Il mio quarto giorno festivaliero (anzi “semi-festivaliero, dato che in settimana mi trasferisco a Cannes verso metà pomeriggio e ci resto fino a notte inoltrata) comprende tre lungometraggi non eccezionali ma, almeno a tratti, curiosi ed interessanti, e di differenti nazionalità: un francese (uno dei tanti), uno statunitense con tre star d'eccellenza (di cui due presenti in sala) e infine un australiano dai toni e dalle atmosfere decisamente apocalittiche.
Inizio la coda inevitabile di oltre un'ora (alla Qunzaine è necessario arrivare per tempo per riuscire ad entrare in sala, come spiegavo i giorni scorsi, dato che i biglietti danno diritto all'accesso in sala nei limiti dei posti disponibili e si riferiscono a qualsiasi film della rassegna, senza individuarne alcuno nominativamente), durante la quale continuo rapito la lettura del mio bel libro (ogni anno a Cannes inizio e mi finisco nei tempi morti della coda, tra sole cocente o, come succede in questa uggiosa e fresca stasera, sotto la pioggia, almeno un romanzo: quest'anno tocca allo straordinario, appassionante ultimo Premio Strega di Walter Siti, "Resistere non serve a niente", titolo profetico che tuttavia non ascolto nel senso letterale, resistendo eccome, alle intemperie e quant'altro).
Poi finalmente, come in processione uno dietro l'altro, si entra e ci si posiziona: io sempre in prima fila, purtroppo molto di lato, così le foto al cast che accompagnano i vari film rimangono piccole e lontane (mannaggia sto cellulare pur volenteroso, ma senza zoom!! Se ci fosse il caro amico Port Cros sarebbe tutta un'altra cosa, ma vabbé).
Si inizia col francese dal titolo piuttosto macabro MANGE TES MORTS di Jean-Charles Hue, film col quale il regista torna (ma per me e per molti altri si tratta di una prima conoscenza) a mettere in scena le gesta scellerate e singolari di una famiglia appartenente ad un gruppo di nomadi detti “i viaggiatori”: non zingari, ma un popolo senza una fissa dimora che vive in roulotte nel nord della Francia e parla un francese imbastardito veloce e quasi incomprensibile. Ritroviamo, in quanto già al centro del film d'esordio del regista, un ragazzino quindicenne che, approfittando dell'uscita dal carcere di suo fratello, viene indotto da questo a iniziarsi alla vita dei colpi e delle rapine: non tanto di soldi, ma di materie prime, rame in questo caso, che sottraggono per rivendere al mercato nero.
Peccato che il colpo, organizzato con l'aiuto di un terzo fratello ed un cugino, non vada secondo quanto programmato (seppur approssimativamente), e tutto si risolva in una corsa forsennata con la polizia alle calcagna. Forte di uno slang dinamico e velocissimo, di caratteri focosi e maneschi che spingono i quattro individui affrontarsi anche violentemente, soprattutto quando la situazione degenera in un imprevisto dietro l'altro, Eat Your Bones è un cinema verità con alcuni pregi e non esente da difetti: un cast che già appena sale sul palco capisci essere formato da attori che recitano se stessi: attori della vita, da cui traspira dunque autenticità massima; ma anche limitatezza di espressione e certe forzature proprie di chi si impegna a recitare, ma tradisce una pedissequa ripetizione di una lezione imparata a memoria ed imposta da un copione.
Forte di momenti di tensione ed inseguimento girati con gran ritmo, ed inquadrature su scorci naturali fotografati da un colore pastoso e quasi sanguigno come il carattere dell'esagitato e pingue capo squadra, l'opera seconda di Hue si apprezza per la schiettezza quasi documentaristica di certe situazioni, a cui si alternano momenti d'azione in cui realismo e finzione si fondono in un ibrido piuttosto singolare, magari a tratti fastidioso, ma pur interessante.
Eat your bones: il cast sul palco del Theatre Croisette
VOTO ***
COLD IN JULY del regista horror Jim Mickle, già presente l'anno prima sempre in questa rassegna con We are what we are (che tuttavia mancai di vedere) porta sul palco, oltre all'altissimo e giovane regista, pure il protagonista, Michel C. Hall, il serial killer galantuomo Dexter per intenderci, e quella vecchia ma sempre affascinante volpe di Don Johnson, il biondo di Miami Vice, nonché marito in più occasioni di Melanie Griffith e di chissà chi altra bella creatura femminile. Insieme al grande Sam Shepard, i tre danno vita ad un film “mutante”: nel senso che inizia come un thriller, che poi vira al noir, si prende una pausa di colore ed ironia con l'entrata in scena di Johnson, e poi vira allo splatter più sangunario e teso.
Tutto nasce quando un commerciante di cornici con moglie e figlio piccolo sorprende un ladro a rubare in casa e inavvertitamente lo uccide, quando dalla sua arma parte un colpo accidentale dovuto alla tensione della situazione. Il morto risulta il figlio di un detenuto anziano attualmente agli arresti domiciliari: un uomo duro e violento che comincia a tormentare il protagonista in un crescendo di minacce e tensione. Fino a farci scoprire che il vero marcio della situazione sta altrove, e che i lupi pericolosi non sono coloro che sembrano ma piuttosto invece altri insospettabili.
Senza null'altro voler rilevare, diamo atto al film di saper tenere desta l'attenzione dello spettatore, anche se, con lo sviluppo della storia, complessa e cangiante, si smorza anche un po' (troppo) quell'interesse morboso che la vicenda suscitava agli albori del suo incalzante incipit.
Il cast del film Cold in july sul palco del Theatre Croisette: in fondo a sinistra Don Johnson e Michael C. Hall
VOTO ***1/2
Si finisce la giornata con l'australiano apocalittico THESE FINAL HOURS, dell'esordiente Zak Hilditch, alla prima sua trasferta nel continente europeo proprio grazie alla Quinzaine. Sul palco assieme al regista i tre bellissimi interpreti: l'aitante Nathan Philips, già visto in alcune produzioni commerciali americane, la splendida Jessica De Gouw in abito bianco come una sposa sexy e la piccola biondina Angourie Rice, stupenda. Il film parla della fine del mondo: un asteroide impatta la Terra sul versante Nord dell'Oceano Atlantico e rade alsuolo ogni cosa, “come il fuoco nei confronti della pelle di un'arancia”.
In Australia gli abitanti si guadagnano dodici ore di agonia in più in attesa che la devastazione di quel fuoco infernale li avvolga come tutto il resto del mondo. In questa snervante attesa nelle città il panico ha seminato morti premature, vandalismi e violenze di ogni genere. Il viziato ed egocentrico James decide di lasciare la ragazza bellissima che frequenta (e che scopre essere incinta) per recarsi all'ultima festa rave presso un bizzarro amico, la cui sorella sarebbe la sua fidanzata ufficiale. Sulla tortuosa strada disseminata di trappole e pericoli, il ragazzo salva la vita della decenne biondina Rose, che si trova poi costretto ed impietosito a portare con sé. Sarà solo un viaggio fatto per tornare sui suoi passi, fatto per capire che James deve solo far ritorno dalla donna che ha abbandonato e che lo ama veramente, almeno un attimo prima che tutto finisca.
Atmosfere da “sopravvissuti” e da disaster movie disseminato di orrori da disperazione che non c'e' droga che riesca ad alleviare, These final hours vive di situazioni non nuove ed anzi già viste in tanti capostipiti del genere apocalittico; tuttavia il regista dimostra di aver saputo scegliere le facce giuste nei suoi credibili e convincenti protagonisti, e di saper condurre la vicenda con un dosaggo sapiente di tensione e di presa emotiva che riescono a coinvolgere e a rendere il prodotto finito accattivante e ben confezionato, come un action d'autore che sa parlare di sentimenti veri e di bilanci esistenziali senza scadere nel qualunquismo o nel melenso.
Il cast di These final hours sul palco del Theatre Croisette
VOTO ***1/2
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