Massimo Mariani
Musicista, compositore, produttore musicale, sound engineer, sound designer, insegnante. Questo è quello che potrebbe essere indicato alla voce “professione” nella carta d’identità di Massimo Mariani, milanese di nascita cresciuto con la musica nel sangue. Diplomato in composizione al Conservatorio Verdi, sin da ragazzino suona la chitarra da autodidatta per poi specializzarsi con il tempo in musica per prodotti audiovisivi. Pubblicità, televisione, documentari e film passano dalle sue mani o, per meglio, dalle sue orecchie prima di arrivare al pubblico e colpire in battere e levare con i loro suoni, le loro musiche e, persino, i loro rumori. Del resto, non occorre ricordare come siano le musiche a lasciarci impresse le immagini di un film: quante volte le fischiettiamo in maniera quasi inconscia? Quante volte basta una nota udita per caso per farci ricordare intere sequenze? E quante volte ci chiediamo perché sia stata scelta quella melodia piuttosto che un’altra?
Felice di un lungo sodalizio con il maestro Giovanni Venosta, Mariani ha al suo attivo diverse collaborazioni cinematografiche: da Silvio Soldini a Roberto Faenza, da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti a Marina Spada e Piergiorgio Gay. Premiato per la sua attività con prestigiosi riconoscimenti (tra cui il Government of Canada Award, assegnato dal governo canadese), insegna e tramanda le sue conoscenze agli studenti del corso di Musica per l’Immagine di Milano Civica Scuola di Musica, di cui coordina l'Istituto di Ricerca Musicale (IRMus), oltre che continuare a collaborare con lo Studio Barzan, che fornisce servizi di altissima qualità sia a livello tecnico professionale sia artistico in campo di produzione e post-produzione musicale (diversi i musicisti e i cantanti che hanno scelto lo studio per le registrazioni dei loro lavori, da Antonella Ruggiero ad Anna Oxa, passando per Loredana Bertè, Patty Pravo, Frankie Hi-NRG e Morgan).
Massimo, iniziamo dalla cosa più semplice: quale è il tuo lavoro e di cosa ti occupi?
Mi occupo genericamente della post-produzione audio per prodotti audiovisivi: cinema, televisione, documentari e via dicendo. Ho un ruolo doppio perché mi occupo anche di produzioni musicali per il cinema. Da un lato lavoro al montaggio dei suoni e dei dialoghi, mentre dall’altro lato curo la produzione di musica a livello tecnico-creativo. Il produttore musicale in ambito cinematografico è colui che aiuta il compositore a realizzare al meglio la sua colonna sonora. Essendo un compositore io stesso, spesso capita che combacino sia il ruolo di compositore sia quello di produttore. Quindi, ricapitolando in maniera più sintetica: montaggio dei suoni, produzione musicale e composizione musicale, sono i campi in cui mi muovo più frequentemente negli ultimi anni.
Collabori sempre con lo Studio Barzan?
Si, da una decina d’anni collaboro con il maestro Stefano Barzan, con cui ci si occupa anche di musica in senso stretto. Condividiamo lo stesso studio ma lavoriamo in due spazi diversi: per il mio lavoro di postproduzione audio e di mixaggio multicanale in 5.1 (lo standard per l’audio cinema) ho bisogno di tecnologie molto differenti da quelle per la registrazione musicale, per la produzione e per gli arrangiamenti.
Quando inizi a lavorare?
