Prima che un film arrivi nelle sale e si presenti nella sua interezza al pubblico, occorre studiare le strategie di comunicazione con cui presentarlo agli spettatori per invogliarli ad andare a vederlo. Occuparsi di strategie comunicative per il cinema è una delle attività principali che si fanno dietro le quinte e di cui spesso (o, meglio, sempre) ci si dimentica di parlare. Se le immagini, i trailer, le locandine e le interviste, arrivano tramite televisione, giornali o siti web, sotto ai vostri occhi è merito dei cosiddetti uffici stampa, organizzazioni che si spendono e si prodigano affinché l’opera da loro curata venga presentata nel modo migliore e senza travisamenti.
Non è un mistero che chi si occupa di uffici stampa debba in primo luogo curare l’interesse del proprio cliente, cercando di indorare ciò che questi ha realizzato. Erroneamente, si ha l’idea che chi si occupa di uffici stampa sia soltanto un pubblicitario che deve vendere a tutti i costi un prodotto senza curarsi troppo della qualità. In realtà, dietro alla figura dell’ufficio stampa si nascondono professionisti della comunicazione, che traducono in realtà ciò che gli addetti della “scienza del Terzo Millennio” faticano a scrivere su carta. Per capire come opera un ufficio stampa, quali siano le sue mansioni e come si giunga ad esercitare tale professione (cercando di individuare quali sono i requisiti che il mercato del lavoro richiede per tale figura), abbiamo deciso di parlarne con chi da anni lavora sul campo con ottimi risultati e abbiamo intervistato Giusi Battaglia, fondatrice insieme a Valentina Palumbo dell’ufficio stampa Palumbo+Battaglia Comunicazione. Tra i progetti curati dallo studio, si ricordano in particolar modo Il principe abusivo di Alessandro Siani, Anche se è amore non si vede di Ficarra e Picone, Tutta colpa della musica di Ricky Tognazzi e La mossa del pinguino di Claudio Amendola. Palumbo+Battaglia si occupa inoltre di rappresentare artisti legati al mondo del cinema (i sopramenzionati Ficarra e Picone e Siani, Ambra Angiolini, Francesca Neri, Barbora Bobulova o Francesca Inaudi, per citarne alcuni) o al mondo della televisione (Benedetta Parodi, Elena Santarelli o Angelo Duro).
Valentina Palumbo e Giusi Battaglia
Com’è organizzato il vostro ufficio?
Noi siamo in due: io sono a Milano mentre Valentina Palumbo, la mia socia, è a Roma. In tal modo riusciamo a dividerci le incombenze e la divisione è stata una delle cose, a parte il feeling professionale e personale, che più ci ha convinto ad unire le forze. Tante cose inerenti al nostro lavoro si fanno su Milano ed altrettante si fanno su Roma: riusciamo così a dividerci gli impegni e ad accontentare i nostri clienti, senza necessariamente essere costrette a spostarci. È chiaro che nei momenti di grande lavoro o per le conferenze stampa di presentazione dei film, situazioni più organizzate, ci si muove insieme.
A cosa state lavorando in questo periodo?
In primo luogo, siamo alle prese con la lavorazione del nuovo lungometraggio di Alessandro Siani regista Si accettano miracoli e a breve inizieremo ad occuparci del nuovo film di Ficarra e Picone, le cui riprese sono previste a partire dal 23 giugno. Per fortuna o purtroppo, il nostro lavoro non si ferma mai: avendo tanti artisti, anche che esulano dal settore cinematografico, siamo abbastanza occupate. Da sempre, diversifichiamo i nostri campi di interesse e curiamo anche la promozione di libri di personaggi legati al mondo dello spettacolo: Fausto Brizzi, Benedetta Parodi o Fabio Caressa (che ha scritto un romanzo sul calcio ma non per calciofili, come amo dire io). Poi sono tante le cose in ballo: Ambra Angiolini, per esempio, inizierà tra non molto le riprese di La scelta, il nuovo film di Michele Placido a fianco di Raoul Bova, Placido stesso e Valeria Solarino.
L’ufficio stampa è parte fondamentale della promozione di un film. Senza il vostro lavoro, un’opera rischia di passare inosservata. Ci racconti come si diventa ufficio stampa?
