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TSAHAL parte seconda
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Claude Lanzmann

Le dernier des injustes - L'ultimo degli ingiusti (2013): Claude Lanzmann

 INDICE dei paragrafi della seconda parte:

1.Un carattere nazionale guerriero

2.Un paese molto piccolo

3.Un problema di sicurezza

4.I gioielli della corona di Israele

5.Giovani Israeliani

6.Il nuovo modello di Israeliano

7. Non disponiamo del futuro

8.Nascita dalle ceneri della Shoah

9.L’ Armata dell’aria

10.Echad Mikem Yirdof Revava

11.Attaccare e non pensare, agire e non deliberare

12.Le pietre dell’Intifada

12.Essi non hanno alcuna ragione di amarci

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Un carattere nazionale guerriero

Una buca nel deserto, soldati sdraiati a terra, mitra fra le pietre.Parla il luogotenente generale Ehud Barak: Se vogliamo riassumere l’esperienza israeliana di questi ultimi 44 anni, è caratterizzata da una guerra senza fine per l’indipendenza, articolata intorno ad avvenimenti salienti che sono le grandi guerre.Tutti gli Israeliani, giovani e meno giovani, hanno preso parte a una o più guerre.

 Il generale Israel Tal: In questo paese la minaccia è continua.Non una minaccia teorica: un giorno forse, per questa o quella generazione, una guerra scatterà. Questa è la situazione qui. Ogni soldato  si confronta direttamente col nostro nemico potenziale. Questo porta le nostre giovani generazioni a forgiarsi un carattere nazionale guerriero.

 Un paese molto piccolo

Riprese aeree, si  sorvola Israele in lungo e in largo. Avihu Bin-Nun, comandante in capo dell’Air Force: La singolarità della nostra forza aerea è che una minaccia costante pesa su di noi. Noi non sappiamo mai quando può arrivare l’attacco.C’è anche il tempo e lo spazio. Un paese molto piccolo, in jet si attraversa in 2 minuti nella larghezza, se virate troppo ampi superate la frontiera. Bisogna essere pronti in un tempo minimo perché il nemico può attaccare obiettivi vitali in pochi secondi.Le frontiere sono molto vicine al centro del paese e al nemico, milioni, tutti attorno a noi. Una situazione difficile, senza confronti, bisogna essere qui per capire veramente il problema. Dall’altra parte della frontiera avete una forza militare. La sua missione non é conquistare ma distruggere Israele. E’ diverso.

 Un problema di sicurezza

Il generale maggiore Matan Vilnai, comandante del Fronte Sud:

Prima della guerra dei 6 Giorni c’era una regione tra Tel Aviv ed Haifa dove la larghezza del paese era di 10 chilometri. Ci vivevano milioni di civili,una delle regioni più popolate di Israele. Tagliare il paese in due era molto facile, da un punto di vista militare. Una formazione di carri, un giorno di combattimento ed è finita la storia di Israele. E’ un fatto.C’è un altro paese al mondo che ha i nostri problemi di sicurezza? L’Inghilterra… non partì in guerra con l’altra metà del mondo, perché le Malvine minacciavano le isole inglesi? L’America… con l’altra metà del mondo, in Vietnam? Perché? Noi abbiamo combattuto e combattiamo per le nostre frontiere e ai confini del paese, dello Stato, non a 10.000 chilometri lontano da noi. Non è un’ossessione, è un fatto, un fatto legato alla Shoah. Perché discutere? E’ evidente.

Quando delle popolazioni dicono che vi vogliono uccidere ci proveranno. Lo sappiamo per esperienza. E’ un fatto, è un problema di sicurezza.

 I gioielli della corona di Israele

Israele  è un paese piccolo, le guerre non potevano essere combattute sul suo territorio, afferma Yanush Ben-Gal, bisognava andare oltre confine. L’odio tra Arabi e Israeliani  è così profondo che se avessero vinto gli Arabi non avrebbero avuto pietà:

Se si perde Israele muore.Non oso immaginare cosa avrebbero fatto i Siriani agli abitanti dei kibbutz o ai piccoli paesi del nord se li avessero  inseriti nei loro confini. Ho visto cosa hanno fatto ai soldati che hanno catturato, come li hanno uccisi, cos’hanno fatto ai loro corpi.Tutti i combattenti israeliani lo sanno, nel fondo del loro animo: devono vincere, non si pone la questione della disfatta o della resa.

Se lei mi chiede quali sono i gioielli della corona di Israele, le dico che sono i giovani i gioelli della corona di Israele. Sono ottimisti, sono naïf. La ragione della loro naïvité è che non hanno esperienza. Sono una pagina bianca su cui potete scrivere quello che volete.

 Giovani Israeliani

Ed eccoli, cinque ragazzi e tre ragazze, età media diciotto anni, riuniti in un salotto. Sono belli, facce pulite, serie e serene, non parlano di vacanze né di studi o progetti per il futuro, parlano di addestramento militare.E’ normale per loro sapere che ognuno farà un addestramento molto duro di sei mesi e tre anni di servizio militare, non vedranno famiglia e amici, potrebbero dover combattere e morire, e tutto questo fa parte della loro vita:

Fra i 16 e i 17 anni ricevi una lettera dell’esercito: “Non ti preoccupare, non sei stato dimenticato, tu ci appartieni. Tu verrai”… Non dice proprio così, ma questa è l’impressione” dice sorridendo il ragazzo col maglione oversize, lo speaker del gruppo.

A partire dal giorno della lettera la metà dei discorsi fra noi riguarda come abbiamo superato i test, che grado occuperemo, se riusciremo ad entrare nei corpi scelti… A 17 anni facciamo un esame medico per le unità scelte e da questo momento è il nostro unico argomento di conversazione. Dunque, ancora prima di entrare nell’esercito la vita per un anno e mezzo è centrata su di esso.

La ragazza seduta sul bracciolo lo guarda seria, ha lunghi capelli castani e un viso di madonna del quattrocento.Dice in un perfetto inglese: Tutti gli Israeliani della nostra età hanno qualcuno che è morto nell’esercito. E’ senza fine.

L’altra ragazza con la maglia rosa, come la sua carnagione incorniciata da una massa di capelli morbidi, aggiunge:

E questo dura, ancora e ancora, non si arresta mai. E’ molto rivelatore della società israeliana, riguarda l’esercito, ma è ben più profondo… Una voce maschile, nitida, decisa: Noi siamo soldati. E’ la mia missione difendere il paese, anche se posso essere ferito o ucciso.E’ molto duro… L’ultimo ragazzo a parlare ripete spesso queste tre parole, somigliano tutti nello sguardo, sereno e forse un po’ triste.

Il nuovo modello di Israeliano

Rumore di fondo, un aereo militare sfreccia nel cielo, in primo piano due soldati dormono a terra, uno appoggiato all’altro in equilibrio precario, lo zaino come punto d’appoggio stretto sul petto. Intorno altri soldati, un battaglione, sul bordo della carreggiata, dormono o riposano con l’elmetto accanto. Sono quei ragazzi che a diciassette anni hanno ricevuto la lettera da Tsahal e per un pezzo non sapranno cos’è una vita normale, divertirsi, cercare ragazze. Tutto è organizzzato intorno all’esperienza militare – dice Yuval Neria - è l’unico modo per forgiare il nuovo modello dell’Israeliano… non si reagisce a Israele come ad una patria normale, Israele ha sempre funzionato come una risposta, una buona risposta ad una questione molto cruciale.

 Non disponiamo del futuro

Nasciamo con tutta questa storia su di noi, abbiamo un enorme passato, molto carico, abbiamo un presente molto intenso, molto aspro. Serve una rinuncia, un impegno per investire in quello che è Israele oggi. Ma se guardiamo al futuro è difficile trovare un Israeliano che parli liberamente di Israele, diciamo nel 2025, perché sentiamo che non disponiamo molto del futuro. E quando dico “Israele nel 2025” sento il gelido taglio della memoria, come se violassi un tabù, come se avessi nei miei geni la proibizione di pensare così lontano.

