A due anni di distanza dal Leone d’Oro vinto con Pietà e a un anno dalla controversa presentazione di Moebius fuori concorso, Kim Ki-duk ritorna al festival di Venezia per presentare, alle Giornate degli Autori, in anteprima mondiale One on One, l’ultima sua fatica uscita recentemente nei cinema coreani. Considerato dalla critica come una delle opere più violente del cineasta, One on One (letteralmente, uno contro l’altro) sarà nelle nostre sale il prossimo 28 agosto, distribuito da Andrea Cirla e dalla Fil Rouge Media.
Partendo dall’assassinio di una studentessa, One on One mette in scena la lotta tra gli autori del delitto e un gruppo terroristico chiamato a individuare gli assassini, tra i Sospetti e le Ombre. Instant movie dal basso budget e dalle tematiche insolite per l’autore, One on One è puro cinema politico, come lo stesso Kim Ki-duk conferma.
Chi è Oh Min-ju, la liceale che viene assassinata all’inizio di One on One?
Prima di realizzare il film, avevo in mente due persone e un incidente. Mentre rivedevo l’opera finita, ho pensato che questa spiegasse ogni cosa e che non avesse bisogno di ulteriori commenti diretti. Volevo raccontare di persone specifiche coinvolte in un caso specifico ma presto mi son reso conto che non avrei dovuto. Ho pensato che il nome stesso dia al pubblico un grande suggerimento e che forse tutti noi abbiamo perso e fatto del male alla Oh Min-ju, il cui nome è traducibile come Oh Democrazia, che è insita in ognuno. Piuttosto che vedere la sequenza di apertura come l’assassinio di una liceale, sarebbe meglio che ci si avvicinasse a problemi simbolici come i danni, la morte e la perdita, arrecati alla democrazia. Allora ogni cosa sarà più chiara da capire.
Quali sono i motivi o le ragioni che lo hanno spinto a realizzare il film in questo momento?
Ho pensato a tutte le persone che, come me, vivono nella Repubblica di Corea e in uno stato di indigestione. Senza per forza voler citare casi particolari, innumerevoli eventi traumatici continuano a turbarci. La corruzione è considerata un’abilità. In mezzo a tutto ciò, mi sono posto delle domande: Chi sono io? Che ruolo sto avendo?
Nelle note di regia, lei stesso arriva a definirsi ‘codardo’.
La nostra società vive tutti i giorni eventi terrificanti. Anch’io faccio parte di questi eventi, grandi o piccoli che siano: si va dalle violazioni al traffico urbano ai casi più radicati di avidità per il denaro, di onore e di potere. Io stesso ne sono testimone ma non ho mai fatto nulla per cambiar le cose.
Nei suoi ultimi film, lei ha cominciato a occuparsi della direzione della fotografia. C’è un motivo particolare? Si sente avvantaggiato come regista?
Ho iniziato a occuparmi anche della fotografia da Pietà in poi. Pietà è stato girato con un altro direttore della fotografia ma il mio interesse per la fotografia è partito da lì. Per Moebius, invece, ho fatto io da direttore della fotografia e ho avuto un assistente al mio fianco.
I motivi? Prima di tutto, tempo e denaro. Non ho mai la certezza che i miei film escano nelle sale e sono costretto a mantenere contenuti e al minimo i costi di produzione. Ho però un grande vantaggio: occupandomi anche della fotografia, non sono costretto a interrompere le emozioni degli attori. Il più delle volte accade che, con un altro direttore della fotografia, per spostare una videocamera e trovare la giusta posizione occorrano 30 minuti: occupandomene io stesso, ci impiego invece un solo minuto. Quindi, evito di interrompere le scene e di conseguenza le emozioni degli attori, catturando al meglio il tutto. Io non so come sarà la fotografia dei miei prossimi film ma sono sicuro che migliorerà: non sono un professionista ed è ovvio che il risultato ancora non mi soddisfi. Tutte le riprese che ho fatto sono state realizzate con una sola camera, ci sono dei problemi di illuminazione ma mi sento giustificato per ogni difetto.
