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Cinelavorando: I giornalisti - Intervista a Ornella Sgroi
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Ornella Sgroi

 

Se intendessimo il cinema solo come arte, potremmo affermare senza alcuna paura che il cinema non esiste. Sarebbe limitato ai circoli del venerdì sera, dove attempati e sedicenti esperti si confronterebbero sui piani sequenza o sui tecnicismi di un regista x alle prese con un movimento y di camera per un film z. Sarebbe questo uno scenario quasi apocalittico (per dirlo con un termine caro a Umberto Eco) per gli spettatori e per tutti quelli che nel cinema ci vedono invece un medium, un mezzo capace di generare contemporaneamente informazione, divertimento e passione. Come tutti i medium, anche il cinema richiede qualcuno che lo interpreti, che lo decodifichi e che lo diffonda: a queste tre operazioni apparentemente semplici e scontate pensa la figura del giornalista cinematografico, un esperto che mette a disposizione del mezzo il suo bagaglio culturale e la sua esperienza personale per portare il cinema nelle case di chiunque.

Il giornalista cinematografico ha il compito di raccontarci le novità, di svelarci i segreti dietro le opere e, in molti casi, di approfondirne tematiche, stili e contenuti, provvedendo a fare quella che in gergo tutti chiamano “critica”. E Ornella Sgroi di cinema ha cominciato a occuparsi presto: prima di imparare a leggere e a scrivere, poteva già disquisire della commedia all'italiana, divorata durante i pomeriggi da bambina vissuta nella sua Catania. Laureatasi in giurisprudenza, la Sgroi ha scelto di seguire la passione per la settima arte a dispetto di una carriera da avvocato: i suoi primi scritti risalgono già al periodo dei corsi universitari, quando tra una lezione di diritto civile e una di diritto romano inseguiva gli incontri con i registi, i convegni tematici e i festival. Non è un mistero per nessuno che Ornella il cinema lo abbia nel sangue: le sue recensioni e i suoi articoli, apparsi su L'espresso on line, su Panorama.it, su MyMovies o sul blog Letteratitudine, sono sanguigne, passionali ed emotive, e lasciano trasparire un amore che va al di là di ogni effimero tecnicismo. In molti, conoscono Ornella per la sua collaborazione con la trasmissione Cinematografo di Raiuno ma noi abbiamo voluto conoscerla più da vicino per capire come si svolge il suo lavoro, per sapere come ha iniziato e per individuare cosa abbia mosso i suoi passi in un ambiente ormai diventato competitivo e restrittivo.

 

Ornella, quando nasce in te la passione per il cinema?

La passione per il cinema nasce in me prestissimo. Sono cresciuta a pane e film: già intorno ai quattro anni passavo la domenica pomeriggio a vedere tutta la commedia all’italiana. Ho iniziato dalla collezione di videocassette di mio papà dei film di Totò e da lì sono arrivati Alberto Sordi, Mario Monicelli e tutto ciò che seguiva. Ero davvero piccolissima e, proprio l’altro giorno, andando per lavoro in un’arena catanese con mia madre, ho scoperto che è una passione di famiglia: anche lei, in tenera età, amava il cinema e, abitando vicino alla stessa arena, trascorreva le serate sul balcone di casa a vedere i film al contrario e dal retro dello schermo. Quando me lo ha raccontato, mi sono rivista anch’io: l’amore per il cinema, nato per caso, lo avevo già nel sangue.

 

Quando inizi invece ad occupartene professionalmente? Quale è stato il tuo primo pezzo?

Io ho iniziato a farne una professione collaborando nel 2004 per alcune pubblicazioni specializzate. I miei primi scritti erano per il Kino, un settimanale di informazione cinematografica con la redazione a Catania ma distribuito in tutto il territorio siciliano. Mi occupavo di cinema già dai tempi dell’università, quando in maniera amatoriale partecipavo a rassegne o convegni. L’esperienza con il Kino è andata avanti per un paio d’anni fino a quando ha cessato l’attività. Da lì poi sono arrivate altre esperienze come la collaborazione con il quotidiano La Sicilia: con La Sicilia collaboravo da prima ma occupandomi di libri mentre dopo la chiusura del Kino, frequentando di più la redazione, ho cominciato con il dedicarmi alle pagine di cultura e spettacoli e, quindi, di cinema. Ovviamente, sempre da freelance e da collaboratrice esterna.