Credo nella realtà, e quello che abbiamo dentro è essenzialmente la paura, la paura di essere annullati e nessun errore ci è permesso.

Parole che gelano come il suo taglio nella memoria, scorrono mentre un primo piano inquadra una soldatessa sorridente che chiude sotto l’elmetto la massa dei capelli bruni.I ganci di metallo sembrano orecchini, a prima vista.

Non abbiamo diritto all’errore

David Grossmann, scrittore:

Una grande nazione ha diritto all’errore, noi non siamo che quattro milioni, al Cairo, in un giorno qualsiasi, sono 16 milioni. Noi siamo ogni giorno un quarto del Cairo. Pochi errori sono autorizzati in una simile situazione. E’ perché è così difficile essere Israeliani. Non si può mai pensare in termini assoluti. Ascolto spesso intellettuali parlare categoricamente in nome di valori assoluti. Io non posso permetterlo, perché vivo in questa realtà molto complessa, piena di contraddizioni. Ogni Israeliano è riserva fino a 54 anni. Io l’ho fatto, non avevo scelta. Ancora ragazzo, a meno di 18 anni, sono dovuto entrare nell’esercito con funzioni di responsabilità. I giovani in Israele sono molto seri, penso che l’esercito faccia loro molto bene. Qui ci sono giovani di 19 anni con responsabilità che nell’esercito americano sarebbero affidate a Generali.Questo dà loro un grande senso di responsabilità, di lealtà verso gli amici, verso l’idea.

Noi apparteniamo all’idea

Grossmann introduce ora un’acuta analisi sulla concezione del mondo da parte dell’uomo israeliano, che spiega quello che all’ individualismo esasperato delle culture occidentali non è facile capire: Forse il giovane diventa troppo responsabile di fronte all’idea, all’autorità.Potete vedere che i nostri giovani, quando tornano ad essere studenti alla fine del servizio militare, sono a volte eccessivamente docili e sottomessi. Questo risale a una disposizione di spirito originaria in noi, Israeliani e Sionisti.In un certo senso noi siamo arruolati, apparteniamo all’idea. Certo ci sono numerose forme di individualità e s’incoraggia l’individualità, ma non è come per voi, cittadini francesi.Voi pensate che il vostro diritto naturale vi sia stato donato all’atto stesso della nascita, dunque avete i vostri diritti. Noi, quasi tutti, pensiamo che i nostri diritti naturali ci siano stati dati dallo Stato e che lo Stato può riprenderli.Lo Stato mi può chiedere di effettuare, ogni anno, 44 giorni di riserva e non protesterò. Lo Stato mi chiederà di partire, come 8 o 9 anni fa, per il Libano, una guerra che io disapprovo… ma sono andato.Mi domando perché l’ho fatto, ma l’ho fatto.Ho passato 40 giorni là e non ho mai pensato di rifiutare perché, all’inizio, credevo veramente questa guerra necessaria.Avevo 28 anni e pensavo che dovevo andare.E anche se non approvavo tutti gli obiettivi della guerra, sentivo che non potevo restare a casa mentre i miei amici partivano.In questo noi Israeliani siamo molto, molto strani.

Una sequenza di addestramento paracadutisti interrompe per qualche minuto le riflessioni di Grossmann.E’ l’interno di un aereo, reclute al primo salto.Uno alla volta, in veloce successione, ragazzi e ragazze arrivano sul bordo col portellone aperto, un flash ne illuminaappena il viso, due addetti li spingono fuori e giù nel vuoto, fra il rombo del motore e il vento che li afferra con forza.

Nascita dalle ceneri della Shoah

Grossmann prosegue: Il passato è così presente nelle nostre vite! Un passo indietro e siamo già lì. Non possiamo tornare ad una situazione in cui siamo vittime. Allora noi rendiamo i colpi, è molto chiaro. Non ci sia più una vittima. Non si aspetti che l’altro ti attacchi.