Perché in One on One compare un gruppo terroristico chiamato The Shadows, le Ombre?
Nella società coreana esistono classi ben definite. Indipendentemente dai posti di lavoro che uno occupa, dalla rispettabilità o dal potere che uno ha, noi coreani non pensiamo di essere felici. Se uno crede che la felicità sia avere una bella casa o un sacco di soldi, si sbaglia. Io credo che la felicità consista del non avere nemici nel proprio spazio vitale. In tal senso, la nostra società ha raggiunto un grado talmente alto di ostilità e rabbia latente, che è pronta ormai a esplodere.
Cosa suggerisce sul finale il fatto che il ‘Sospetto 1’ uccida l’ ‘Ombra 7’?
Non è il finale che avrei voluto. Dimostra solo il modo in cui funziona la nostra società. Nonostante le Ombre volessero cambiare il mondo, lasciano uno dopo l’altro il gruppo e alla fine non ottengono lo scopo desiderato, quella società di eguaglianza che volevano. Le loro miserabili esistenze sono molto simili a quelle di noi che cercano di adattarsi al presente. Forse l’ ‘Ombra 7’ è un eroe che si era fatto avanti per cambiare la nostra realtà ma non ci è riuscito perché noi abbiamo rinunciato a lottare e non lo abbiamo aiutato.
Perché le Ombre indossano finte uniformi?
Storicamente, noi coreani abbiamo sofferto varie forme di potere. In One on One, le Ombre indossano varie uniformi e rapiscono coloro che sono al potere. Si travestono anche da gangster, che nella nostra società sono come uomini di potere che infliggono dolore e sofferenza. Le Ombre cercano di ottenere dalle figure di potere rapite una confessione per un crimine che hanno commesso. Nonostante sia tristemente ironico, volevo mostrare a chi ha il potere a chi esso realmente appartiene e come dovrebbe essere usato. Credo che ogni scena possa essere interpretata in diversi modi da chi guarda in base alla posizione che occupa.
Per One on One, ha lavorato con molti più attori rispetto ai suoi precedenti film. Com’è stato? Quale è la cosa più importante per lei mentre gira?
Il marketing coreano ha descritto One on One come il ‘blockbuster del regista Kim Ki-duk’. Mi sono chiesto perché avessero usato tale definizione e, dopo aver rivisto il film, l’ho capito. Considerando il budget a disposizione, abbiamo cambiato set 7 volte e ci sono 14 attori in scena: per un mio film, rappresentano una novità assoluta.
In termini di regia, mi sono concentrato soprattutto sulle sette trasformazioni. Le truppe di comando, i gangster e così via, sono le immagini di coloro che ci hanno oppressi. Volevo che fossero presenti e che la gente comune indossasse le uniformi, volevo ribaltare i ruoli e volevo ironicamente vedere loro prima rapiti e poi interrogati. L’ironia è la chiave giusta per apprezzare l’opera e ho desiderato concentrarmi soprattutto sulla recitazione degli attori, sulle trasformazioni e i cambi di set e sui costumi. Sul set, ognuno ha fatto del suo meglio con i pochi soldi a disposizione che si avevano. Abbiamo girato in soli dieci giorni ma abbiamo avuto anche il tempo di riposare e dormire. Il mio solo rammarico è quello di non aver dato molto più tempo agli attori per prepararsi ed esprimersi al meglio.
Perché alla fine si chiede ‘Chi sono io’?
Tutti i 14 personaggi del film rivelano i loro pensieri. Esprimono il loro essere e le loro diverse convinzioni e non giudico cosa sia giusto o sbagliato. Con quella domanda, voglio solo chiedere quanto di me può essere identificato con le 7 ombre e con i 7 sospetti. Possiamo essere tutti colpevoli e vittime al tempo stesso. Forse la domanda potrebbe essere utile a tutti per capire che ruolo stanno esercitando o vivendo nel contesto attuale.
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