Dopo l’inaugurazione con Grace di Monaco di Olivier Dahan, non certo accolto bene dalla critica, e il glamour garantito da un red carpet molto hollywoodiano e paparazzato, il Festival di Cannes comincia a svelare le sue carte, entrando nel vivo del concorso e aprendo le sezioni minori e collaterali. Sette sono i lungometraggi previsti nella giornata di oggi: due in competizione, due per la sezione Un certain regard, uno per la Quinzaine e ancora due per la Semaine della Critique.
Ricordando che le proiezioni cannensi della sezione principale sono riservate alla sola stampa accreditata e non al pubblico, ecco cosa si vedrà oggi sulla Croisette:
CONCORSO
MR. TURNER
Il regista inglese Mike Leigh supportato da un sempre ottimo performante Timothy Spall porta la sua ultima fatica, dedicata alla figura del pittore neorealista inglese J.M.W. Turner e al suo ultimo quarto di secolo di vita. Cominciando a narrare dall’anno 1829, Leigh ci porta in un’Inghilterra in piena epoca vittoriana per raccontarti di un artista fenomenale alla mercé di una vita privata non del tutto coerente alla sua caratura da pittura. A ribadirlo, è lo stesso regista: «Turner era un gigante tra gli artisti, una mente a senso unico e senza compromessi, straordinariamente prolifico, rivoluzionario nel suo approccio, consumato dal mestiere e chiaroveggente nella sua visione dell'arte. Eppure, Turner era anche un uomo eccentrico, anarchico, vulnerabile, imperfetto, capace di sbagliare e talvolta rozzo. Riusciva ad essere egoista e disonesto e al tempo stesso generoso e capace di vivere grandi passioni e generare immensa poesia».
TIMBUKTU
Al suo quarto lungometraggio (un documentario e due lavori di fiction, presentati sempre a Cannes ma al Certain Regard e Fuori Concorso), il mauritano Abderrahmane Sissako conquista la competizione principale con un’opera che racconta di come sia cambiata la vita in molti Paesi dell’Africa centrale con la presa al potere degli jihadisti. La storia nasce da un episodio realmente accaduto, come Sissako stesso sottolinea: «Il 29 luglio 2012 ad Aguelhok, una piccola città del Mali occupata da gente al potere proveniente da tutt'altra zona, si è verificato nella quasi totale indifferenza dei mass media e del mondo un crimine orribile: una coppia di trentenni, che vivevano felici con i loro due bambini, è stata lapidata a morte. La loro colpa era quella di non essere sposata».
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UN CERTAIN REGARD
PARTY GIRL
Il film di apertura di Un certain regard è un’opera prima fermata a sei mani dagli amici Marie Amachoukeli, Claire Burger e Samuel Theis. La docufiction è incentrata sulla figura di Angélique, madre di Samuel Theis e hostess di un nightclub che, di fronte all’avanzare dell’età, decide di sposare uno dei suoi clienti più affezionati: «Party Girl è nato in seguito un evento di vita reale: l’atipico matrimonio della protagonista, avvenuto qualche tempo fa. Con i suoi quasi sessant’anni d’età, Angélique non aveva mai voluto nessuno accanto e aveva conosciuto solo la vita notturna. Il suo matrimonio, ovviamente, ha sollevato delle domande sul perché della decisione e su per quale motivo avesse sentito l’esigenza di avere qualcuno accanto per terminare i suoi giorni. Era la situazione ideale per un film, tra realtà, fantasia ed azione».
LOIN DE MON PERE
Il terzo lungometraggio dell’israeliana Keren Yedaya (già fuori concorso a Cannes nel 2009 e Caméra d’Or alla Semaine de la Critique 2004) adatta il romanzo Far From His Absence di Shez e porta in scena il rapporto incestuoso tra un padre cinquantenne e la figlia poco più che ventenne. Di fronte a un tema tabù che finisce con il far sorgere nella protagonista disordini alimentari, la Yedaya si è mossa con molto tatto soprattutto nelle inevitabili scene di sesso: «La rappresentazione dell’incesto al cinema è spesso un cliché consolidato che mostra un/a bambino/a con un adulto mostruoso ma ciò non rende alcun beneficio alle vittima e non aiuta la questione. Il mio film mostra la realtà dell’incesto in tutta la sua complessità. La mia protagonista ama suo padre, ne è gelosa e dipende in tutto da lui. Filmare le scene di sesso mi ha permesso di capire tutti questi aspetti. È vero anche che la ragazza ha un orgasmo ma ciò non toglie il fatto che l’incesto è un crimine e che ogni scena ha un proprio significato e una sua utilità».
