La vita oscena di Renato De Maria, trasposizione dell'omonimo romanzo autobiografico di Aldo Nove qui opinionato.
Mega quad per il Pasolini di Abel Ferrara
Peccato che la serata sia stata tormentata prima da uno sciopero all'altezza della "voragine" accanto al Palazzo del Cinema e dalla presenza alla serata di apertura di personaggi famosi che con il cinema poco ci azzeccano, come direbbe Totò. Qualche nome? Beh, Marina Ripa di Meana con il suo immancabile e bizzoso cappellino e la ciliegina Barbara d'Urso, in astinenza di riflettori. Pubblico, invece, impazzito in serata per il red carpet di Birdman. La più acclamata? Emma Stone. Ovviamente.
Scioperi al Lido
--------------------------------------------------------------------
Tre domande a Joshua Oppenheimer
The Look of Silence è strettamente legato a The Act of Killing? Ci spiega come?
The Act of Killing raccontava le conseguenze che tutti noi affrontiamo quando nella nostra realtà quotidiana ci confrontiamo con il terrorismo e la menzogna. The Look of Silence, invece, esplora come un sopravvissuto viva tale realtà. Realizzare un film sui sopravvissuti di un genocidio comporta camminare su un terreno minato di banalità e luoghi comuni, la cui maggior parte servono a creare un eroico protagonista, quasi un santo, con cui identificarsi, rassicurandoci – falsamente – sul fatto che non si sia noi i responsabili di tali atrocità, ingannandoci. È un insulto all’esperienza dei superstiti e non porta nulla alla loro causa: non si capisce in tal modo come siano sopravvissuti alle atrocità, come abbiano vissuto nella violenza e come siano stati messi a tacere dal terrore. Per muoverci in tale campo minato, abbiamo dovuto per necessità esplorare il silenzio stesso.
Come ci è riuscito?
Con un poema sul silenzio nato dal terrore, con un poema sulla necessità di rompere il silenzio e con il trauma che deriva dalla rottura del silenzio. The Look of Silence è tutto questo. Forse il film è un monumento al silenzio, un modo per ricordare a tutti che il passato non è morto e che la non conoscenza distrugge le vite.
Quando ne ha iniziato la produzione?
Sono stato in Indonesia nel 2001 per realizzare un documentario sugli operai delle piantagioni di palme e sul modo in cui erano organizzati in un momento storico in cui i sindacati erano considerati illegali. Le condizioni di vita che ho trovato erano deplorabili: le donne che vi lavoravano ad esempio erano costrette a spruzzare prodotti chimici pericolosissimo senza alcuna protezione. Il veleno entrava nelle loro vene. Dopo aver ultimato quel documentario sul silenzio delle multinazionali assassine e sul silenzio, decisi che avrei dovuto lavorare sul silenzio che circondava un delitto avvenuto nel 1965. La vittima, un lavoratore delle piantagioni, si chiamava Ramli e il suo nome era usato spesso come sinonimo di assassinio in generale. Ho iniziato a investigare sulla sua morte e la verità che ne è venuta fuori è alla base di The Look of Silence, nato e pensato ancor prima di The Act of Killing.
--------------------------------------------------------------------
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta