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PARDO NEWS 2014: Un festival sotto la pioggia, in una Locarno allegra e vezzosa, avvolta sotto un mantello felino giallo e nero e soffocata di gadgets. E il film del cuore esiste? arriverà? Pochi palpiti ed emozioni controllate fino ad ora....
di alan smithee ultimo aggiornamento
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Buzzard (2014): locandina

 
In un clima pressoché autunnale che il vicino lussureggiante lago rende ancor piu' laconico e melanconico, ma che poco ostacola chi, come noi, non ha tempo per perdersi nei sentimenti, ma trascorre le giornate festivaliere prevalentemente in sala, con la sua media costante di 5/6 films da seguire, inseguire e programmare durante le sempre troppo poche ore disponibili, prosegue il nostro fantastico tour de force cinefilo. Ci aggiriamo tra Piazza Grande e il Casino', attorniati da una costante tappezzeria giallo nera di stampo felino che tutto avvolge: da gadgets a volte anche utili come mantelline e ombrelli che contribuiscono a proteggerci dalle piogge frequenti e improvvise che ci affliggono senza preavviso alcuno.
 

 

 

 
 

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L'abri (2014): locandina

 
Il film di questa mattina, in Concorso, è lo svizzero L'ABRI, ovvero Il rifugio, del regista originario marocchino Fernand Mergar. Sotto forma di documentario che tuttavia non esclude, almeno apparentemente, un certo canovaccio di recitazione o quanto meno di sceneggiatura da "suggerire" ai suoi interpreti "veri", la buona pellicola di Melgar, non nuovo a lavori riflettentisi sulle problematiche umanitarie e sociali, si concentra su un centro di accoglienza alle porte di Losanna, nel dipartimento francese.
In un sotterraneo una associazione umanitaria si fa carico di gestire una struttura essenziale, tutta camerate e luci fredde al neon, che possa dare accoglienza ad emigrati e senza fissa dimora, al prezzo di 5 franchi. Il problema è che questo ricovero, capiente di circa 100 posti letto, non puo' ospitarne ogni notte piu' di 50 a causa di problematiche di sicurezza imposte inflessibilmente dall'alto. Per questo motivo i guardiani del "rifugio" ogni sera sono sottoposti al poco piacevole compito di scegliere, tra la folla di aspiranti fruitori, il gruppo eletto di coloro che potrà ripararsi dai freddi inverni svizzeri. Anziani, donne e bambini ovviamente detengono la precedenza, ma poi per chi resta la scelta è davvero dura, ingiusta e forzosa, disumana e senza un giusto o meritato criterio. Turbamenti di coscienza che si sommano a problematiche organizzative e alla inflessibilità di una organizzazione lodevole, ma che soccombe dinanzi alla burocrazia inevitabile e sfiancante, demoralizzante e controproduttiva, specie quando si hanno in ballo esistenze umane appese ad un filo sempre piu' tenue di speranza e di riscatto. Una sceneggiatura che è solo una sottile traccia, un suggerimento, consente agli "attori di strada" di recitare se stessi nella drammaticità delle singole storie che compongono un mosaico che è una odissea ormai senza precedenti.
VOTO ***1/2
 
 
CURE - THE LIFE OF ANOTHER, è una coproduzione svizzero/croata/bosniaca della giovane regista Andra Staka, premiata proprio a Locarno nel 2006 per il suo lungo d'esordio Das Fraulen. Cure, in Concorso per il Pardo d'oro, è senza dubbio un film molto ambizioso, quasi un thriller della doppia personalità, ambientato in un preciso e drammatico contesto temporale che coincide con la fine del conflitto civile nei Balcani, quando la popolazione cominciava a riprendere possesso dei propri territori e a cercare di ricominciare una esistenza che non escludesse la condivisione di due popoli molto o troppo vicini. In questo senso Linda ritorna in Crioazia, nel 1993, e fa amicizia con la più aperta e smaliziata Eta, che la porta a visitare una boscaglia vietata ai civili perchè assediata da materiale bellico inesploso. Dopo essersi confrontare su argomenti ed esperienze sessuali reciproche, tra le due nasce un diverbio che sostituisce bruscamente l'attrazione anche sessuale che le due condividono reciprocamente.
Una rupe sul mare, un gesto brusco, e una delle due finisce per sfracellarsi tra le rocce. E' Eta, la piu' libertina ed aperta, quella che si era presa il compito di aprire la mente (ed il corpo) dell'amica piu' ingenua e timida. Per Linda, quella solitudine improvvisa sarà la leva che la farà ricongiungere all'amica defunta appropriandosi dell'identità dell'amica: frequentando la sua famiglia, le persone che la conoscevano, la apprezzavano o la tolleravano a stento; e tutto cio' senza rinunciare a restare, almeno ogni tanto, la Linda di sempre, quella più riservata e timida.
Un filo conduttore che sarebbe piaciuto a De Palma, il maestro assoluto delle doppie personalità straripanti, malate o deviate - consente al film di toccare momenti anche suggestivi ed interessanti, soprattutto se considerati in un contesto civile post-bellico che ancora resta nella memoria. 
Ma Cure si perde anche un po' in simbolismi puerili ed inquietudini dozzinali, che non riescono nettamente a trapelare, rimanendo un film piu' ambizioso che realmente riuscito; d'atmosfera pièù che di sostanza, deludendo le buone aspettative che il valido incipit regala e poi disperde nel prosieguo spesso solo farraginiso e tormentato.
VOTO **1/2
 