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QUINZAINE
GIRLHOOD
Dopo il successo di critica e pubblico ottenuto da Tomboy, in molti ci aspettavamo che la nuova opera di Cèline Sciamma finisse in concorso. Grande, dunque, la sorpresa di ritrovarla alla Quinzaine, molto più aperta alle sperimentazioni e per molti versi moderna. La storia racconta di una banda di giovani ragazze e della loro vita di strada. Seppur sulla carta molte siano le affinità tematiche con Foxfire di Cantet, il film della Sciamma è molto più contemporaneo e intimistico: «Ad ispirarmi la storia sono state quelle gang femminili che ognuno può notare muoversi in gruppo nelle vicinanze del centro commerciale Les Halles di Parigi o della stazione ferroviaria Gare du Nord. Approfondendo il loro stile di vita, sono rimasta affascinata dalle loro regole e dalla loro estetica, notando come avessero tutti quei requisiti in tema con il mio cinema e la mia attenzione ai processi di costruzione dell’identità femminile. Dopo Tomboy, volevo continuare a parlare di pressioni sociali, restrizioni e tabù, nell’universo giovanile ancorato nella realtà politica dell’odierna Francia. Nonostante la storia sia poi molto francese, credo che certi argomenti siano universali».
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SEMAINE
MAKING LOVE
Scelto come titolo di apertura della sezione, l’opera seconda di Djinn Carrénard (regista di Donoma, vincitore del premio Louis Delluc du Premier Film all’ACID) intreccia tre diversi destini per interrogarsi sulla costruzione dell’amore e sul come fare l’amore. In lavorazione dal 2012 e girato tra le periferie parigine ed Haiti, Making Love è in parte affidato alle capacità di improvvisazione dei suoi attori, come tende a sottolineare Carrénard: «Non ci sono state linee di sceneggiatura, dialoghi o sequenze già scritti sulla carta. Ho voluto dare ai miei attori solo uno schema d’improvvisazione, entro il quale muoversi e rispettare le mie indicazioni; ognuno è stato poi libero di scegliere come esprimersi e come comportarsi».
PIÙ BUIO DI MEZZANOTTE
Sebastiano Riso è il primo dei tre italiani a Cannes a mostrare il suo lavoro. Regista esordiente catanese, Riso si mette in gioco raccontando un anno della vita del quattordicenne Davide, un adolescente costretto a confrontarsi con la sua diversità e con gli effetti che questa ha in un periodo cruciale della sua esistenza. Ispirato a una storia vera (quella della celebre dragqueen Fuxia), Più buio di mezzanotte ha modelli di riferimento alti, come Riso stesso sottolinea: «A guidare il mio percorso sono stati i film che mi hanno cambiato e lasciato qualcosa dentro, facendomi diventare chi sono oggi. Autori come Rossellini, Truffaut, Tarkovskij e Gus Van Sant, e i loro piccoli eroi - tra cui l'Edmund di Germania anno zero, Antoine Doinel, Ivan e l'angelo biondo di Elephant - erano lì a testimonare come, quando si sceglie un adolescente per protagonista, si ha bisogno di essere follemente sinceri, come ha scritto Truffaut in una delle sue lettere. Follemente sincero per me vuol dire non usare trucchi o manierismi. E significa anche rispettare l'attore davanti alla telecamera, soprattutto quando hai a che fare nel mio caso - come negli esempi famosi che ho elencato - con un qualcuno che vive per la prima volta lo strano e parallelo mondo di un set cinematografico».
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