Noi ci siamo detti questo, quando ci siamo dati una nascita dalle ceneri della Shoah. Abbiamo studiato scenari imprevisti.Uno di questi è l’aggressività, l’istinto aggressivo, la risposta immediata.Nel paese in cui viviamo è un istinto molto sano.Forse, a volte, lanciamo ritorsioni troppo in fretta, troppo aggressivamente.E’ anche l’onda dello choc del passato. Avremo molte altre cose da imparare quando la pace le porterà.

 L’ Armata dell’aria

Scuola piloti di Tsahal, giovanissimi soldati sono sottosposti ad un corso molto selettivo, gli istruttori lasciano liberi gli allievi di prendere decisioni in totale autonomia, registrano il loro profilo durante l’addestramento, ma non comunicano nulla per tenerli costantemente al massimo della tensione, alla fine leggono i nomi degli esclusi.C'é delusione sulle facce, ma i ragazzi accettano di buon grado di tornare alle unità precedenti.Un “anziano”, ha 23 anni, non ha superato il corso, e ora scherza con Lanzmann:
Mi manderà il biglietto per questo film? Ma dovrebbe filmare gente più felice…

Relik S. racconta la sua missione più difficile, il raid sul reattore nucleare di Bagdad. Prima di questo volo aveva poca esperienza di guerra e molte possibilità di essere abbattuto, essendo fra gli ultimi aerei della formazione. La paura… nessuno degli intervistati l’ha mai negata, ma ogni volta il discorso torna sulla responsabilità di avere nelle mani il destino di Israele:

Io sapevo per chi volavo, porto il nome di mio nonno e mia figlia quello della sorella di mio padre. Entrambi sono morti nella Shoah. Sono stati deportati da Vilna. Così ho saputo che volavo per loro. Anche se il destino doveva andare verso l’esito più triste, questa esperienza mi dava un sentimento di vicinanza a loro.

Un caccia da combattimento corre sulla pista di decollo, pilota e secondo si fanno sempre più piccoli nel cupolotto di vetro, l’aereo si alza leggero, fa lampeggiare il grosso faro anteriore e punta al cielo, sorvola una distesa bianca, desertica, in fondo c’è il mare, sembra tuffarsi col suo profilo di squalo grigio.

Echad Mikem Yirdof Revava

E' scritto nella Bibbia e significa “ Uno solo di voi darà la caccia a diecimila.” Per sopravvivere noi dobbiamo cacciarli. Oggi non è più cacciare, ma andare all’assalto. Fa parte della nostra dottrina e dell’educazione dei giovani soldati. In Isarele c’è un attaccamento particolare alla vita, e credo sia legato alla nostra storia. Non è contraddittorio privilegiare la vita ed andare all’assalto. E’ la stessa logica. Per restare in vita bisogna andare all’assalto. Bisogna educare gli uomini ad andare contro la tendenza naturale di un giovane soldato, di un essere umano, che è mettersi al coperto, non avanzare, non attaccare. E’ una delle ragioni che fanno del nostro esercito il migliore del Medio Oriente. Uno dei principi di Tsahal è di andare all’assalto. Non come un toro. Bisogna pensare. Avere un buon piano e attaccare.

Il generale maggiore Matan Vilnai non ha dubbi su questo punto, l’attacco è l’unica difesa, anche quando si finisce in un’imboscata, restar fermi significa morte sicura.Parla con grande calma, è un uomo assolutamente determinato in quello che dice, l’esperienza sul campo lo fa parlare con lucido e pacato realismo. Conosce la paura dei soldati in situazioni estreme, dunque sa come bisogna educarli.

Come bisogna educarli? chiede Lanzmann.

Non è difficile, gli Israeliani sanno che la loro sola possibilità è avere un esercito forte, che dissuada tutti quelli che ci circondano dal conquistare Israele. Quando un giovane arriva nell’esercito con questa convinzione non resta più che istruirlo e formarlo.

Attaccare e non pensare, agire e non deliberare

Una fattoria, Ariel Sharon cammina agile, nonostante la mole notevole, fra le pecore del suo gregge, uno strano contrasto con le parole sulla guerra che confermano la teoria dell’attacco senza ripensamenti.

