Classe 1985, metà romana e metà piemontese, Valentina Corti è ufficialmente una delle attrici emergenti del 2014. Con Giulia Michelini, Vanessa Hessler, Miriam Dalmazio e Elena Radonicich, è una delle candidate al Premio L’Oréal Paris per il Cinema, riconoscimento che ogni anno si assegna durante il corso del Festival di Venezia al giovane volto femminile emergente del cinema italiano. Con alle spalle diversi titoli interpretati tra cinema e televisione, la Corti a Venezia sarà protagonista di Fango e gloria, docufilm firmato da Leonardo Tiberi la cui collocazione sarà annunciata solo il prossimo 24 luglio durante la presentazione della line up del Festival. Reduce da successi nazionali (come Un Medico in famiglia) e internazionali (basti pensare alla serie Titanic – Blood & Steel), Valentina ha voluto concederci un’intervista in esclusiva, in cui si racconta a 360 gradi.
Valentina Corti
In attesa di vederti a Venezia con Fango e gloria, opera prima di Leonardo Tiberi, cosa stai facendo in questo momento?
Sono a Napoli per le prove di un nuovo film, che inizio a girare lunedì prossimo. Si tratta dell’esordio alla regia dell’attore Sergio Assisi, una commedia che è un po’ una scommessa.
Al Festival di Venezia, però, ci arrivi anche come una delle candidate al Premio L’Oréal Paris per il Cinema. Con Giulia Michelini, Vanessa Hessler, Miriam Dalmazio ed Elena Radonicich, sei in lizza per essere eletta – a decidere sarà la gente tramite voto attraverso la pagina Facebook del premio fino al 25 luglio – miglior attrice emergente del panorama artistico italiano. Una nomination che arriva a coronamento di un anno per te particolarmente fortunato, dovuto al successo riscontrato con la popolare serie tv Un medico in famiglia.
È stata una nomination del tutto inaspettata. Ed è anche molto bello che tale premio venga assegnato in base alle preferenze delle persone, che possono votare attraverso il web. Non c’è una vera giuria a decidere ma solo il pubblico, che come sempre è sovrano. Questo premio rappresenta il giudizio della gente che ci segue ed è chiaro che ciò dà maggiore soddisfazione. Arriva poi dopo un anno particolarmente fortunato, che ha saputo regalarmi gioie professionali e non solo molto importanti. Il fatto che il risultato delle votazioni si sappia durante il Festival di Venezia, in quell’atmosfera magica e surreale, rende il tutto ancora più emozionante. Sarà la mia prima volta alla Biennale e non ho ancora realizzato come quale forte emozione si provi.
Fango e gloria di Tiberi, un’opera che possiamo anche definire sperimentale per la sua struttura, ti permetterà in oltre di essere presente anche in una delle sezioni del festival e di mostrare le tue qualità di attrice. Ci racconti di cosa si tratta?
Fango e gloria è un docufilm sulla Prima guerra mondiale, finito di girare da poco. Si tratta di un progetto nato con l’intenzione di creare qualcosa di intentato e mai visto. È stato rinvenuto un enorme tesoro di filmati d’epoca originali appartenenti all’Istituto Luce: tutti i filmati sono stati restaurati e colorizzati con delle tecniche innovative. È stato fatto un lavoro quasi filologico per renderli visibili al pubblico di oggi, montandoli come un vero e proprio film. È stata girata anche una parte di fiction, che grazie a una sceneggiatura originale e attenta si mescola con i filmati in perfetta sintonia, passando dalla parte documentaristica a quella cinematografica senza stacchi. È come se fosse un unico e grande lungometraggio, che unisce la parte “raccontata” con i fatti realmente accaduti senza che siano evidenti degli stacchi. Fango e gloria arriva nel momento in cui si avvicina il centenario della Prima guerra mondiale e ne mantiene viva la memoria e l’attenzione in maniera originale e ambiziosa, raccontando anche del milite ignoto, di ciò che è stato e di quello che ha rappresentato (e tuttora rappresenta). È importante per le nuove generazioni porre attenzione su questo spaccato di storia: non dimentichiamo che erano proprio i giovani a partire per la guerra e, in molti casi, a non ritornare mai più alle loro famiglie.
Nella parte di fiction, ambientata in Emilia Romagna, il mio personaggio è una giovane ragazza con tanti sogni da voler realizzare. Studia all’università e il suo desiderio è di diventare un avvocato, in un momento storico in cui per le donne era complicato ad ambire a una posizione di rilievo nella società. Si innamora, poi, di uno dei due giovani amici a cui è molto legata e i loro progetti di formare una famiglia vengono spezzati dallo scoppio della guerra, che costringe lui a partire per il fronte e lei a rimanere a casa ad aspettare il suo ritorno. Il conflitto, inevitabilmente, finirà per cambiare le vite di tutti e tre gli amici e nulla tornerà come prima.
Sei reduce dall’esperienza televisiva di Un medico in famiglia, una macchina produttiva consolidata, e ti prepari per la prossima stagione della serie, dove interpreterai nuovamente Sara Livi.
Un medico in famiglia mi ha portato un’ondata di affetto inimmaginabile. Sono entrata nel progetto con la coda tra le gambe per paura di rompere degli equilibri in una serie ormai consolidata e con un suo pubblico di affezionati. Temevo che il cambio della guardia apportato dai nuovi personaggi e dall’inserimento di una nuova linea narrativa potesse finire a mio svantaggio. Invece, le novità sono state recepite e apprezzate da un pubblico che mi ha accolto benissimo e mi ha mostrato tantissimo affetto sotto varie forme. È stata una vera sorpresa, bellissima, anche per me. E grazie a quest’accoglienza la mia avventura nel Medico continuerà anche nella prossima stagione, dove mi auguro che la mia Sara, personaggio molto ricco di sfumature, abbia ancora molto da raccontare.
Quando e come inizia la tua carriera di attrice?
Ho iniziato da ragazzina, a 18 anni, con la pubblicità ma per gioco. Avevo altri progetti per me: avevo appena sostenuto la maturità al liceo, mi ero iscritta alla facoltà di Economia e non pensavo nemmeno di poter fare l’attrice, caratterialmente ero un po’ timida e non pensavo di poter stare sotto i riflettori. Incontrando sulla mia strada persone che mi mostravano una fiducia inaspettata e che mi spronavano a tentare la strada della recitazione, ho deciso di “buttarmi” e mi sono ritrovata sul set di una miniserie per Raiuno con un piccolo ruolo: quello è stato il momento in cui ho capito che quella della recitazione era la strada che volevo intraprendere. Da lì, ho iniziato a studiare e a fare la gavetta: ruolo dopo ruolo, mi sono innamorata di questo lavoro, approfondendone ogni aspetto. Se tornassi indietro, rifarei lo stesso percorso: non credo di aver perso tempo quando tentennavo. Conoscendomi, avrei bisogno ancora dei miei tempi.
Oltre al Medico, nel corso dell’ultimo anno sei stata scelta anche da Carlo Carlei, che per il suo Romeo e Giulietta ha voluto assegnarti un piccolo ruolo accanto a mostri sacri come Laura Morante, Paul Giamatti, Lesley Manville e Stellan Skarsgård, e a interessanti nuove leve come Hailee Steinfeld, Douglas Booth e Kodi Smith-McPhee.
È stata una partecipazione molto piccola per quello che è il classico della letteratura. Abbiamo girato in alcune location magnifiche a Mantova e lavorare su un set così internazionale è stato fantastico. Per un progetto così internazionale, si lavora a velocità differenti da quelle con cui si lavora per esempio nel Medico. Il Medico ha una lavorazione lunga e complicata, ci sono tanti attori e tanti cambi di location, durando tanti mesi con turni di riprese spesso faticosi. Al cinema, invece, il numero di scene è minore, i tempi sono diversi: si lavora sempre tanto ma i ritmi e gli approcci sono diversi.
Hai un modello di riferimento come attrice?
Più che avere dei riferimenti per i modi di recitare, mi piace guardare alle carriere e alle scelte fatte dalle attrici. In questo momento, mi viene in mente Scarlett Johansson, più o meno una mia coetanea, che ha scelto sempre progetti tra loro molto diversi e in grado di mettere in luce ogni aspetto della sua bravura. Mi auguro di poter scegliere come lei dei progetti che mettano in luce il mio ecclettismo. Mi interessa sperimentare e accettare sfide che mi incuriosiscano e che mi stimolino. Le sfide sono ricorrenti nella mia vita: l’anno scorso, prima di iniziare l’avventura del Medico, ho sostenuto un provino per una serie televisiva russa, studiando con un docente russo e preparandomi in poco tempo. Mi sono sorpresa io stessa nell’affrontare un’audizione in una lingua così difficile e mai sentita prima, ottenendo anche i complimenti dei selezionatori. Quando le cose sembrano impossibili da affrontare, in me scatta un meccanismo che accentua la mia determinazione e la mia voglia di farcela. Sono stata anche scelta dai russi, sono andata a far un provino a San Pietroburgo ma purtroppo il progetto è naufragato sul nascere e non è mai partito.
Oltre al film di Sergio Assisi, so per certo che hai in ballo un altro progetto cinematografico.
Si, c’è in ballo qualcosa di cui ancora non parlo prima di avere delle certezze. Si tratta di un film che ha già subito diversi slittamenti: è un’opera internazionale che si girerà in inglese e che è diretta da un regista austriaco. È un progetto particolarissimo, un binomio tra cinema e arte. Il regista è molto ferrato sull’arte, ha esposto a Berlino e ha un animo molto sensibile in merito. Però, ti ripeto, è presto per parlarne: voglio accertarmi prima che tutto vada in porto. Si tratta di un’opportunità molto importante per me e mi dispiacerebbe parlarne senza avere la certezza che si faccia.
Ti sei mai posta degli obiettivi per la tua carriera?
I miei obiettivi sono tutti a breve termine, posti step by step, progetto dopo progetto. Ad esempio, l’idea che a gennaio 2015 si giri la nuova serie del Medico mi sembra lontanissima. Per esperienza, non vado mai al di là dei sei mesi: ho imparato ad avere una flessibilità notevole, tutto può cambiare da un momento all’altro. In passato, perdevo molto più tempo a programmare le cose o a cercar gli incastri giusti quando poi arrivava una telefonata improvvisata che cambiava ogni piano. Esigenze, desideri e ambizioni, possono sempre cambiare.
Le votazioni per il Premio L’Oréal si svolgeranno attraverso Facebook. Quale è il tuo rapporto con i social network?
Sono un po’ lenta con la tecnologia. Pur conoscendo Facebook da prima che esplodesse anche in Italia, ho aspettato prima di aprire una mia pagina: temevo le ripercussioni sulla mia privacy e l’idea non mi piaceva. A un certo punto, però, ho deciso di crearmi un mio profilo per rimanere in contatto con i miei amici scoprendo così che l’invadenza è relativa al modo con cui uno usa i social. Adesso ho anche creato una mia pagina pubblica, con cui stare in contatto con le persone che vogliono seguirmi. È anche bello: è un modo per comunicare con gente che, seppur non conosci fisicamente, ha voglia di raccontarti la propria storia. È raro che una cosa del genere accada per strada, non è fattibile che ci si fermi a chiacchierare per ore con degli sconosciuti. Attraverso i social invece accade, percepisci l’affetto di chi ti segue. Curo personalmente la pagina, posto tutto io e rispondo anche a chi mi scrive: chiaro che ci metta un’eternità ma lo faccio. Spesso la gente stenta a credere che sia realmente io ma è così: mi piace il contatto diretto e non mi piace, al contrario, isolarmi. È appagante condividere con il tuo pubblico ciò che fai e renderlo partecipe, senza frapporre barriere e avendo dei feedback immediati.
Un Medico in famiglia: Michele Venitucci e Valentina Corti
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