Il primo pezzo di cinema, se non ricordo male, è stato ancora prima del Kino per una rivista cinematografica catanese che ha avuto vita breve: si trattava di un articolo sui set cinematografici in Sicilia, una sorta di viaggio nella storia siciliana del cinema. La prima recensione cinematografica sul Kino, invece, è stata su The Woodsman. Il segreto, un film di Nicole Kassell con Kevin Bacon.

 

Per la prima recensione, ti sei attenuta a modelli particolari di riferimento o sei andata a schema libero?

Ho scritto abbastanza di getto ma, tenendo conto dell’esperienza già fatta con i libri per le pagine del quotidiano La Sicilia, ho seguito gli stessi punti di quando si recensisce un libro: parlare un po’ della trama, contestualizzare l’autore e la storia, dilettarsi nei commenti, nelle impressioni e nelle descrizioni critiche. Quando scrivo sono molto “emotiva” e scrivo di emozioni: il mio rapporto con il cinema si può definire “emozionale”, sia per come è nato sia per come si è evoluto professionalmente. Questo è un aspetto che, nato in me sin da piccola, desidero mantenere sempre: prima di essere un tecnico, mi piace rispettare lo spettatore che è in me e che sa emozionarsi davanti a un’opera. A distanza di tanti anni, so che guardo i film in maniera diversa: sono consapevole di non aver più lo sguardo “innocente” dello spettatore che si siede in sala o davanti alla tv per godersi un lungometraggio. Anche se vedo un film per puro diletto personale, mi accorgo che il modo di approcciarmi è molto diverso: non ho più quella libertà e disinvoltura che ha lo spettatore qualunque ma fortunatamente riesco ancora ad emozionarmi, nonostante la tensione di dover cogliere quel qualcosa in più rispetto a una visione generica.

Questa sorta di convivenza dentro me tra spettatore e tecnico mi aiuta però nel mio lavoro: a fine visione, se mi rendo conto di aver visto un film da critico, so che emotivamente quel film non è un’opera potente. Se mi alzo dalla poltrona facendo solo delle considerazioni e analisi tecniche vuol dire che a quell’opera manca qualcosa o è mancata qualcosa nel rapporto con me. Quando al contrario un film funziona perché ha un pensiero forte, un sentimento robusto e una storia che veramente racconta, mi alzo appagata anche emotivamente e sono pronta anche a consigliarlo agli amici, anche se fosse il film tunisino doppiato in inglese e con i sottotitoli in russo.

 

Tornando indietro, quali sono stati i tuoi studi?

Io ho alle spalle una storia abbastanza curiosa. Ho fatto la maturità classica, ho preso la laurea in giurisprudenza e ho un dottorato di ricerca in diritto romano e in diritti dell’antichità. Gli studi accademici sono stati estranei al mondo del cinema ma, durante gli anni dell’università, ho cominciato a frequentare tutti i festival a cui potevo aver accesso con l’accredito culturale. I festival sono stati una palestra importante, così come tutti gli incontri che si realizzavano in città con registi e cast. Li frequentavo tutti: ero sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad andare via. Tenendo conto della mia passione e del richiamo esercitato dal cinema, ho poi frequentato alcuni corsi specifici, workshop e laboratori, come ad esempio un laboratorio a Milano all’Istituto europeo di design dedicato alla regia, alla sceneggiatura e al rapporto tra regista e sceneggiatore, tenuto da Carlo Mazzacurati e Doriana Leondeff.  Posso dire di aver imparato sul campo e grazie alla mia curiosità, che mi ha portato a divorare le riviste di settore, a vedere film per ore (anche tre o quattro film di fila), a passare tutti i weekend al cinema. Il fatto di non aver intrapreso degli studi specifici o tecnici, in qualche modo, mi porta a sentirmi in dovere di andare sempre in cerca di nuove informazioni, senza maturare quell’atteggiamento snob di chi è sicuro delle sue conoscenze cinematografiche. Ho sempre l’esigenza di andare a fondo e di saperne di più, come se dovessi colmare delle lacune dovute al percorso di studi fatto.