 
Prima di Cure la nostra fame di cinema ci spinge proprio dietro Piazza Grande, al cinema Ex-Rex, una bella e comoda sala dove ogni giorno ha luogo l'interessante retrospettiva dedicata ai gioielli della Titanus di Goffredo Lombardi. Oggi è il giorno di Valerio Zurlini, gran regista troppo spesso immeritatamente in disparte, che grazie alla celebre casa di produzione ha trovato modo di esplicitare ben quattro tra le sue opere pièù note ed apprezzate. Oggi è il giorno de La ragazza con la valigia, datato 1961, presentato in sala in una rarissima versione originale in francese, purtroppo non in ottime condizioni, ma con voci in originale in francese (la Cardinale nella versione diffusa ovunque, non solo in Italia, verrà doppiata da Adriana Asti, in modo esemplare ma perdendo, a causa di ciò, molto della propria impostazione originale). Motivo per cui questa versione diviene una occasione forse unica per apprezzare un gran film girato in Italia, da un regista italiano, prodotto da una casa italiana, ma con fondi soprattutto francesi, e scritto e recitato da attori francesi (jacques Perrin) o filo francesi (la Cardinale è metà francese per via delle proprie origini nord africane da parte di madre), e da un gruppo di notevoli caratteristi o grandi attori italiani in via di affermazione (Romolo Valli esemplare nel ruolo dell'insegnante-prete, ma pure Gian Maria Volontè in un cameo nervoso ed esagitato, o Riccardo Garrone nei panni di un facoltoso latin lover). Una storia di seduzione nell'estate italiana di un'epoca piena di speranze e di voglia di crescere, di entusiasmo e di desiderio di emanciparsi. La bella Aida rimane vittima di un gigolo' che la abbandona per strada con una enorme valigia. Alla ricerca del fellone, la bellissima ragazza si imbatte nelgiovane fratello, timido ma onesto, figlio ereditiere di una fortuna eccezionale che prova dapprima i sensi di colpa per la scelleratezza di un fratello vuoto e sconsiderato, e poi finisce per innamorarsi perdutamente di quello splendido bocciolo di donna. Claudia Cardinale buca lo schermo con la sua femminilità prorompente che non rinuncia a mostrare un suo carattere ed un orgoglio, ed una grinta scalfiti solo dall'attaccamento materno che si scoprirà caratterizzare la sua relazione col giovane ed ingenuo Marcello. Al film fa seguito un interessante incontro col cineasta e critico francese Jean Douchet e con la vedova francese del regista Zurlini, che da decenni cura personalmente le retrospettive sulle opere del marito.
VOTO ****
 
 
Purtroppo non possiamo intrattenerci piu' di tanto perchè i nostri impegni ci chiamano altrove, verso nuovi paesi e cinematografie poco esplorate, come quelle malesi di LELAKI HARAPAN DUNIA, presentato anche col titolo internazionale più accessibile di "Men who save the world". 
Incluso nella sezione Cineasti del presente, Men who save the world è un film del regista trentacinquenne di Kuala Lumpur Liew Seng Tat ed è una commedia bizzarra, ironica ma anche semi-seria, che ci immerge in una impresa avveniristica tra la vegetazione lussureggiante di una foresta tropicale che non fatichiamo a ritenere coerente col paesaggio malese. Un anziano ma energico uomo di nome Pak Awang ritiene di fare cosa gradita per il matrimonio della figlia, nel voler letteralmente sposatare fisicamente una sua singolare costruzione posta in mezzo alla foresta, una sorta di palafitta vecchia ma con ancora presenti le tracce lontane di una certa ricercatezza di costruzione, per "appoggiarla" in un terreno piu' consono alla vita di tutti i giorni e piu' prossimo al centro abitato. Per fare questo l'uomo ingaggia un buon numero di manodopera, non sapendo che molti di loro, che soprannominano quella costruzione di tipo americano "la casa bianca", sono convinti che dentro vi viva un fantasma maligno che puo' arrecare loro e alle rispettive famiglie delle minacce concrete e letali. Quando poi un nero fuggiasco, nello scappare inseguito dalla polizia, trova rifugio provvisorio ma efficace in quella casa in corso di trasferimento, la presenza palpabile del mostro nero, si riterrà più concreta e minacciosa da parte della stolta manovalanza, in un crescendo di atti di panico che porteranno ad una soluzione finale classica di ogni civiiltà aggrappata alle più stolte ed irragionevoli paure. Un film che ricorda imprese titaniche alla Fitzcarraldo, ma che presto devia più banalmente nella commedia di costume e risulta interessante piü per la sua provenienza geografica insolita, che per il suo sviluppo, un po' scontato e prevedibile: stile che tuttavia non rinuncia comunicare una amarezza di fondo che si appiccica contagiosa addosso allo spettatore, e che nasce dalla stupidità e dalla pochezza dell'essere umano, abile a distruggere tutto cio' che di buono puo' esserci in nome di falsi miti o superstizioni irrinunciabili.
VOTO ***
 
 
Sempre nella sezione Cineasti del Presente, lo statunitense Joel Potrykus torna a Locarno per completare la sua Animal Trilogy, incentrata su personaggi bizzarri, prepotenti, approffittatori e impuniti, e che fa seguito al corto Coyote e all'esordio nel lungo rappresentato da Ape. Il film è lo scorretto, sporco ma godibilissimo BUZZARD.
La storia è quella di un viscido ma inevitabilmente divertente sfruttatore di nome Marty, assunto in banca con un contratto temporaneo e per questo indotto a cercare di truffare la multinazionale che lo ha assunto con sotterfugi e furberie che lo vedono inizialmente vincitore, ma che portano in breve tempo in un baratro apparentemente senza ritorno. Un viaggio da incubo nei meandri di una mente sporca e volgare, di un impunito baciato dalla fortuna, la stessa che, immeritata, giungerà a salvarlo proprio quanto tutto sembrerà volto alla soluzione piu' nera e scontata. Cinema indipendente americano che ricorda le follie ordinarie di Todd Solonds, in cui il regista (e pure interprete del suo peggior rivale/collega, maldestro e maligno, collaboratore-spia per opportunismo) Joel Potrykus ci porta dritto dritto nelle strade della degenerazione vicine alla follia più deragliante. Marty è uno scansafatiche senza alcuna indole che ama le unghie affilate di Freddy Kruger, ma non ha il coraggio di affilarle fino in fondo perché è un codardo ed agisce solo quando l'istinto animale gli ordina di difendersi. Assegni truffati a pensionati irraggiungibili diventano il sogno, il miraggio per divenire grandi, anche se poi i sogni di gloria non riescono nemmeno a persuadere il suo folle protagonista dell'inutilità delle sue truffe, cosi' follemente elaborate per beneficiare di somme davvero irrisorie e contando sulla leggerezza, la disinformazione e l'ingenuità latenti, che sono a tutti gli effetti solo il banale e vuoto biglietto di presentazione del superficiale Marty. 
VOTO ***1/2
 

Artem Bystrov

The Fool (2014): Artem Bystrov

 
Concludiamo anche questa quarta giornata con un bel film russo,  DURAK (The fool), della sezione Concorso Internazionale, tra i migliori visti fino ad ora nella rassegna principale.
Durak significa pazzo, ed è quello che alla fine penseranno in molti a proposito dello scrupoloso protagonista di questa drammatica vicenda: Dima è un giovane ed operoso idraulico di una piccola cittadina russa. Quando una notte, dopo una ricorrente lite familiare in un palazzone fatiscente abitato da 800 anime, scoppia una tubatura dell'acqua, lesionando gravemente la struttura dell'immenso immbile, per l'uomo non c'e' alcun dubbio: il palazzo sta crollando e va evacuato. Avverte tutto il consiglio comunale che, accertatosi dei danni e dei segni evidenti di un collasso imminente, si riunisce d'urgenza per verificare le possibilità di una evacuazione in pieno inverno, nel cuore della notte. La tenace sindaco donna della cittadina tenterà invano di sbrigliarsi dalle maglie di una burocrazia imestricabile, ricevendo solo risposte negative. La soluzione sarà sporca, sporchissima, intrisa di sangue e il nostro eroe verrà scambiato per un folle millantatore anche da parte di coloro per cui si stava battendo con tutte le energie, perdendo la fiducia anche da parte della propria famiglia.
Recitato con vitalità e accenti melodrammatici ed esaltati da un gruppo di attori davvero convincenti, Durak è uno dei migliori e potenti film visti fino ad ora. Bella la fotografia, la descrizione delle famiglie, del calore, della vivacità, della grinta e del furore che anima i rapporti familiari, con verità inespresse e acuminate che saltano fuori di colpo quando problemi ancora piu' gravi finiscono per infuocare la notte decisiva, quella del giudizio finale, della fuga, della mancata riconoscenza. Un altro messia inascoltato e deriso, linciato, allontanato, un'altra massa di umanità stolta e fragile, corrotta e invischiata nell'immondizia da cui cerca invano di liberarsi sulla pelle di chi gli sta accanto.
VOTO ****
 
  
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