Mancano ormai solo tre giorni e sapremo a chi andrà la Palma d’Oro 2014. A dispetto di una line up da urlo, l’impressione al momento è che solo pochi titoli siano stati all’altezza delle aspettative, rivelando l’edizione del festival di quest’anno come una delle più fiacche dell’ultimo decennio. A distanza di molte proiezioni, pochi sembrano essere i titoli in grado di soddisfare i palati più esigenti: si mormora, si dice, si presume, ma nessuno ad oggi ha le idee chiare di chi possa portarsi a casa i premi maggiori.
A tentare di confondere ulteriormente le carte in tavola, ci provano oggi The Search, atteso ritorno di Michel Hazanavicius dopo i trionfi di The Artist, e Goodbye to Language di Jean-Luc Godard: due film molto diversi tra loro e due tipi di cinema agli antipodi. Da un lato il classico melodramma di guerra con struttura ad intreccio, dall’altro lo sperimentalismo puro. Complicato stabilire alla vigilia da che parte stare.
Mentre il fuori concorso si appresta a presentare l’ultima fatica di Téchiné e due documentari che riflettono sulla guerra oggi, gli occhi della Quinzaine sono puntati sulla svolta “commerciale” di Bruno Dumont (con una commedia televisiva in quattro parti) e sullo Studio Ghibli di The Tale of Princess Kaguya.
Ecco nel dettaglio il programma:
CONCORSO
THE SEARCH
Onesto mestierante francese sconosciuto pressoché ai più, Michel Hazanavicius ha trovato la ribalta mondiale nel 2011 quando il suo sofisticato The Artist venne presentato proprio a Cannes prima di trasformarsi nel film francese più premiato di tutti i tempi. Per confondere di più le idee sul suo cinema, Hazanavicius si è poi dedicato al progetto collettivo Gli infedeli per poi annunciare l’inizio della realizzazione di The Search, sulla carta il remake di Odissea tragica di Fred Zinnemann. Se Zinneman ambientava la sua storia tra le rovine tedesche della seconda guerra mondiale, Hazanavicius sceglie la moderna Cecenia affidando alla moglie Bérénice Bejo il ruolo di protagonista. «Volevo fare un film sulla Cecenia per oppormi all’assurda teoria secondo cui tutti i ceceni sono terroristi. Non sapevo come affrontare la storia, sapevo solo che avrebbe dovuto parlare di guerra. Stavo ancora riflettendo sul come impostarlo quando ho visto Odissea tragica di Zinnemann, un melodramma con protagonista un bambino che tra le rovine di Berlino incontra un soldato e che ignora che la madre, sopravvissuta ai campi di concentramento, lo sta cercando in tutta Europa. Dalla visione, ho realizzato che il dramma sarebbe stato la giusta chiave di lettura per il mio film. Altre fonti di ispirazione sono venute anche da Full Metal Jacket di Stanley Kubrick e dal libro One Soldier’s War in Chechnya di Arkady Babchenko, un testo che ricorda molto Se questo è un uomo di Primo Levi», racconta il regista.
GOODBYE TO THE LANGUAGE
Jean-Luc Godard non ha bisogno di presentazione. A 83 anni, uno dei padri della Nouvelle Vague ha ancora voglia di mettersi in gioco e di sperimentare, portando in concorso la sua riflessione sul ruolo della comunicazione oggi e sul linguaggio. Avvolgendo l’opera di un alone di mistero e accompagnandola con uno scritto di suo pugno e una lunga citazione di Marcel Duchamp, una frase di Claude Monet e un estratto da Passage du cinéma, 4992 di Annick Boules, Godard ha fatto sapere di non avere intenzione di recarsi al festival neanche in caso di vittoria (eventualmente ritirerebbe il premio uno dei suoi commercialisti, come già accaduto con l'Oscar alla carriera).
