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Cannes 2014: Intervista a Atom Egoyan
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Mentre nelle nostre sale sta incontrando un discreto successo la sua penultima fatica Devil’s Knot, Atom Egoyan a Cannes presenta The Captive, storia di destini incrociati che si propaga per otto anni e che prende l’avvio dal rapimento di una ragazzina. Tensioni familiari, ruolo delle immagini nella società contemporanea e pedopornografia sono i temi centrali di The Captive. Abbiamo colto l’occasione per sentire direttamente dalla voce del regista quali sono i punti cardine del suo nuovo lavoro e da cosa ha tratto spunto. 

Atom Egoyan

The Captive (2014): Atom Egoyan

The Captive è un thriller?

Si, è incentrato su una giovane ragazza che viene rapita e che otto anni dopo escogita un piano per fuggire. Lei si chiama Cassandra in riferimento alla figura della mitologia greca che si esprime per enigmi ed è in grado di vedere nel futuro. In The Captive, Cass fornisce al padre Matthew un indizio in forma di enigma, che solo lui può decifrare. Questo è l’unico modo che può garantirle la possibilità di fuggire finalmente dalle grinfie del suo rapitore.

Oltre a Cass, ci sono altri captives, prigionieri, nel film?

Tina, la madre di Cass, è di certo prigioniera del suo dolore. Da quando la figlia è scomparsa, si è separata dal marito e ha stretto amicizia con Nicole, la detective che lavora nell’unità in difesa dei minori, e ogni anno, per il compleanno della figlia, quasi ritualmente si reca da lei nella speranza di avere notizie recenti sulla figlia. Anche Nicole è prigioniera ma del suo passato e pian piano si scopre per quale motivo si lascia coinvolgere totalmente dai casi che affronta. Gli uomini, invece, sono prigionieri delle loro storie personali. Matthew, il padre, non riesce a perdonarsi di aver lasciato Cass da sola per un breve attimo ed è convinto di essere il solo che potrà ritrovarla. E Jeffrey, l’altro detective, ha un passato che ha dirette conseguenze sui suoi sospetti su chi è il rapitore. In The Captive, tutti i personaggi maschili fanno scelte sbagliate che continuano a torturarli in modi inaspettati.

Tina è ossessionata dal ricordo di sua figlia Cass ma anche, più direttamente, da alcuni oggetti specifici.

Trovo affascinante che Tina resista dal raccontare agli altri degli oggetti che ritrova sul posto di lavoro, rasentando in alcuni casi la paura di impazzire. Lei non ha alcuna idea che gli oggetti siano lì posizionati in maniera premeditata da qualcuno che la sta osservando. Crede semmai di trovarsi in un luogo terribilmente crudele, dove il suo dolore è al centro di un circolo vizioso nascosto e segreto. Allo stesso tempo, a un livello più emotivo e umano, Tina è furiosa con il marito per la scomparsa della figlia. In un modo se vogliamo anche contorto, Tina accetta quello che le sta capitando come la meritata punizione per i suoi atteggiamenti nei confronti di Matthew.

Per la sceneggiatura, si è consultato con molti investigatori di polizia?

Ho incontrato diversi investigatori che lavorano nelle unità contro lo sfruttamento dei minori e che combattono quotidianamente gli errori degli abusi diffusi via internet. Il Canada è all’avanguardia nella lotta alla pedofilia e alla pedopornografia e un libro come One Child at a Time di Julian Sher [volume che scava dentro alla piaga della pedopornografia dando voce a vittime ed investigatori, ndr] è stato prezioso per le mie ricerche. Fino al 1978, la pornografia infantile era tecnicamente legale negli Usa e molte immagini furono scambiate tra i numerosi collezionisti. Dopo che è stata considerata illegale, la pedopornografia è stata tenuta sotto controllo per una ventina d’anni fino all’avvento di internet. Grazie alla tecnologia, i pedofili hanno trovato un modo più sofisticato di occultare le loro attività. La tecnologia avanza ad una velocità impressionante e la polizia è costantemente sotto stess: rintracciare i criminali assorbe tutte le energie ed è emotivamente distruttivo. La maggior parte degli investigatori che lavorano in questo campo non riescono a lavorare nel settore per più di un paio d’anni. Inutile dire quanto sia inimmaginabili le pressioni che subiscono per rintracciare le vittime.

Nei suoi film, la realtà è spesso distorta e la stessa storia viene raccontata da prospettive ed angolazioni differenti.

Io non la vedo come una distorsione della realtà. È semmai un modo di avvicinarsi alla percezione che un mio personaggio ha della specifica realtà che si è costruito. Sebbene spesso la struttura non sia lineare, c’è sempre un senso di fedeltà allo spazio e al tempo in cui i personaggi si muovono. Naturalmente, i miei attori hanno bisogno di riempire le loro performance con molta umanità per rendere il tutto credibile. Guardare un film è un’esperienza che coinvolge intensivamente lo spettatore, che deve vedere ricompensati la sua curiosità e la sua voglia di esplorazione. Il mio spettatore deve essere consapevole di ciò che sta seguendo ma allo stesso tempo deve perdersi nella realtà dei problemi emotivi che vengono affrontati.

La tecnologia ha sempre gioco un ruolo preminente nei suoi film. Come descriverebbe l’influenza della tecnologia in The Captive?

Siamo definiti dalle tecnologie a nostra disposizione. Da canadese cresciuto sotto gli influssi del pensiero di Marshall McLuhan, sono consapevole di come la tecnologia influenzi il nostro comportamento. Non solo internet o i sistemi di sorveglianza (del tutto estremi nel mio film) ma anche vecchie tecnologie come il telefono, la televisione o altri media, ci influenzano. La tecnologia ha la capacità sia di valorizzare sia paradossalmente di banalizzare la nostra esperienza di esseri umani.

Ciò che allarma sulle tecnologie di sorveglianza mostrate in The Captive è la maniera in cui sono integrate nella vita dei personaggi. In particolare, nelle scene di Tina in hotel, vediamo confondersi le immagini della mia videocamera con quelle riprese dai sistemi di sorveglianza, fornendo due diversi risultati di quella che in pratica è la stessa esperienza visiva.

Un personaggio come Mika è del tutto ossessionato dalla sorveglianza. È una versione mostruosa del bisogno di osservare e di condividere il dolore degli altri. Ciò che lo porta a far commentare a Cass le immagini della madre è inquietante ma è dettato dal suo desiderio di renderle il più divertenti e ricche per la sua società segreta di “osservatori”.

A quale dei suoi precedenti film The Captive può essere paragonato?

In termini di soggetto, si rifà ai miei film della fine degli anni Ottanta come Black Comedy e Mondo virtuale. Da un punto di vista visivo, richiama invece quelli della fine degli anni Novanta, come The Adjuster, Exotica e Il dolce domani. E non solo per argomenti come il voyeurismo e il feticismo ma anche per come questi siano diventati una parte implicita delle nostre vite. The Captive riguarda la natura del desiderio, la complessità dell’amore e i limiti dei sentimenti in un mondo dove tutto è sotto stretta osservazione.

Quale è il ruolo dei giovani nel suo lavoro? Molti dei suoi personaggi principali sono sempre tardoadolescenti o ventenni.

I miei film spesso si concentrano su personaggi compresi in queste fasce d’età perché si tratta di un periodo di profonda messa in discussione e con profonde possibilità di cambiamento. I personaggi di The Captive sono quasi tutti adulti profondamente influenzati dall’assenza di Cass. Sebbene la ragazza non sia la protagonista nel senso classico del termine, è la sua scomparsa a motivare la storia e a ridefinire tutti i personaggi coinvolti, tra cui anche il suo rapitore. Cass sta lottando per definire e capire se stessa ma fino a quando non riuscirà a liberarsi dalla mostruosa prigionia rimarrà sempre dipendente da qualcun altro.

The Captive si svolge a Niagara Falls ma la maggior parte del film è stata girata a Sudbury, nell’Ontario del nord.

Niagara Falls è una città leggendaria. Le sue cascate evocano la potenza, la grandezza e la violenza della natura. Si tratta poi di una città di confine, con molta popolazione transitoria, e la sua posizione mi sembrava molto adatta alla storia con le sue anonime stanze d’albergo e persone in transito. Abbiamo girato metà del film a Sudbury e nelle zone limitrofe perché volevamo un paesaggio invernale sterile. Un paio di milioni di anni fa un meteorite si è schiantato nella regione e ha creato un ambiente assolutamente perfetto per il film, corredato da un cielo costantemente grigio e minaccioso.

The Captive (2014): Clip 1 originale | CANNES 2014

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