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L'altro festival: TGLFF - 29 TORINO GAY & LESBIAN FILM FESTIVAL
di alan smithee
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Eccoci a Torino per un altro festival: "L'altro festival", appunto, come tiene a precisare nelle premesse del fascicolo di presentazione del programma quest'anno il direttore Giovanni Minerba. Infatti da questa 29esime edizione di uno dei piu' longevi e noti festival GLBT al mondo, la manifestazione diventa il TGLFF: Torino Gay & Lesbian Film Festival. 

La nostra prima giornata torinese (sono arrivato sempre con il caro amico Port Cros, dinamico ed operativo nel dividersi generosamente tra scrittura e documentazione fotografica) inizia, non senza ritardi ed intoppi organizzativi presso le biglietterie affollate del cinema Massimo, a ridosso della maestosa Mole.

 

 

In una sala 1 piuttosto affollata riconosco l'attore e regista genovese Pippo DelBono, che avvicino complimentandomi per il suo lavoro: vorrei parlargli del suo Sangue visto a Locarno, di Henry in cui e' protagonista assoluto sotto la regia di Yolande Moreau, ma cosi', preso alla sprovvista, riesco solo a complimentarmi per la sua parte in Goltzius di Greenaway, film che mai e poi mai, me lo conferma ironicamente l'attore, vedremo sui nostri schermi.
Il primo film di questa seconda giornata festivaliera e' il titolo di apertura della serata precedente, ovvero il simpatico ma pure drammatico film venezuelano AZUL Y NO TAN ROSA (traducibile con "azzurro e non molto rosa"), vincitore di diversi prestgiosi premi Goya un paio di anni orsono. Gia' il fatto che provenga dal lontano Venezuela, la cui cinematografia molto raramente giunge alle nostre possibilita' di visione, me lo fa star simpatico. La proiezione inizia almeno mezz'ora in ritardo perche' il regista si perde tra le simmetriche strade torinesi e lo si attende a lungo per presentarlo: simpatico, paffuto ed imbarazzato, Miguel Ferrari ci fa sapere che la pellicola, commedia brillante e melodrammatica sui pregiudizi (e le violenze indicibili) a cui viene sottoposta una bella coppia di trentacinquenni, uno fotografo e l'altro medico, proprio nel momento in cui decide di convivere e sposarsi, e' risultata campione di incassi in patria nonostante le scottanti tematiche (accettazione e tolleranza delle minoranze) siano per molti ancora un tabu' in tutto il Sudamerica. E tra figli quindicenni frutto di amori incoscienti giovanili che tornano racorosi dalla Spagna a farsi vivi, tra gang di teppisti che massacrano il compagno del nostro protagonista lasciandolo in coma, tra amicizie femminili straripanti, ma pure loro vittime di una prepotenza e violenza tutte maschili (Perla Marina) e transessuali dal cuore d'oro (Delirio Del Rio, "come Dolores ma con delirio" che si esibisce in un locale simulando la mitica Loredana Berte' e la sua indimenticzbile meravigliosa "Non sono un signora"), la commedia dolceamara ed aggraziata procede sicura fino a riempire, forse un po' a fatica, forse con troppi finali intermedi che ne allungano oltremodo la durata di almeno venti minuti superflui, verso un epilogo agrodolce che ci lascia almeno in parte soddisfatti.
 
Voto: *** 1/2

 

 

Abbandoniamo in ritardo la sala per metterci nuovamente in coda perche' sempre in sala 1 ci aspetta un appuntamento che per diversi motivi non si puo' perdere: Michael Lukas, attore, regista e produttore porno di una certa notorieta', classe '72 e di origine russa, scende in campo con il documentario CAMPAIGN OF HATE: RUSSIA AND GAY PROPAGANDA, per la prima volta vestito per tutta la pellicola, a denunciare le vergogne ed i soprusi, le sevizie e le violenze di cui sono vittime oggi gli omosessuali uomini e donne russi da quando il governo di Putin ha reso operative una serie di leggi discriminanti ed assurde contro la comunita' gay russa. Primo fra tutti il divieto anche solo di parlare o mostrare qualsiasi argomentazione o situazione che possa riguardare il mondo omosessuale in circostanze in cui possano, almeno in via teorica, essere presenti dei minori: perche' per l'ex membro del KGB e da anni numero uno dello sterminato territorio russo, l'omosessualita' e' un virus in grado di contagiare, corrompere, traviare irreparabilmente giovani ed influenzabili personalita' in un percorso perverso senza ritorno. 

 


Immagini esplicite della segregazione, dei tranelli orditi ai danni di giovani omosessuali, malmenati selvaggiamente, derisi e talvolta indotti al suicidio, suscitano indignazione e brividi e ci mostrano un autore seriamente preoccupato dello sbando e della deriva razzista a cui sta andando incontro la societa' russa, chiusa nella propria ignoranza o mala informazione e difficilmente disposta ad aprirsi verso chi e' disposto a raccontare loro i fatti veri. Testimonianze e documentazioni provenienti da esponenti di entrambe le fazioni ci lasciano interdetti, indignati, mentre Lucas li affronta con domande dirette volte a mettere a nudo l'incredibile verita'.

 

Voto: *** 1/2

 

La proiezione e' preceduta da un incontro in sala molto interessante introdotto dal simpatico e brillante conduttore televisivo di "Cronache marziane" (quanto ci manca quel programma, quella televisione cosi' fuori dagli schemi e dalla noiosa banale routine dilagante) Fabio Canino e soprattutto da Vladimir Luxuria che ci racconta, non senza un'emozione che ci contagia, le sue (dis)avventure russe, con il suo arresto, per fortuna senza conseguenze serie o definitive, avvenuto di recente durante le Olimpiadi Invernali di Sochi, dove, tra le altre cose, aveva esposto una provocatoria bandiera arcobaleno con la scritta in russo "Gay è OK", in opposizione a questa sconcertante e disumana presa di posizione, che riporta la Russia ed il mondo intero indietro sino ai tempi delle inqualificabili segregazioni naziste ai danni degli ebrei. 

 

 

 

Usciti dall sala, approfittiamo dell'ora abbondante di intervallo per perderci nel cuore di una Torino invasa di turisti presso i musei cittadini, di manifestanti che rivendicano i propri diritti calpestati nella giornata dei lavoratori, e anche qua e la' un po' di cinefili come noi, o simpatizzanti ed attivisti dell'Organizzazione GLBT. E sotto un cielo sempre piu' plumbeo squarciato da tuoni sempre piu' minacciosi che non preannunciano nulla di buono, ci rifugiamo nell'affollata via Po per un gradevole apericena in uno dei bar piu' caratteristici e sontuosi della citta' che tuttavia ci sfama a prezzi popolari con la sua ricca ed invitante tavola self-service. Peccato che all'uscita l'acquazzone che ci accoglie si tramuta in violenta grandinata che ci fa inzuppare anche solo per percorrere i pochi metri che ci distanziano dal cinema Massimo. 
Stasera in sala 3 intendiamo conoscere, noi amanti del cinema sudcoreano, il regista Leesong Hee-Il. Il suo WHITE NIGHT, lungometraggio che completa una trilogia composta dai due corti Suddenly, Last Summer e Going South (che purtroppo abbiamo perso per vedere Kazan, Luxuria e Canino, scelta peraltro di cui non mi pento affatto) e' un film magnifico, finora il piu' bello ed intenso visto qui e all'In&Out di Nizza. Storia di solitudini e di vendetta, incontro di una notte tra due maschi, uno steward che torna a Seoul solo il tempo di una notte per ragioni che capiamo solo durante lo svolgimeto della pellicola; il suo incontro, per ragioni sessuali, con un giovane impiegato presso un corriere espresso: un incontro-scontro tra due personalita' orgogliose e tutt'altro che arrendevoli destinato in piu' occasioni a perdersi nel nulla, fino a che poi l'intimita' sopraggiunge come un fuoco che riscalda nella fredda ed innevata notte dell'inverno metropolitano coreano. Una grande direzione degli attori, con la camera che li immortala in corsa, anche dall'alto o di sbieco, e poi avvinghiati tra loro per un'amore carnale ed animale che tuttavia lentamente si trasforma.

 

 

Oggi e' il giorno della discriminazione perche' anche in questo splendido noir dei sentimenti alla base di tutta la vicenda sta una violenta storia di sopruso e vendetta per scopi punitivi. Scorci metropolitani di una Seoul semi-paralizzzta dal freddo ed ovattata da luci fioche, oltre che da una nevicata timida che di prima mattina sorprende i nostri protagonisti esausti. Un addio? Ognuno per la sua strada? Il regista in sala confessa di aver pensato ad un finale aperto, ma poi anche che quel rombo della moto che ci viene fatto udire nel finale senza immagini, puo' essere interpretato come quello un tentativo da parte del corriere espresso di seguire il taxi che sta riportando lo steward all'aeroporto, magari per non separarsene piu'. A questo punti attendiamo frementi il secondo lungometraggio di Leeong, quel Night Flight imperdibile previsto per questa sera, sempre in sala 3.

 

Voto: **** 1/2

 

Leesong Hee-il

 

 

L'ultimo film in programma per questa intensa giornata ci vede nuovamente in sala 1 affrontare il primo "colossal" americano a tematica gay. In realta' BURNING BLUE di D.M.W. Greer non e' proprio un colossal, ma certo deve essere costato parecchio, non fosse altro per le riprese della e sulla piattaforma che trasporta un'armata di piloti addestrati alla guida di caccia da combattimento. Siamo ai tempi della presidenza Bush, e dunque in pieno oscurantismo per quel che attiene il riconoscimento dei diritti gay per i soldati: figuriamoci se si tratta di personale scelto ed altamente specializzato. L'amore impossibile sbocciato prepotentemente tra un pilota, figlio di un generale dela stessa compagnia ed avvenente un  collega fresco di matrimonio, mette a dura prova gli animi degli interessati e crea sospetti anche tra gli altri commilitoni, soprattutto quando, presso la commissione incaricata di scingiurare scandali di tipo sessuale che infanghino la reputazione della marina, iniziano a circolare foto compromettenti di alcuni piloti nudi mentre scherzano mimando le pose di alcune figure viste in visita alla Cappella Sistina, poco dopo il loro attracco nel porto di Napoli (una Napoli fintissima e puerilmente cartolinesca ripresa sotto una....nevicata...mah...!?!...). Insomma una caccia alle streghe che alimenta stress e tortura anima e corpo dei parte dei piloti, alcuni dei quali anche vittime di incidenti fatali. Un Top Gun gay? Appunto, ed e' quello il vero problema di questo fumettone pallido e bolso e pesante come una telenovela, recitato approssimativamente da attori davvero deboli. Scritto in modo frammentato e poco incisivo, il film procede stanco e ripetitivo sui binari del deja-vu e del melodramma sdolcinato e melenso che comunica solo noia e voglia di uscire presto dalla sala. Al confronto Free Fall, pure lui incentrato su una storia omosessuale tra militari, che i giorni scorsi ha aperto lo In&Out di Nizza e di cui abbiamo gia' parlato, si eleva di livello facendo scordare una certa freddezza di fondo che imputavamo al film tedesco e che non ci aveva convinti appieno in quella occasione.

 

Voto: **

 

 

 

 

Le foto "torinesi" sono di Port Cros

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