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
FUORI CONCORSO
L’HOMME QU’ON AMAIT TROP
Altro maestro francese su cui ogni parola sarebbe troppa, André Téchiné si ripresenta nel circuito festivaliero a tre anni di distanza da Impardonnables, presentato alla Mostra di Venezia. Questa volta si affida a Catherine Deneuve, Guillaume Canet e alla giovane Adèle Haenel, per raccontare (su commissione) una storia realmente accaduta in Francia sul finire degli anni Settanta e legata sullo sfondo del mondo dei casinò alla scomparsa misteriosa di Agnes Le Roux. Spiega Téchiné: «Prendendo ispirazione dalle memorie di Renee Le Roux, ho realizzato un film di guerra. Di guerra a livello umano. Volevo mostrare il processo di ascesa al potere nel mondo dei casinò, i metodi usati per abbatterne uno, il funzionamento di un business dietro a cui si nascondono ombre, crudeltà e schiavitù. Ho voluto seguire gli eventi così come si sono svolti fino all’inevitabile sconfitta finale. Per la sceneggiatura, ho ricevuto l’aiuto di Jean-Charles Le Roux, figlio di Renee convinto che ad uccidere la sorella sia stato l’avvocato Agnelet».
OF MEN AND WAR
Laurent Bécue-Renard, regista e produttore francese, tra il 1995 e il 1996 ha vissuto a Sarajevo lavorando come redattore capo del magazine Sarajevo Online e testimoniando da vicino gli orrori della guerra. Dopo la fine del conflitto, ha iniziato a interessarsi all’impatto che questi ha avuto sulle vite della gente, filmando in un primo documentario le conseguenze della guerra in un gruppo di vedove. Con Of Men and War concentra invece la sua attenzione su una dozzina di veterani statunitensi che, anni dopo il loro rientro a casa, combattono ancora contro i traumi vissuti e le ombre delle tragedie di cui sono stati testimoni o protagonisti. «Of Men and War si svolge all’interno della Pathway Home, una struttura di recupero fondata dal terapista Fred Gusman a Yountville, in California. Per i cinque mesi di durata delle riprese, ho avuto accesso completo ad ogni area della struttura, osservando in maniera tranquilla quello che accadeva e guadagnandomi la fiducia dei soldati e dei loro terapeuti. Ho potuto così filmare la quotidianità del posto e seguire da vicino le intense sedute di psicoterapia», afferma il regista.
MAIDAN
Nato a Kiev nel 1964, Sergei Loznitsa realizza documentari sin dal 1996, firmandone ben 14 (di cui nessuno si è visto in Italia). Regista di My Joy e Anime nella nebbia, presentati entrambi a Cannes, in attesa di metter mano al suo prossimo progetto di fiction Loznitsa filma gli eventi che hanno avuto luogo a Kiev, in Ucraina, durante l’inverno 2013/14, seguendo da vicino l’evolversi della rivoluzione e scegliendo come punto di osservazione piazza Maidan. Attirandosi da subito le ire del governo russo, Loznitsa così motiva la sua scelta: «Sono arrivato a Kiev a metà dicembre 2013. Sentivo che stava per accadere qualcosa di urgente da documentare e ho tralasciato ogni mio altro progetto per essere lì. L’atmosfera di euforia dei primi giorni era confortante e sembrava di essere accolti in un grembo materno: non ho mai visto tanta solidarietà, cameratismo e spirito di libertà. Era così bello veder all’opera tanti volontari che collaboravano con armonia e grande zelo: la notte del 19 dicembre, festa di San Nicola, sembrava una grande festa popolare, la festa di una nazione che ritrovava il suo spirito libero e si risvegliava da un lungo sonno. Sebbene si fosse coscienti del pericolo a cui si andava incontro, c’era molta voglia di ridere e scherzare. Da metà gennaio in poi, però, l’atmosfera è cambiata e la festa si è trasformata in battaglia, il sangue ha riempito le strade e la rivoluzione contro il regime ha preso piede».
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
UN CERTAIN REGARD
FANTASIA
Proveniente da una famiglia della classe operaia cinese, Wang Chao ha lavorato a lungo in un’importante acciaieria prima di venire licenziato e iscriversi alla scuola di cinema di Pechino, diventando un critico cinematografico. Divenuto assistente di Chen Kaige dopo aver recensito un suo film, Wang Chao ha lavorato sul set di Addio mia concubina mentre l’esordio da regista avviene nel 2001. Al suo quarto film, presenta a Cannes la storia di un ragazzino che, impaurito dalla malattia del padre e rifiutato dai coetanei, si rifugia in un mondo di fantasia. «Il film è girato a Chong Qing, una delle città industriali del sud-ovest della Cina che ospita industrie che risalgono ai tempi di Mao. Con la riforma economica di Deng Xiaoping, molte aziende sono fallite e ciò ha inevitabili conseguenze sulla popolazione. Fantasia approfondisce temi che ho sempre trattato nei miei film: l’attenzione alle qualità spirituali delle persone e la complessità della natura umana di fronte alle sofferenze», ribadisce Chao.