Il mio primo lavoro in studio risale al periodo tra il 1988 e il 1989 e da allora ho potuto testimoniare in prima persona tutti i cambiamenti apportati dalla tecnologia. Questa è una professione che si sviluppa e cambia in continuazione per tanti versi. Dagli anni Novanta, comunque, ho sempre avuto uno studio mio o con cui collaborare, diversificando spesso i settori: ci sono stati periodi in cui si lavorava più con la pubblicità, esempio. Dal 1993-1994 ho iniziato a collaborare in maniera massiccia con Giovanni Venosta, compositore di moltissimi film di Silvio Soldini e di tanti altri. È nato con lui un sodalizio che ormai dura da molti anni, durante i quali l’ho seguito come produttore anche a livello tecnico-organizzativo. E all’incontro con Venosta devo il percorso che mi ha portato più verso il cinema piuttosto che verso la discografia, cominciando a fare musica più per i film che per i dischi e portandomi dentro a un mondo di tecniche e tecnologie diverse da quelle discografiche. Nel 2003 ho poi vinto una borsa di studio del governo canadese, che si chiama Government of Canada Award, per meriti artistici legati alla tecnologia: grazie a questa, sono stato molti mesi a Vancouver per un progetto di ricerca sull’audio multicanale, un corso che m’interessava molto perché ovviamente aveva a che fare con il cinema e con quello che stavo già facendo.
Eppure Imdb, la nostra bibbia cinematografica, mi dice che hai iniziato già nel 1975…
È una grande cavolata. Non è vero: si tratta di informazioni sbagliate che ho cercato diverse volte di far rimuovere. Mi sarebbe piaciuto far quell’esperienza ma ero troppo giovane: nel 1975 avevo appena 15 anni. Credo si tratti di un caso di omonimia ma, nonostante le comunicazioni, Imdb non sente: a questo punto lo lasciamo anche credere.
Quale è stato invece il tuo percorso di studi per arrivare a dove sei oggi?
Io mi sono diplomato in composizione al Conservatorio di Milano. I miei studi sono stati strettamente musicali ma ho sempre avuto interesse per la tecnologia tanto da frequentare una scuola per tecnologie audio, diplomandomi in sound engineering al SAE, un istituto che esisteva solo a Londra prima di aprire una sede a Milano. Nonostante non fosse ancora il mio lavoro, ho frequentato diversi workshop e corsi dedicati alla tecnologia, tanto che nel tempo si sono mischiate le competenze da compositore con quelle da tecnico del suono. A quel punto curare la produzione musicale con competenze tecniche è diventato molto utile.
Ti ricordi ancora il primo film a cui hai lavorato?
Il primo film decisivo per me è stato Pane e tulipani di Silvio Soldini, dove ho avuto un ruolo importante sia a livello tecnico sia a livello produttivo. Ho prodotto la colonna sonora per Giovanni Venosta e lo considero il mio battesimo per una produzione grande e portata in sala da un distributore vero, oltre che nei vari Festival. Fino a quel momento mi ero occupato di musica e registrazioni musicali ma non per il cinema.
In Pane e tulipani hai anche un piccolo cameo: sei Max Tuscolano.
Si, è una cosa che cerco di tener nascosta ma alla fine emerge sempre. È nato in maniera divertente su richiesta di Silvio, per impersonare uno dei membri della band di Don Backy. Pensavo solo di suonare e invece mi hanno truccato, tagliato barba e capelli e conciato con occhiali da sole, anelli e camicia hawaiana. Abbiamo riso molto.
Questo è indice di una grande complicità con Soldini.
Assolutamente. Silvio è un amico con cui ci si vede spesso anche fuori dal lavoro. Ho appena finito il mixaggio del suono del suo documentario Un albero indiano, andato al Festival di Taormina, una sorta di proseguimento di Per altri occhi.
Vedendo la tua filmografia, mi colpisce come ci sia un’alternanza di progetti grossi e lavori indipendenti.
Non mi lascio limitare dai grossi budget a disposizione. Mi piace, avendone tempo e possibilità, dedicarmi a progetti indipendenti che attirino la mia attenzione. In questo periodo, ne sto seguendo parecchi e mi piace collaborarvi se li trovo interessanti. I documentari ad esempio mi affascinano molto a livello creativo: l’anno scorso mi sono dedicato a Il segreto, un documentario sui ragazzini napoletani che rubano gli alberi di Natale dopo Capodanno, un film a basso budget ma molto interessante da un punto di vista della storia e del lavoro da fare. Sono quelle produzioni che io definisco “militanti”, in cui ognuno cerca di fare del suo meglio con i pochi mezzi finanziari a disposizione seguendo la propria passione.
Nel tuo lavoro credo che sia importante la sintonia che si crea con i registi, penso ad esempio a Materia Oscura di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, un lavoro impossibile se non si è in linea con l’ottica dei filmaker. Come ci si organizza a livello pratico? Ci si incontra prima della lavorazione del film e ci si mette d’accordo? O il suono e le musiche vengono dopo il girato?
Con Martina e Massimo abbiamo un rapporto di amicizia e di collaborazione molto lungo. Dei loro lavori, si comincia a parlare quando ancora sono idee e progetti sul nascere: loro fanno tutto da soli – scrivono, dirigono, filmano e montano le loro opere senza aiuti esterni - e posso dire di essere il loro unico collaboratore, chiamato a occuparmi del montaggio sonoro e delle musiche. Con loro ci si vede dall’inizio, si parla molto, ci si scambia consigli e si ragiona insieme. Si tratta però di un caso anomalo e particolare. Non è così con tutti.
Immagino. So per certo che spesso sia un po’ più complicato. Ad esempio, ci sono lavori che hai iniziato e che non hanno mai visto la luce, come nel caso di I baci mai dati di Roberta Torre.
Esatto. In quel caso è stato molto complesso capirsi ed entrare in sintonia, anche a causa di fattori contingenti. Per quel film, la Cam (casa di edizione musicale, diventata adesso Sugar Music srl) ha commissionato la colonna sonora a Giovanni Venosta e la produzione musicale a me. Abbiamo iniziato a lavorare su del montato, che aveva già dei brief, ovvero delle musiche appoggiate in montaggio, a cui ispirarci. Il lavoro è stato molto interessante ma, causa anche la distanza, infruttuoso. Quando si lavora a delle musiche, occorrerebbe essere vicini al regista e confrontarsi: io e Giovanni eravamo a Milano mentre Roberta era a Roma. Avevamo fatto anche delle cose interessanti ma non ci siamo capiti. Succede.
Hai collaborato anche alle musiche di Il caso dell’infedele Klara di Roberto Faenza.
Si, sempre da produttore musicale per la colonna sonora di Giovanni Venosta.
Te lo chiedo per capire meglio cosa succede quando vieni chiamato da un regista con cui non puoi confrontarti direttamente sin dalla nascita del film.
Di solito, si è chiamati a lavorare su del montato o del premontato. Si possono verificare due casi: a) durante il montaggio, si mettono delle musiche da cui prendere “ispirazione”, come nel caso di I baci mai dati; b) si danno delle suggestioni e si chiedono dei provini. I provini si fanno con attrezzature elettroniche - non si ricorre ancora all’esecuzione vera e propria con i musicisti e l’orchestra – e vengono inviati al regista, ridiscussi e rielaborati fino a quando non si trova la chiave giusta. Si consegnano dei brani “grezzi” su cui lavorare nel caso in cui vadano bene. Se non vanno bene, ovviamente si riparte da capo e si ricomincia tutta la trafila, con altri provini. La finalizzazione vera avviene dopo che il regista ha approvato i provini e solo allora si chiamano i musicisti, si registra, si mixa e si eseguono tutte le fasi successive.
E nel caso in cui si lavora su un prodotto che ha già in sé molta “musica”? Penso ad esempio a Niente paura, il documentario di Piergiorgio Gay su Ligabue.
Per Niente paura mi sono occupato di montaggio del suono e di mix. Mi sono sentito qualche volta con il fonico di Ligabue dal momento che c’erano da rispettare scelte del suono e scelte artistiche. È chiaro che per un prodotto cinematografico il suono va ritoccato ma bisogna sempre far approvare al musicista il risultato. Il montaggio sonoro implica che si facciano scelte sul dove entra la musica, sul come entra, sulla coesistenza tra musica e rumori, sugli eventuali dialoghi: tutti aspetti creativi che esulano dall’assemblaggio di suoni e che prevedono scelte artistiche.
Lavori anche con molti suoni che vengono dalla presa diretta. Come ci si comporta?
I suoni della presa diretta in un film sono ormai importantissimi ma contemporaneamente sono solo il 50% dei suoni che poi si sentono sullo schermo. La presa diretta è fondamentale ma per il linguaggio del film e per la sua stessa riuscita occorre arricchire i suoni lavorandoci sopra, registrando effetti extra e aggiungendo molta roba. Capita che si vada a registrare di nuovo cose che non sono sufficienti: ad esempio, in Materia Oscura la presa diretta offriva molto poco ma come potete sentire il film è molto ricco di suoni. Grande aiuto viene anche dai fonici della presa diretta, che portano molti suoni registrati in loco da loro e che si tratta poi di montare.
Mi accennavi prima ai grandi cambiamenti tecnologici a cui il tuo lavoro è andato incontro. Come si è evoluto nel tempo?
Negli ultimi vent’anni, grazie alla tecnologia e ai suoi passi, è diventato sempre più possibile autogestire anche delle produzioni molto grosse. Mentre prima in uno studio di dimensioni medie potevi lavorare fino a un certo punto e cercare poi strutture più grandi e sostenere costi elevati, adesso si riesce a gestire quasi tutto in uno studio di dimensioni ragionevoli. Per dire, i mixaggi in surround o in 5.1 li ho finalizzati quasi tutti nel mio studio, non certo gigantesco. Grazie all’evoluzione della tecnologia, è ora possibile controllare fino alla fine ogni prodotto, pronto poi per la verifica nelle sale mix o nei cinema.
Alla tua attività di compositore, produttore e montatore del suono, affianchi anche un lavoro più accademico: insegni.
Insegno da molti anni alle scuole civiche sia di cinema sia di musica. Coordino anche un istituto di ricerca musicale che si occupa proprio di tecnologie audio applicate a vari settori. L’insegnamento è qualcosa che ho sempre accettato ogni volta che ne ho avuto l’occasione: ritengo che sia fondamentale condividere il know how e cercare di “tramandare” ciò che si impara sul campo con l’ottica che possa migliorare la qualità dei prodotti finali, di cui anch’io sono un fruitore. Non mi piace tenere segreti: distribuisco tutto ciò che io stesso so e ho imparato.
Quale è la lezione fondamentale che cerchi di impartire a tuoi studenti?
Non si può fare nessun ragionamento creativo, sincero e sereno, se non si sono tolte di mezzo alcune questioni tecniche. Un tecnico che si occupa di tecnologia e che usa la tecnologia per fini creativi deve per prima cosa risolvere i problemi tecnici di base: deve conoscere i software da usare, conoscere un po’ di acustica per quanto serve e capire la psicoacustica come lavora su certe cose. Quello che cerco di far io nelle scuole è proprio quello di togliere i problemi tecnici all’inizio in modo molto approfondito per poi cominciare a parlare di “linguaggio” e “produzione” in modo serio. Nelle scuole in cui insegno, inoltre, è possibile lavorare molto di pratica, realizzando cortometraggi o documentari, per cui ci si muove in gruppo – proprio come succede nel mondo cinematografico reale -, si lavora in presa diretta e ci si dedica alla postproduzione.
Pensavi da piccolo di fare questo lavoro?
A dir la verità, no. Il montaggio del suono allora non sapevo neanche cosa fosse. La passione per la musica però mi accompagna sin da ragazzino, da quando a otto anni da autodidatta ho iniziato a suonare la chitarra. Ho suonato tanto nei locali: nasco dalla musica rock e blues per poi dedicarmi alla musica “colta”. Come tanti ragazzi, componevo e cantavo le mie canzoni e speravo di fare della musica il mio mestiere. Il montaggio del suono è arrivato molto dopo, anche grazie all’evoluzione tecnologica.
Penso alla disperazione dei genitori quando andavi in giro a cantare e suonare.
Eh, si. Ma devo dire la verità: da una parte erano abbastanza arrabbiati perché al liceo non facevo niente, dall’altra sono stati molto solidali e spesso venivano a vedermi nei locali. Mi vergognavo un po’, a dirla tutta, ma mi hanno seguito e appoggiato, nonostante provenissero da un universo molto lontano da quello della musica.
Non è facile oggi trovare dei genitori che assecondino le aspirazioni artistiche dei figli.
Un po’ li capisco: la musica è una strada talmente di nicchia che non garantisce grossi business. Capisco le apprensioni familiari ma la differenza la fanno fortuna, impegno, passione e disponibilità a essere dalla parte di chi lavora con te, assecondandone le esigenze. Dico sempre che quello che garantiamo a scuola è una minima parte della professionalità richiesta: la restante parte la deve mettere il singolo di suo, mostrando capacità e talento unici o cercando di assemblare e rimodellare le competenze che acquisisce anche con l’esperienza. Bisognerebbe insegnare ai ragazzi la capacità di mettere insieme una figura professionale unica.
Se ti fosse andata male nella musica, quale sarebbe stato il tuo piano b?
Sono sempre pieno di piani b, non so mai cosa farò domani. L’unica mia certezza è che farò qualche cosa: ho cambiato tante direzioni nella vita e qualcosa è sempre successo. In questo periodo è impossibile fare dei piani a lungo o medio termine: conviene navigare a vista ed essere molto strutturati ed elastici.
Quale delle cose che stai facendo in questo momento ti sta entusiasmando più di altre?
Mi sto molto appassionando ai piccoli progetti intorno a me. Casualmente a Milano vedo molto fermento di giovani registi e di giovani produttori, che realizzano corti e documentari di altissimo pregio che mi regalano soddisfazioni e che mi coinvolgono molto: anche i registi di documentari stanno dando ad esempio grande importanza al suono, cercando di coniugarlo al contenuto per dare emozione ed espressione. Si dice sempre che la città del cinema sia Roma ma anche a Milano c’è molto movimento, basti partire da Martina (Parenti) e Massimo (D’Anolfi) per rendersene conto.
Da un punto di vista scolastico, invece, la scuola civica di musica è diventata una scuola AFAM, cioè di alta formazione artistico-musicale, equiparata ai conservatori. Con il direttore stiamo lavorando a dei percorsi triennali accademici su dei progetti tecnologici legati al cinema. È una cosa molto complessa da realizzare, ci sono delle declaratorie ministeriali da assecondare e da studiare ma mi sta entusiasmando parecchio. Dal prossimo anno scolastico iniziamo un corso di musica per le immagini, una laurea di primo livello, a cui poi uniremo un biennio di specializzazione: si tratta di un percorso tecnologico-musicale legato alla produzione di musica per immagini e quindi anche per i film. Mi entusiasma perché di corsi simili non ce n’è tantissimi, soprattutto a livello accademico, e perché – avendo avuto la fortuna di lavorare sul campo – stiamo realizzando il tutto a perfetta somiglianza di quello che è il lavoro produttivo, proponendoci di offrire agli studenti tutto ciò che serve per avere in mano una base di professionalità.
Se tornassi indietro, cosa non faresti?
Ho iniziato da autodidatta a suonare la chitarra. Intorno ai 15/16 anni ho avuto il desiderio di suonare per completezza un altro strumento, come se mi sentissi in imbarazzo per non aver studiato chitarra in modo “serio”, e ho scelto il clarinetto. Mi sono diplomato in clarinetto ma dal giorno successivo non l’ho mai più suonato. È uno strumento che mi piace tantissimo ma se ho voglia di suonare riprendo la chitarra in mano.
Massimo Mariani
I numeri precedenti:
Gli uffici stampa - Intervista a Giusi Battaglia
I giornalisti - Intervista a Ornella Sgroi
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