Il mondo del cinema e quello del giornalismo cinematografico sono un universo particolare: esiste una certa tendenza a far sfoggio del proprio bagaglio culturale e delle proprie conoscenze ma, per questioni di carattere, questo aspetto non mi appartiene. A me è sempre rimasta in mente la frase dettami alle scuole medie dalla mia insegnante di italiano: quando vi rivolgete a qualcuno date per scontato che l’interlocutore non sa nulla di quello di cui gli andate a parlare. Per farsi capire, ci vuole chiarezza quando si racconta o si condivide un’esperienza: se si è troppo autoreferenziali, è come se scrivessi o parlassi con te stesso, lasciando fuori il destinatario del tuo discorso. Sono convinta che esiste un punto fermo da tenere sempre in considerazione nel mio mestiere: lo spettatore (il cinema è fatto per gli spettatori e lo devono ricordare sia i critici sia i registi, che spesso se ne dimenticano). Che tu scriva e debba rispettare il limite delle battute o che tu, come nel mio caso, intervenga in televisione con il tempo cronometrato, devi riuscire in poco a raccontare di un film usando un linguaggio chiaro e semplice, in modo che qualunque pubblico possa decifrare il messaggio che gli stai trasmettendo.

 

Com’è arrivata l’esperienza di Cinematografo, la trasmissione di Raiuno dedicata al cinema?

È piovuta letteralmente dal cielo. Mi hanno contattata dalla redazione della trasmissione in un momento di difficoltà: Gregorio Napoli, il compianto critico cinematografico palermitano, non stava bene e occorreva un giornalista che tenesse il collegamento dalla Sicilia. Io, un paio di mesi prima, avevo fatto durante un convegno a Catania dedicato al cinema un’intervista a un attore, di cui era presente anche l’ufficio stampa. Il pezzo era andato molto bene e devo a quell’ufficio stampa, che mi aveva visto lavorare sul campo, la chiamata per il programma. Dopo la prima puntata, è venuta la seconda e così via: siamo già arrivati alla quinta stagione di collaborazione.

 

È un impegno forte anche questo. Comporta essere sempre sul pezzo e vedere tutto ciò che esce in sala. Abitando a Catania, dove non tutto ciò che esce in sala arriva, come fai?

Facendo i salti mortali. Inizialmente, il lavoro è stato abbastanza “faticoso”: considerato che a Catania difficilmente sono previste proiezioni stampa, ho dovuto cercare io un modo per vedere i film in uscita. Prendevo il telefono e ogni lunedì, armata di lista dei film in uscita, chiamavo tutti gli uffici stampa, mi presentavo, mi qualificavo e spiegavo loro la ragione della mia chiamata. Alcuni colleghi sono stati gentilissimi: da subito hanno cominciato a mandarmi i dvd a casa e tutto ciò che mi serviva. Altri, invece, si sono dimostrati più restii a venirmi incontro. Tra le varie telefonate fatte agli inizi della collaborazione con Cinematografo, ci sono state quelle a tutte le sale cinematografiche di Catania, spiegando loro l’esigenza che avevo per lavoro di vedere i film prima che uscissero in sala. Il Planet, multisala catanese, ha accolto la mia richiesta sposando la mia “causa”, senza che ci fossero conoscenze pregresse con nessuno del personale: la mattina del venerdì (allora i film uscivano il venerdì), al cinema si cominciavano a montare le pellicole per gli spettacoli della giornata e a visionarle per evitare inconvenienti tecnici e per essere certi che la copia fosse integra. Grazie a questa dinamica lavorativa, ho avuto aperte le porte del multisala e, entrando alle 9 di mattina e uscendo nel primissimo pomeriggio, riuscivo a vedere due o tre film di film in “anteprima”: in sala e da sola. Sono stata abbastanza fortunata nell’incontrare qualcuno che capisse le mie esigenze lavorative e si dimostrasse gentile. A onor del vero, anche un’altra sala – il CineStar - aveva risposto al mio appello ma le proiezioni avrebbero dovuto essere notturne, il giovedì notte, quando smontavano le pellicole vecchie per caricare le nuove. Alla fine, riesco a organizzarmi così: ci sono i film che vedo ai festival, altri li vedo grazie agli uffici stampa e altri ancora li visiono in sala. Adesso che le uscite sono state anticipate al giovedì, vedo due o tre film di seguito al cinema con il pubblico.