E’ una reazione inaspettata dal nemico che ha teso l’imboscata, che ha aperto il fuoco e non si aspetta quel contraccolpo.

 Ha sperimentato più volte questa tattica vincente, sa quel che dice.

Attaccare e non pensare, agire e non deliberare. Per formare il “nuovo soldato israeliano” gli ufficiali non hanno mai smesso di analizzare tutti i raids e le operazioni per trarne lezioni.

Le riprese scorrono ancora sul deserto, segue un notturno rotto dai lampi dell' artiglieria in movimento, e ancora altre voci che parlano di guerra e di tattica, di coraggio e di paura, di sorprendere il nemico con la coordinazione perfetta dei reparti e il controllo del combattimento.

Attaccare e non pensare, agire e non deliberare

Le logiche della guerra.

Le pietre dell’Intifada

Panoramica su Tel Aviv, bianca capitale del Medio Oriente. L’ultima parte di TSAHAL 2 parla di tattica difensiva da attacchi terroristici. Postazioni di guardia su tetti di palazzi, da un terrazzo di fronte ragazzi palestinesi lanciano pietre contro l'operatore del film, soldati percorrono le strade dei quartieri arabi fra civili e bancarelle, muri sporchi pieni di scritte arabe. Passa una jeep con l’ ufficiale di controllo, ha il parabrezza coperto da una grata contro le pietre. Racconta dell’ assalto con pietre ai suoi soldati saliti per controllare da un terrazzo durante una manifestazione. Il fuoco è stato aperto con un’angolazione a 60° per disperdere la folla, ma il lancio di pietre è continuato.

Quando un soldato vede in pericolo la sua vita ha diritto di ricorrere al fuoco e quattro Palestinesi sono stati feriti. La folla si è dispersa ma il ricorso al fuoco è stato controllato.

Lo chiamano “colpo su colpo”, il fucile non spara in automatico ma volta per volta, per decisione del soldato, e l’effetto è limitato.

Non tiriamo se non come estremo ricorso alla difesa. Sappiamo cosa significa tirare, per noi non è la soluzione. Se i soldati riuniti là non fossero stati disciplinati il risultato sarebbe stato una carneficina, numerosi Palestinesi sarebbero stati uccisi perché assalivano i soldati e lanciavano pietre, e non sono piccole pietre, possono uccidere un uomo, dei soldati sono stati uccisi con pietre. In una tale situazione noi non vogliamo alcun rischio.Quando un soldato giudica che la sua vita è in pericolo ha il diritto di tirare, certo nei limiti della legge.Tutti gli ordini sono scritti: quando e come aprire il fuoco. Lanciamo proiettili di caucciù da 20 e 40 metri, l’impatto è meno forte. Applichiamo queste regole molto strettamente e i nostri soldati sono molto disciplinati.Fotografiamo i manifestanti e cerchiamo di identificarli e poi li arrestiamo. Essi temono le foto più dei proiettili.

E’ una delle sequenze più dure e grigie, girate nei quartieri arabi con soldati che si muovono guardinghi e civili che guardano diffidenti in camera. Si ha voglia di scappare.

Essi non hanno alcuna ragione di amarci

L’ultima voce è di un responsabile del dipartimento d’informatica all’Università Ebraica. Accanto a lui c’è un veterinario, più in là un biologo.Sono in divisa, fanno parte di una compagnia anti-aerea di riserva. Si riuniscono ogni anno per 31 giorni e controllano la zona: Speriamo di non dover ritornare più – dice l’informatico, faccia simpatica e sorridente. Gli fanno eco gli altri: Ognuno spera che ci sarà presto una soluzione, nessuno si diverte a fare questo. Bisogna farlo, tutto qua.

Hanno fatto la guerra del Kippur nel Sinai, la guerra dei 6 Giorni nel Golan, sono mobilitati fin dal ’66 o dal ’68.

Sentite l’ odio degli Arabi? chiede Lanzmann.

E’ dovunque, intorno, dappertutto.

E voi lo provate?

Certamente. Essi non hanno alcuna ragione di amarci.

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Filmografia di Claude Lanzmann

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