Il lavoro che svolgo oggi, l’ufficio stampa, è la diversificazione di un lavoro nato in un altro modo. Io provengo dalla carta stampata e da quella grande palestra del giornalismo scritto. Ho iniziato nel 1996 e come si può ben capire stavo dall’altro lato della barricata: questo mi ha permesso ad esempio di acquisire una consapevolezza maggiore di quello che è il bisogno del giornalista, non sempre tenuto in considerazione da chi si occupa di ufficio stampa, vuoi perché ha altro da fare, vuoi perché non sa quando il giornalista stesso deve chiudere il pezzo o non conosce le sue esigenze “tecniche”. Il lavoro di ufficio stampa vero e proprio inizia quasi per caso: dopo dieci anni al Giornale di Sicilia, incontro lungo il mio percorso Ficarra e Picone, che mi chiedono di far una “prova” con loro. In quel momento, mi rendo conto che Palermo, la mia città di nascita, mi sta stretta: loro due erano al primo anno di Striscia la notizia, venivano da più stagioni di successo di Zelig e necessitavano di un ufficio stampa che avesse contatti nazionali. Quindi, fatti armi e bagagli, parto per Milano nello stesso anno in cui mi laureo in Scienze della Comunicazione ma è chiaro che le cose non sono state semplici: a Milano non tutti aspettavano me. Sebbene avessi accettato di seguire Ficarra e Picone, inizialmente ho continuato a perseguire il mio sogno di confermarmi e di affermarmi come giornalista ma mi sono scontrata con la realtà di Milano: la città per eccellenza del giornalismo, dell’editoria e della televisione, mi ha offerto piccole esperienze che mi gratificavano poco. Iniziare a lavorare come ufficio stampa di Ficarra e Picone mi ha aperto invece un mondo nuovo: grazie a loro e a Medusa curo la promozione di La matassa, l’inizio di tutto quello che è venuto dopo e che mi ha portato oggi qui, senza giochi magici o strategie nascoste. Ricordo ancora una delle mie più grandi soddisfazioni: dopo La matassa, Medusa mi ha chiamato per seguire l’anteprima nazionale di Baaria di Giuseppe Tornatore a Bagheria, il mio primo grande evento senza Ficarra e Picone e segno che qualcosa di buono l’avevo realizzata.
Ritornando ad oggi, posso dire di essere soddisfatta del lavoro che faccio e di svegliarmi la mattina felice della mia professione.
È stato complicato iniziare a muoversi nel settore molto giovane?
All’inizio l’età è stata uno svantaggio. I pochi anni erano qualcosa di negativo a causa di una sbagliata associazione che porta a credere che essere giovani significhi non essere credibili. Mi ricordo ancora che una volta arrivai su un set e che il regista si è lamentato perché ero troppo giovane, come se essere giovani fosse una colpa o una qualità negativa. Siamo nel Paese in cui ci si genuflette di fronte ai soloni e in cui i giovani non hanno possibilità di affermazione: ci si scorda facilmente che tutti quanti si inizia da qualche parte e che, come si dice a Palermo, “nessuno nasce insegnato”. Adesso che ho una professione avviata, mi piace conoscere ventenni o giovani appena laureati, pieni di entusiasmo e voglia di fare da cui lasciarsi contagiare.
Giusi Battaglia
Tornando a un aspetto strettamente professionale, quando nasce il lavoro di un ufficio stampa? A film ultimato o ad avvio riprese?
Quando iniziano le riprese ma anche prima. Il regista ti comunica la sua idea del lavoro che si approssima a realizzare, ti fa leggere in tempi non sospetti la sceneggiatura e da lì si cominciano a pensare a probabili strategie di comunicazione del film o a capire che taglio dargli – pop o di nicchia, anche se è auspicabile sempre una comunicazione a 360 gradi. Io e Valentina cerchiamo di selezionare le nostre uscite promozionali e non tendiamo ad essere onnipresenti. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare su film parecchio voluti o cercati dalla stampa ma abbiamo anche avuto tra le mani opere di difficile piazzamento: riuscire a calamitare l’attenzione su queste ultime assicura di certo una soddisfazione tripla, che ripaga di ogni fatica. Per intenderci meglio, un film di Ficarra e Picone o di Siani chiaramente viaggia da solo e necessita anzi di freno; un film come La mossa del pinguino ha invece bisogno di una spinta diversa: nonostante ciò, non scegliamo di fare comunicazioni a tappeto o di essere su tutti i magazine tanto per esserci. Preferiamo sempre selezionare i settimanali ma anche le trasmissioni televisive in cui intervenire, seguendo come principio i nostri personali interessi: quello che noi stesse compriamo in edicola o quello che vediamo in televisione. È una visione alquanto ristretta ma il nostro gusto è quello che vogliamo portare ai nostri artisti: del resto, ci hanno scelte anche per questo. Io mi ricordo che, quando Ficarra e Picone mi chiesero cosa avrei fatto per loro per un ipotetico lavoro di ufficio stampa, io risposi: “Vi proteggerei”. E questa è stata la strategia vincente: proteggere gli artisti e non darli in pasto. E ciò ha fatto sì che, oltre che rapporti lavorativi, i nostri siano diventati anche rapporti di amicizia. Questo è anche il motivo per cui ci è capitato di rifiutare alcuni lavori: la sintonia è fondamentale.
È chiaro, comunque, che il grosso del lavoro arriva una volta che le riprese sono ultimate: occorre muoversi due o tre mesi prima con i mensili e si inizia con il fare una serie di chiamate per capire a chi può interessare un’intervista, un servizio fotografico o una copertina. Per carattere, sono una persona piuttosto ansiosa e ciò mi porta a voler avere chiaro quasi tutto la sera stessa in cui accetto un incarico.
Gran parte dei film da voi curati sono stati delle hit al box office. Ma cosa succede quando si ha a che fare con un flop? Possono le colpe essere dell’ufficio stampa?
Fa malissimo. Ti impegni tanto nel promuovere un film e non hai i risultati i risultati sperati. Ci è accaduto ad esempio con All’ultima spiaggia, un film un po’ più debole e con un cast numeroso ma che contava su pochi nomi – Dario Bandiera e Nicole Grimaudo - adatti per la stampa. In quei casi, continui ad andare a testa alta: sono del parere che se un film va bene non è mai merito dell’ufficio stampa, così come non è mai un demerito dell’ufficio stampa quando va male. Si tratta sempre di un concorso di cause: All’ultima spiaggia lo abbiamo preso ormai ultimato e a un mese prima dall’uscita, non avendo il tempo di curarcelo sin dall’inizio. Ma è accaduto anche con Tutta colpa della musica di Ricky Tognazzi, presentato tra l’altro al Festival di Venezia nella sezione Controcampo italiano: a fronte di una promozione stampa internazionale di solito riservata ai film di prim’ordine, il botteghino segnò 111 mila euro di incasso, complici un’uscita ai primi di settembre quando ancora il cinema è in vacanza e le critiche che lo definivano discutibile o troppo televisivo. In tutti i casi, comunque la nostra metodologia di lavoro rimane identica: ci spendiamo sempre allo stesso modo anche per i titoli meno forti o, forse, anche di più in termini di energia. Ripeto: colpe ed onori sono di tutti.
Che cosa consigli a chi vuole avvicinarsi al tuo lavoro? Studio o esperienza sul campo?
Dico qualcosa che va anche a mio discapito: se si ha amore per questo tipo di lavoro, chiunque può farlo e ci riesce. Si tratta di un lavoro in cui la teoria serve a ben poco e conta soprattutto l’esperienza. Conta iniziare a fare e a relazionarsi con il mestiere. Io ho avuto la fortuna di iniziare dal mondo giornalistico: il mio primo articolo fu sul lancio del martello e sulla vittoria di Maria Lombardo agli Europei, ricordo che arrivai allo Stadio delle Palme di Palermo cercando il martello non sapendo che fosse una palla. Fu un pezzo traumatico: 90 righe con richiamo in prima pagina su un argomento di cui non sapevo nulla. L’esperienza redazionale nelle realtà provinciali aiuta molto: fai il massimo con il minimo dei mezzi e insegna ad impostare i rapporti con gli altri. L’importante è non demordere: i miei primi due anni vissuti a Milano sono stati difficilissimi e li ho trascorsi, piuttosto che a non far niente, a fissare appuntamenti per conoscere i direttori delle varie testate, contatti diretti che poi si sono rivelati fondamentali. E due consigli: non aspettatevi inizialmente di percepire chissà quale stipendi (il pezzo di cui prima mi fu pagato 6 mila lire) e siate umili, la presunzione non paga.
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