 

Dopo aver visionato un film, viene poi il momento della riflessione e della critica. È mai inficiato da fattori esterni, come ad esempio la conoscenza diretta con chi l’opera l’ha realizzata o con chi vi ha lavorato?

La mia priorità è sempre quella di rispettare lo spettatore, come ti dicevo prima. Ognuno deve fare il proprio mestiere e mantenere un giudizio oggettivo su quanto vede. Non amo particolarmente la critica militante o aggressiva: non va mai dimenticato che un’opera cinematografica, riuscita o meno che sia, ha sempre dietro un faticosissimo lavoro, oltre che una grande spesa di idee, denaro ed energia. Esistono modi e modi di dire le cose: anche le critiche più negative, fatte con cognizione e con garbo, sono più facili da accettare, nonostante non facciano mai piacere a nessuno. Non mi sono mai lasciata influenzare dalla conoscenza con i diretti interessati. Un critico deve avere il coraggio di dare la sua valutazione e di fare la sua analisi anche davanti ai diretti interessati, come accade a Cinematografo dove in un po’ di minuti devi dare la tua opinione con il regista presente in studio o in collegamento. Non sottovalutiamo poi che ciò che sostiene il critico non è vangelo puro: esiste sempre una componente soggettiva che porta ad apprezzare lo stesso prodotto in maniera diversa. Quanti film, ad esempio, dividono la critica, tra sostenitori e detrattori? 

 

Esistono dei film che ti hanno fatto litigare con gli amici negli ultimi tempi, uno che hai difeso a spada tratta dai denigratori e uno che invece ti ha fatto sentire fuori dal coro di chi inneggiava al capolavoro?

Quello che mi ha fatto litigare, in maniera sempre civile, è sicuramente La grande bellezza di Paolo Sorrentino. È un film che io non ho amato e in cui, pur riconoscendo la maestria del regista (uno dei migliori che abbiamo in Italia), ho riscontrato limiti e difetti importanti, con in più la delusione di aspettarmi qualcosa di più originale e meno banale da un nome di tale calibro. Ciò che mi ha messo in particolare difficoltà e mi ha lasciato più di qualche perplessità è stato il tono dell’opera. Uno che ho difeso è stato invece Lei di Spike Jonze: l’ho amato follemente sin dall’inizio, da quando l’ho visto in originale al Festival di Roma. All’uscita nelle sale, l’ho anche rivisto in versione doppiata, continuando a trovarvi elementi di interesse, nonostante la voce di Micaela Ramazzotti, metallica e robotica, poco adatta alla sensualità e alla morbidezza di quella della Johansson.

 

Cosa consigli a chi oggi vuol fare critica cinematografica?

Occorre conoscere bene il campo in cui si vuol cominciare a muovere i primi passi professionali. E provarci: oggi è tutto complicatissimo. Non esistono garanzie in nessun ambito: tutto può scappare dalle mani, sia a chi inizia sia a chi è già professionalmente affermato. In tale panorama, se si ha la fortuna di avere una passione che spinge a uscire di casa, bisogna seguirla e avere il coraggio di superare le difficoltà. Datevi però un periodo di prova, entro il quale capire se è la strada giusta o meno da seguire: nonostante sia un mestiere affascinante, è faticosissimo e complicatissimo. Inoltre, tenete sempre conto del fatto che è un settore in cui spesso non vengono riconosciute le competenze e si viene pagati malissimo. E poi si ha sempre meno spazio a disposizione: i quotidiani e il mondo dell’editoria, con l’alibi della crisi, tendono a ridurre gli spazi destinati alla cultura. Rispetto al passato, la figura del critico cinematografico è cambiata: ci si deve adattare ai tempi e abbracciare il giornalismo puro, quello per cui si deve essere capaci di fare il pezzo di colore, il resoconto da un festival e la recensione di un film, in un corpo limitato di battute destinato a uno spazio altrettanto ridotto. Una sfida eroica, in pratica.

 

 

 

I numeri precedenti: 

Cinelavorando: Gli uffici stampa - Intervista a Giusi Battaglia

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