SNOW IN PARADISE
Andrew Hulme è uno degli esperti di montaggio più richiesti del cinema britannico. Sua è la firma su opere come Control, The American e Slevin. Con Snow in Paradise esordisce alla regia con un lungometraggio ispirato a eventi reali e ambientato nell’East End di Londra, tra droga e violenza. «Quando ho conosciuto lo scrittore Martin Askew sono rimasto affascinato dalla figura di suo zio Lennie MacLean, famoso esponente della malavita dell’East London. Per Snow in Paradise ho attinto alla sua vita ma ho cambiato i nomi dei protagonisti e reso artificiali gli eventi, percorrendo una parabola che dalla violenza porta a una qualsiasi forma di redenzione», sottolinea Hulme.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
QUINZAINE
P’TIT QUINQUIN
Bruno Dumont stupisce tutti e si lancia nella commedia commerciale, presentando a Cannes le quattro puntate realizzate per la televisione francese della serie P’tit Quinquin, con protagonista un criminale poco più che poppante. Improbabile commedia poliziesca farcita di equivoci e di elementi da slapstick, P’tit Quinquin viene così raccontato dallo stesso Dumont: «La commedia ha quasi la stessa potenza del dramma e questa commedia è figlia tutti i film drammatici che ho diretto: sono tutti frutto della vita umana, che presenta una sorta di delicato equilibrio tra rischi e possibilità. In altre parole, P’tit Quinquin è un’opera tragicomica, una sorta di cane che si morde la coda».
THE TALE OF PRINCESS KAGUYA
Fondatore nel 1985 con Hayao Miyazaki dello Studio Ghibli, Isao Takahata ha alle spalle quattro film di animazione di cui il più noto è forse Pom Poko. Per la sua nuova fatica, già uscita in Giappone nel novembre 2013, ha ripreso in mano il progetto, vecchio di 55 anni (i diritti erano stati acquistati dalla Toei Animation a metà anni Sessanta), di riadattare il classico della letteratura giapponese The Tale of the Bamboo Cutter e vi lavora per otto lunghissimi anni. Il risultato è un’opera visivamente accattivante, che richiama alla mente gli albori dell’animazione giapponese e la poesia in essa insiti. Racconta Takahata: «C’era una volta, circa 55 anni fa, in una società che si chiamava Toei Animation il desiderio di realizzare un film di animazione dal classico The Tale of the Bamboo Cutter, progetto preso in mano da Tomu Uchida, uno dei più grandi registi di allora. La lavorazione andò avanti fino a quando Uchida volle tentare una nuova sfida chiedendo ai dipendenti della società di inviargli possibili sceneggiature da prendere in considerazione. Anch’io inviai la mia ma feci un buco nell’acqua: anziché proporre una drammatizzazione della storia, proposi una scena che doveva servire da prologo e in cui la principessa e il padre parlavano prima della partenza di lei per la Luna. Da quella scena e dal messaggio che conteneva sono partito io per il mio The Tale of Princess Kaguya».
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
SEMAINE
THE TRIBE
Il primo lungometraggio dell’ucraino Myroslav Slaboshpytskiy è uno dei più attesi della Semaine per via di un kit stampa composto da fotografie che solleticano appetiti pruriginosi. Al di là delle immagini di amplessi e nudi, il film racconta però di violenza e lotte gerarchiche all’interno di un istituto per sordomuti: l’intera opera è infatti recitata nel linguaggio dei segni. «Il mio è un omaggio esplicito al cinema muto e all’epoca in cui gli attori comunicavano solo con la loro pantomima. Il mio obiettivo principale era quello di realizzare un film muto il più realistico possibile, facilmente comprensibile e senza nemmeno una parola. La lingua dei segni è come una danza, un balletto o il kabuki, ma non ha alcunchè di grottesco: le persone comunicano realmente così come si vede in The Tribe», spiega il regista.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta