Nell’editoriale di Mauro Gervasini su FilmTv n. 22, attualmente in edicola, si passano in rassegna le otto meraviglie del cinema italiano, ovvero gli otto titoli che dal 2012 fino ad oggi hanno ricevuto qualche premio ai festival internazionali. Partendo dall’Orso d’Oro ai fratelli Taviani alla Berlinale 2012 con Cesare deve morire per arrivare al Grand Prix ad Alice Rohrwacher e al suo Le meraviglie all’ultimo Festival di Cannes, si osanna un cinema che trova riconoscimento a livello internazionale ma che paradossalmente fatica a farsi strada al botteghino.
Di fronte ai dati oggettivamente concreti del box office si può parlare di rinascita solo perché abbiamo rimediato un premio che fa contenti gli addetti ai lavori, fa esultare per una sera e non trova riscontro commerciale? Me lo chiedo perché nell’ultimo anno la situazione del nostro cinema mi pare alquanto preoccupante. Sapete ad esempio che dal 1° settembre ad oggi ben 68 titoli nostrani* non hanno nemmeno superato la soglia psicologica del milione di incasso, non riuscendo talvolta neanche a recuperare i sosti o a raggiungere la cifra elargita come contributo e/o sostegno dal MiBaC? Da cosa dipende ciò? Il numero di sale, certo: spiegazione vecchia come il cucco.
La sensazione, contrariamente ai comunicati stampa che esaltano medie sala da record o successi territorialmente isolati, è devastante. Chi scrive, memore che prima che un’arte il cinema è un medium, ha provato a darsi delle spiegazioni di tale disfatta. Prendiamo in considerazione i cosiddetti tre scopi a cui un medium, soprattutto se di massa, è chiamato: informare, educare, intrattenere. Il cinema italiano informa? Educa? Intrattiene?
Il terzo obiettivo appare fondamentalmente raggiunto. Basti pensare ai quasi 52 milioni di euro incassati da Sole a catinelle, ai 12 di Un boss in salotto, agli 11 di Colpi di fortuna (a dispetto di chi dice che il cinepanettone è morto) o ai 10 di Sotto una buona stella. Tutti titoli spesso bistrattati dalla critica ma capaci di imporsi e di richiamare pubblico (e non crediate che si tratti solo dei trogloditi del pop corn) perché facilmente “riconoscibili” e “identificabili”. La cara vecchia legge del già noto (del resto gli strutturalisti avevano bene individuato le regole del racconto), dirà qualcuno: Zalone che ripete se stesso anche se in una veste leggermente diversa, Miniero che sfrutta il sempre eterno confronto socioculturale tra nord e sud e tra legalità e illegalità, Parenti con la sua struttura ridanciana ed episodica, Verdone con il suo umorismo in grado di coniugare alti e bassi. Ma c’è di più: la facilità con cui le loro storie sono comprensibili, l’assenza di sottotesti impegnati e, soprattutto, un finale che appaga con il classico e rassicurante happy ending.
Educare ed informare, invece, non risultano pervenuti. Cosa educa nel cinema italiano? Il film impegnato? Non credo. Il film impegnato richiede innanzitutto che si sposino in toto le tesi dell’autore e che si accettino come vere. Ma ciò non vuol dire alterare la realtà e rappresentarla con un’ottica fantascientifica (è fantascienza tutto ciò che modifica il reale proponendone una versione propria e non solo Star Trek)? Non impone un patto non sempre chiaro tra autore e pubblico? Non implica che lo spettatore debba fermarsi a riflettere quando il momento storico che viviamo non lo permette? Qualcuno dirà che La grande bellezza di Sorrentino, uscito però la scorsa stagione, con i suoi 7 milioni in tasca è stato un successo. Verissimo, com’è vero che La grande bellezza non educa e non informa: fotografa semmai uno squarcio di realtà che chiunque è pronto a condannare e da cui chiunque, per il già citato fattore di identificazione, desidera disconoscersi.
Ad informare nell’ultimo anno ci hanno provato i documentari. Sacro GRA ha vinto il Leone d’Oro a Venezia (la giuria presieduta da Bertolucci meriterebbe di non dover mai più giudicare un titolo in vita sua oltre che di essere allontanata da dietro le macchine da presa) e Tir di Alberto Fasulo il Festival di Roma. Ma informano veramente? La risposta è chiaramente negativa: sono anche queste alterazioni della realtà, visioni soggettive, frammenti di vita sceneggiati e spacciati per reali quando di reale non vi è neanche l’ambientazione (filtrata dagli occhi del regista). Siamo lontani anni luce dalla produzione americana o francese del documentario, dove l’oggettività è quasi sempre un must.
Può per informazione o educazione il pubblico affezionarsi a un prodotto e sostenerlo? No. Neanche quando come nel caso di Le meraviglie si spacci per autentica una vicenda che non ha né capo né coda e che soprattutto manca di una Storia. John Ford a un film richiedeva tre cose: una storia, una storia e una storia. La trama, che nel cinema d’autore italiano sta lentamente trasformandosi in qualcosa di superfluo, è quella che invece andrebbe riportata in primo piano. Dramma, commedia o surrealtà: non ha importanza. Conta riconoscersi, fantasticare, piangere, arrabbiarsi, commuovere, vivere la favola. E non ci si emoziona di fronte a una ripresa virtuosa di api volanti o davanti a due ragazzine che ciancicano del nulla in dialetto palermitano. Riprendere in mano la sceneggiatura e ridarle l’importanza che merita, costruire storie credibili, non lasciare nulla alla libera interpretazione e ricorrere a un finale che sia tale, sarebbero i primi punti da cui dover risorgere. Smettiamola di produrre opere per addetti ai lavori: il neorealismo ci insegna, ad esempio, che arte e incassi possono coesistere.
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*Alcuni incassi italiani dell’ultimo anno dei titoli festivalieri:
La mossa del pinguino: 739.455 euro
Zoran, il mio nipote scemo: 668.072 euro
Le meraviglie: 650.157 euro
La prima neve: 600.987 euro
Song ‘e Napule: 558.860 euro
Via Castellana Bandiera: 412.035 euro
L’arbitro: 396.568 euro
In grazia di Dio: 222.400 euro
L’arte della felicità: 218.600 euro
Il venditore di medicine: 179.450 euro
Il terzo tempo: 135.946 euro
La luna su Torino: 106.603 euro
La mia classe: 94.811 euro
Piccola patria: 81.645 euro
Spaghetti Story: 62.289 euro
Più buio di mezzanotte: 62.245 euro
The Special Need: 57.636 euro
Come il vento: 56.932 euro
Il mondo fino in fondo: 50.723 euro
Pinuccio Lovero Yes I Can: 44.546 euro
Fuoristrada: 36.872 euro
Felice chi è diverso: 36.124 euro
Tir: 32.554 euro
Il sud è niente: 29.077 euro
Marina: 28.852 euro
I corpi estranei: 24.323 euro
Fuoriscena: 17.621 euro
Il treno va a Mosca: 13.526 euro
Resistenza naturale: 10.286 euro.
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